Bohemian Rhapsody è come Tale e Quale Show.
Speriamo che non vi siate fermati e che abbiate continuato a leggere. Il titolo è ovviamente una provocazione, ma è un modo per spiegare che cosa sia il fortunato biopic di Bryan Singer su Freddie Mercury e i Queen. Bohemian Rhapsody, in occasione dei 30 anni dalla scomparsa di Freddie Mercury va in onda in prima visione TV su Rai 1 il 24 novembre in prima serata, alle 21:25. È un film che vale la pena di essere visto, e che a tratti è entusiasmante. Ma è davvero il miglior film che si potesse fare su Freddie Mercury e i Queen?
Perché Tale e Quale Show?
Ma perché parliamo di Tale e Quale Show? Una delle chiavi della riuscita di un biopic, soprattutto quando parliamo di storie legate alla musica rock, è lo studio e la ricostruzione del protagonista. E in Bohemian Rhapsody Rami Malek è un Mercury perfetto nelle movenze, anche se è stato aiutato da protesi (un po’ eccessive?) per la dentatura. Malek punta molto anche sullo sguardo, curioso e affamato di vita, di Freddie Mercury. Non canta con la sua voce, come faceva Val Kilmer in The Doors, e fa bene, perché Freddie Mercury è irraggiungibile. Ma la prestazione di Rami Malek, premiato con l’Oscar come miglior attore protagonista, è comunque di quelle che valgono, come si suol dire, il prezzo del biglietto. Allargando lo sguardo, però, le cose sono un po’ diverse. Bohemian Rhapsody, a tratti, ci è sembrata una lunga puntata di Vinyl, la serie prodotta da Martin Scorsese e Mick Jagger ambientata nel mondo del rock degli anni Settanta. Come in quel prodotto, e Malek a parte, molti attori sembrano essere stati scelti più per la loro somiglianza che per altre doti, e rischiano di essere un po’ delle macchiette, dei personaggi “tali e quali”, certo, ma con poca profondità, poco carisma.
Smussare Freddie Mercury
Freddie Mercury di carisma ne aveva da vendere e, piaccia o no la scelta dell’attore che lo impersona, ne ha anche il Mercury di Rami Malek. Ma la sceneggiatura, approvata dagli altri Queen, cerca di smussare alcuni tratti della personalità del cantante, gli aspetti più scomodi e scandalosi. Facendo questo, prova a confezionare un film per tutti, un film che non a caso vedremo in prima serata su Rai 1. Ma l’altro lato della medaglia è che non riesce a cogliere appieno l’irriverenza, la follia, l’anticonformismo, la magniloquenza e l’ambizione dei Queen e del loro leader.
Quei tamburi che spruzzano acqua
Bryan Singer è bravo a confezionare un prodotto evocativo. Sa giocare con gli stili delle epoche che racconta, prende le immagini e le racchiude nei formati e nella bassa definizione televisiva, utilizza alcune grafiche tipiche degli anni Settanta per le scritte, che aiutano in alcune ellissi narrative, e usa alcuni effetti tipici dei video della band. Guardate quei tamburi della batteria che spruzzano acqua quando vengono percossi.
Troppe libertà narrative
Tutto questo senza dubbio funziona. Se ammirate i Queen, se li avete seguiti, anche a tratti, nella loro carriera, sono tutte cose che vi riporteranno a loro. Se siete dei fan di quelli più attenti, che non perdono un album o un singolo, non potrete non notare le tante, troppe libertà narrative che si prende Singer per piegare il racconto alle sue esigenze. We Will Rock You, un classico dei Queen del 1977, qui appare negli anni Ottanta. Le vicende che precedono la partecipazione dei Queen al Live Aid (una decisione che avvenne in maniera completamente diversa da quella raccontata nel film) sono molto diverse dalla realtà: i Queen sembrano una band sul punto di sciogliersi a causa della carriera solista di Mercury (che c’era, ma era solo una pausa dalla band), mentre avevano appena pubblicato l’album The Works, quello con Radio Ga Ga, che era stato un grande successo. Il film, inoltre, fa risalire la scoperta di avere l’Aids da parte di Mercury a prima del Live Aid, mentre accade in seguito. Sono tutte cose che appaiono piuttosto forzate per ridurre la storia di Mercury e i Queen a uno schema ben noto: quello di ascesa, caduta e rinascita che abbiamo visto molte volte. Mentre la storia dei Queen è stata molto più complessa.
Bohemian Rhapsody non è un film per veri fan
A chi è molto legato ai Queen, a chi conosce davvero la loro storia, insomma, ai veri fan, questo film potrebbe non piacere, e spesso non è piaciuto. È piaciuto molto a chi ama il rock, a chi ha anche amato a tratti i Queen, e alcune loro canzoni, ma senza approfondire. A chi, non essendo un fan, tiene meno a certe cose. Perché trovarsi poi tutte insieme quelle canzoni significa essere travolti. Non si può restare indifferenti, e su questo il film trova la sua forza, conscio di averla.
Il momento del Live Aid è un film nel film
Non si può restare indifferenti, soprattutto, alle sequenze che ricostruiscono il Live Aid. Bryan Singer ama Alfred Hitchcock. E, come lui, sa che ogni film va costruito intorno a una o più scene ad effetto. Per questo apre e chiude con il Live Aid, il simbolo della carriera dei Queen, il momento che tutti hanno fissato nella memoria. Chiude con l’emozione, chiude in crescendo. E ci fa finire la nostra visione con l’adrenalina di quell’esibizione. Il momento dei Queen al Live Aid, ricostruito e riproposto nella sua interezza, o quasi, è un vero e proprio film nel film. È il momento in cui ci arrivano i brividi. E ci fa capire quando accurato e lungo sia stato il lavoro di preparazione e costruzione di questa scena chiave.
Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer To Fall, We Are The Champions. È la scaletta perfetta: lo show è già scritto, non serve altro, basta metterlo in scena. I movimenti, i suoni, la luce tutta particolare che c’era quel giorno: tutto è ricostruito in maniera impressionante. Tutto ci è familiare. Certo è strano che un film che, in un momento clou cerchi l’assoluta fedeltà all’originale, poi in altri momenti sia così infedele rispetto alla storia dei Queen. Ma nel momento del Live Aid tutte queste riserve vengono a cadere. D’un tratto siamo lì, nel cuore di Wembley.
Bohemian Rhapsody sarà come Tale e Quale Show. Ma ci piace così.
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