Bisogna ballare, come nella sequenza iniziale del capolavoro di David Lynch.
Bisogna farlo perché, proprio in occasione del ventesimo anniversario, Mulholland Drive torna al cinema, in una nuova versione restaurata. Un’occasione più unica che rara per vedere sul grande schermo, nella sua giusta dimensione, il film più bello del XXI secolo (a detta di un sondaggio della BBC nel 2016). Un’esagerazione? Forse. Ciò non toglie che, al di là del ritorno in sala dei fan del regista “dell’inconscio e dei sogni”, che sicuramente non perderanno l’occasione, il ritorno al cinema di Mulholland Drive è un vero e proprio evento cinematografico.
Perché sono pochissimi i film che trovano nel buio della sala la loro miglior ragion d’essere, anche a distanza di tempo. Sono passati vent’anni da quella prima proiezione al Festival di Cannes 2001, ma come nella miglior tradizione di David Lynch il tempo sembra essersi fermato dando vita a quella che potrebbe essere una nuova prima proiezione del film. Se anche non conoscete il film di cui stiamo per parlare non esitate e proseguite nella lettura. Non faremo alcun tipo di spoiler (per quanto si possa parlare di spoiler per un film enigmatico con un ventennio sulle spalle) limitandoci a rimanere sulla superficie, per aprire le porte di un Club speciale al quale siete invitati. Veterani o novizi, perché pagare un biglietto per un film “vecchio”? Qui vi spieghiamo perché Mulholland Drive andrebbe visto al cinema anche dopo 20 anni dalla sua prima uscita.
Il miglior film di David Lynch
Se dovessimo descrivere la poetica e la tipologia di cinema che realizza David Lynch, Mulholland Drive sarebbe il primo film a venirci in mente. Siamo consapevoli che, soprattutto per un amante delle opere di questo straordinario personaggio, prima artista e solo successivamente regista cinematografico, aspetto da non dimenticare e che denota sin da subito la particolarità del suo stile, definire Mulholland Drive il suo “miglior film” in un corpus composto da opere a loro modo diverse e altrettanto meritevoli possa sembrare sin troppo semplice e scontato. Eppure il film del 2001 contiene, in maniera anche piuttosto accessibile per un pubblico più eterogeneo, tutti gli elementi che rendono grande e unico il cinema del suo autore senza raggiungere gli estremismi di altre opere (come Eraserhead, Strade Perdute o INLAND EMPIRE) un po’ respingenti.
Mulholland Drive nasce come pilota televisivo di 90 minuti per il canale broadcast ABC, un tentativo di replicare a distanza di tempo il mix di mistero, commedia e dramma raggiunto dalla prima stagione di Twin Peaks, andata in onda dieci anni prima e clamoroso successo televisivo capace di rivoluzionare le regole della serialità del piccolo schermo. I tempi, però, erano cambiati e la dirigenza del canale, insoddisfatta dal girato, decise di togliere la spina al progetto anzitempo. In aiuto di Lynch arrivò la casa di produzione francese Studio Canal con l’intenzione di trasformare quest’abortito progetto in un lungometraggio cinematografico. Un’impresa non da poco che il regista riesce a portare a termine a suo modo, dando vita a un’opera complessa, affascinante e soprattutto indimenticabile.
Mulholland Drive non nasconde la sua natura televisiva, almeno alla superficie (cioè attraverso la messa in scena e la progressione degli eventi), dando vita a una serie di quadri e di episodi a prima vista slegati tra loro e in cui la storia principale ha a che fare con un’amnesia e la risoluzione di un mistero. Un noir contemporaneo nella Los Angeles delle star. Più il film procede, però, più ammalia lo spettatore: la dimensione televisiva viene via via abbandonata per lasciare spazio a ciò che rende il cinema davvero grande. L’esperienza audiovisiva inizia a trasbordare dai confini dello schermo per colpire i sensi dello spettatore. E lasciarlo, una volta arrivato ai titoli di coda, definitivamente cambiato.
