All’apparenza si potrebbe parlare di un 2023 estremamente positivo per la sale cinematografiche italiane. Ma indagando un po’ più a fondo la situazione è cambiata solo in parte. Perché se è vero che parte del pubblico è stato nuovamente attratto dal grande schermo, va comunque evidenziato come la spinta sia arrivata da fenomeni commerciali facilmente pronosticabili (Barbie o Oppenheimer), titoli indirizzati ad un pubblico piuttosto ampio (Super Mario Bros., Wonka o Napoleon, per citarne solo alcuni) o vere e proprie eccezioni, casi inaspettati (C’è ancora domani) che hanno goduto di un prolifico e rinvigorente passaparola.
A conti fatti, però, buona parte degli altri titoli che passano dalle sale, specialmente il cinema più d’autore e meno mainstream, resta in sordina. Ed è facile così assistere a rimozioni dalle programmazioni o addirittura alla mancata distribuzione, anche quando i titoli hanno un valore complessivo di rilievo. Il pubblico italiano viene sicuramente meno attirato da certe opere e soprattutto dalla loro visione in sala, ma forse c’è un problema a monte da non poter più nascondere.
Forse non si sa ciò che si vuole proprio perché non lo si ha davanti. E se, tra tutte le soluzioni possibili, lo streaming da piattaforma non fosse, a questo punto, un male? Se l’uscita di Saltburn direttamente su Prime Video, l’ultimo film in ordine cronologico a balzare la sala, non fosse poi una scelta così insensata?
Pensare diversamente
Ancora una volta, specie dopo il clamoroso successo dell’opera di Paola Cortellesi, si è ritornati a parlare della rinascita del cinema italiano. È un concetto che torna periodicamente alla ribalta, anche se questa volta l’idea è leggermente più contagiosa ed entusiasta. Ma a cosa serve tale rinascita, a patto che qualcosa fosse davvero mai morta, se poi i risultati di ciò non vengono valorizzati? È vero, si parla di industrie, aziende e vendite – i conti devono tornare e il profitto, la maggior parte delle volte, non è un optional – ma si può davvero parlare di rinascita se poi titoli come La Chimera subiscono il trattamento, non solo per via del taglio delle sale ma per una precedente ed errata comunicazione e programmazione, delle scorse settimane?
Perché dopo le sollecitazioni di Rohrwacher (da sottolineare, con una lucidità impressionante, priva di voglia di polemizzare e con una sincerità genuina), a furor di popolo la programmazione del film ha presto subito una lieve impennata – evento non frequentissimo, specie per la progettazione distributiva a monte e gli slot disponibili, con il rischio di accavallare le uscite e l’eco dei singoli titoli – simile, con le differenze del caso, alla riproposta nelle sale di Godzilla Minus One. Gli introiti restano fondamentali ma quando si parla di autori e film così, discorsi a riguardo e fattori in gioco dovrebbero esser ben più vasti e articolati. Lungi dal dover privilegiare qualcosa o qualcuno, andrebbe semplicemente pensata differentemente la diffusione un film come La Chimera rispetto ad operazioni più mainstream e “facili”. Perché, altrimenti, certi progetti non solo non possono sopravvivere in sala, ma neanche arrivarci.
Pubblico, voci e potere
Impennata lieve, si diceva, ma significativa, perché sottolinea come, se stimolato, il pubblico ci sia, al contrario di ciò che l’industria pensa, vedendolo quasi analfabeta e divoratore esclusivamente di blockbuster, non riuscendo a dargli voce e a coglierne le sensibilità. E se quest’ultimo ha voglia di scoprire, fame e passione, non è utopico pensare ad una differente presa di consapevolezza da parte dei distributori, che possa anche spingere gli esercenti ad iniziare a pensare di dedicare anche solo un piccolo spazio a qualcosa di diverso. E più piccoli spazi possono creare una rete sicuramente di maggior ampiezza e omogeneità, così da dare la possibilità di visione a più spettatori possibili. Soprattutto grazie a ciò che viene dopo il film, così come successo a C’è ancora domani, che è diventato il fenomeno italiano dell’anno proprio grazie alla vita dell’opera fuori dalla sala. Partire dall’azione presente per garantirne una vita futura.