Gli occhi di Naomi Watts
Non c’è storia senza un grande personaggio. Non c’è film hollywoodiano senza una grande diva. Non c’è cinema senza un grande sguardo. Nel 2001 Naomi Watts si fa conoscere al grande pubblico dando una svolta alla propria carriera proprio grazie a questo film. Interpreta Betty Elms, una giovane ragazza che cerca di diventare un’attrice di successo trasferendosi a Los Angeles. Noi spettatori seguiremo principalmente la sua storia, osserveremo con i suoi occhi il fascino e il mistero di Hollywood. E del cinema stesso. Perché a partire da quella sua prima inquadratura, in cui la macchina da presa indugia sul suo sguardo meravigliato, Mulholland Drive dichiara i suoi intenti: guardate, spettatori, guardate il cinema. E non potevano esserci occhi più ricolmi di meraviglia e di magia di quelli giganteschi di Naomi Watts, gli stessi occhi che, nel corso del film, cambieranno più volte, modificando a loro volta lo sguardo dello spettatore.
Perché il gioco di Mulholland Drive sta tutto qui, nel potere dello sguardo e nell’assistere a un’opera da cui è impossibile togliere gli occhi di dosso. Tra le luci e le ombre di un mondo distante che non appartiene tanto a Betty quanto a noi, siamo costretti a tenere allo stesso tempo gli occhi aperti e chiusi, come il titolo dell’ultimo film di Stanley Kubrick che, quasi per coincidenza, contiene anch’esso un aspetto onirico e labirintico. La realtà si confonde con un sogno, il sogno si confonde con l’incubo. E che cos’è il cinema, inteso sia come forma d’arte che come edificio, se non un luogo che proietta l’inconscio e la dimensione che appartiene ai sogni? Quando noi spettatori ci sediamo al cospetto di uno schermo gigante, circondati dal suono, nel buio della sala, non stiamo forse vedendo le nostre evasioni illuminate dalla luce del proiettore? Mulholland Drive è la via di smarrimento in questa nostra fabbrica dei sogni.
L’esperienza cinematografica
Forse la risposta alla domanda sul perché dovremmo andare in sala a vedere un film di vent’anni fa può essere solo nell’assenza di risposte logiche e ben definite. Il fascino del non poter descrivere a parole ciò che rende particolare e a suo modo unica l’esperienza cinematografica, quell’impressione di realtà che allo stesso tempo è vera e falsa, realistica e artificiale, che scorre 24 volte al secondo. Un film come Mulholland Drive rifugge da ciò che definiamo semplicemente film per diventare un’opera che si rinnova e muta ad ogni visione. Ecco perché il film di David Lynch quasi obbliga lo spettatore di vederlo in sala, per meglio apprezzare tutte le sue caratteristiche e per riappropriarsi di quel fascino indefinibile del grande schermo che vince sul passare del tempo. Un film del 2001, del 2021 e del 2041: Mulholland Drive è la strada che abbiamo smesso di percorrere e che, allo stesso tempo, abbiamo bisogno di affrontare.
Rimanere ammaliati dal tappeto sonoro di Angelo Badalamenti col volume alzato come una sala cinematografica necessita, trasportati dalle vicende di Betty e Rita, incuriositi dal mistero narrativo e persi nell’enigma che piano piano si svela e si nasconde. Dura 146 minuti, il film, ma prosegue dentro lo spettatore alla fine dei titoli di coda. Come i grandi capolavori dell’arte.
Anche se una prima visione può porre più interrogativi che risposte, Mulholland Drive sa raggiungere un obiettivo sempre più raro nei confronti dello spettatore, ammaliandolo e facendo riscoprire, proprio grazie alla sua natura misteriosa, il piacere del grande schermo. Con quelle immagini giganti che richiedono la meraviglia negli occhi, ci si ritroverà colpiti, shockati, emozionati, anche senza trovare un motivo razionale. È la magia della fabbrica dei sogni. Così, l’esperienza cinematografica rivive nella sua forma più pura, lo sguardo fisso sullo schermo, trasportati dal flusso emotivo e sensoriale del film, non possiamo che rimanere sorpresi, aprire la bocca alla ricerca di suoni, trovando solo uno stupito silencio.
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