Perché sì, gli accordi iniziali della distribuzione, prima del lancio, possono essere un ostacolo, ma dal basso si può tentare di fare qualcosa. Esercenti e pubblico possono fare poco ma, sempre nella speranza dell’attenzione verso queste categorie, restano pur sempre segnali, che di recente sembrano esser stati accolti meglio. Ancora una volta, basti guardare a Vision, con il film di Cortellesi, da mesi nelle sale e tutt’altro che orientato a finire la sua corsa. Discorso a parte per l’esercente che, legittimamente, ha scelto a priori di non sostenere certi titoli, visto il complesso e per nulla lineare processo commerciale dietro, tra pesi di pacchetti preconfezionati e obblighi nella programmazione. Ma questo è un altro discorso.
Gettarsi nella mischia conviene?
Però di soluzioni alternative, davanti a muri apparentemente insormontabili, ce ne sarebbero. Si potrebbe sfruttare la non troppo amata release breve (programmatica e da non confondere con la “rimozione” veloce dalle sale), spesso presa in considerazione per l’animazione giapponese, proposta inizialmente per il già citato Godzilla Minus One: meno tempo a disposizione, vero, ma più concentrazione di spettatori e visione in sala preservata. Spesso però non è possibile, mentre altre volte le direttive arrivano direttamente dall’estero e lì poco si può fare. Non è mai semplice. Tutto, alla fine, riporta al tornaconto economico, ossia ciò che muove, nel bene e nel male, il mercato. E di mercato sono quasi sempre le motivazioni che portano alle decisioni distributive. Alcune di queste, alternative ma efficaci, non sempre convincono e spesso agitano la polemica facile. Si parla principalmente di streaming, di uscita su piattaforma o distribuzione ibrida.
Ma indipendentemente dai favori del pubblico, nel tentativo di cogliere tutte le sfaccettature dietro le scelte viste come infelici, l’uscita su Prime Video di Saltburn non sembra poi un male così atroce. Certo, il nuovo film di Emerald Fennell non era previsto per la visione da casa – anche progetti pensati per la release su piattaforma, vedasi Rebel Moon, arrivano diversamente se fruiti sul grande schermo – ma a volte questo tipo di programmazione è più ponderata di quanto possa apparire. Si pensi alla sovrabbondanza di titoli dalla forte impronta autoriale in uscita nelle sale nel mese di dicembre e in arrivo agli inizi di gennaio: film come Il cielo brucia (uscito negli ultimi giorni di novembre) e Il Male non Esiste restano fuori dalle classifiche dei maggiori incassi; per opere in sala da pochissimo, o che arriveranno a breve, come Foglie al vento o Perfect Days, il destino sembra uguale.
Il “male” minore
Quelle sopracitate sono tra le più importanti rappresentazioni del cinema autoriale nel corso del 2023, dalla caratura artistica elevatissima e che meriterebbero senza dubbio l’esperienza della visione in sala. Eppure, tra la mole di titoli in programmazione (soprattutto quelli più vicini ai gusti del pubblico generalista, da Wish a Ferrari, fino a Santocielo), essi si perdono e finiscono il loro percorso sul grande schermo senza troppe soddisfazioni, soprattutto perché in molte città medio-grandi neanche arrivano, figuriamoci in quelle più piccole. I film non vengono visti e le voci non girano. Colpa di una comunicazione difettosa – priva di mezzi e risorse o di voglia – o di un reale saturazione che non permette non solo a tutti i nomi citati di esser presenti nelle sale, ma anche agli spettatori di poter vedere ognuno di questi, per fattori economici o di tempo.
E allora, forse, appare un po’ più logica la scelta fatta per Saltburn: perché la prima cosa che bisognerebbe garantire all’arte è la sua condivisione, in un modo o nell’altro, la visibilità e la possibilità di farsi notare. E forse, specie in prossimità delle fredde feste natalizie, distribuirlo online è ciò che può evitare non solo l’annegamento che molti altri vivono in sala ma anche, probabilmente anche peggio, il poco interesse per una possibile release troppo posticipata in là nei mesi. Cosa che già si prevede, ad esempio, per il May December di Todd Haynes e che, invece, non è accaduta a Bottoms di Emma Seligman, anch’esso arrivato a dicembre in Italia su Prime Video e investito da una fortuna che, e c’è da metterci la mano sul fuoco, se distribuito in questo periodo in sala non avrebbe trovato agevolmente.
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