Non ci sono più i cattivi di una volta, o forse in realtà non ci sono mai stati. Stando alle nuove linee guida narrative dei Classici Disney d’animazione, la linea flebile tra protagonista ed antagonista è stata ulteriormente assottigliata, tanto che la figura del villain tradizionalmente riconosciuta sembra ormai démodé, andata temporaneamente in pensione.
Perché sta accadendo questo agli ultimissimi lungometraggi d’animazione realizzati dall’onnipotente Casa di Topolino? Forse è il risultato di un tentativo circospetto di stare al passo con i tempi e regalare ai suoi variegati spettatori personaggi meno manichei e più complessi? Oppure lo spettro del politically correct l’ha fatta da padrone anche stavolta?
La risposta di certo non è semplice, lontana da ogni risultato di erroneità o giustezza; di certo assistendo alla visione degli ultimi, super-contemporanei classici d’animazione Disney ci viene da porci la stessa domanda: era meglio quando c’erano i cattivi oppure no?
La fiaba come punto di partenza
In principio c’erano le fiabe, racconti fatati e di magia la cui origine è da ricercare nell’antica tradizione popolare. Solitamente considerate dei racconti medio-brevi destinati all’intrattenimento e all’educazione morale dei bambini, le fiabe seguivano una struttura narrativa decisamente precisa e stereotipata: un protagonista (o eroe) che doveva spesso affrontare delle prove per vincere contro un antagonista (o cattivo) e ristabilire l’equilibrio iniziale. Un dualismo manicheo che nel tempo ha avvolto anche il mezzo del cinema e della televisione ed in special maniera l’animazione, che sin dagli esordi della settima arte ha trasposto con grande fascino e maestria artistica le più grandi fiabe della tradizione letteraria.
In questo è stata modello impareggiabile la Walt Disney Animation, che ha cresciuto un’intera generazione con gli adattamenti di alcune delle fiabe più belle: impossibile dimenticare i suoi Biancaneve e i sette nani, Le avventure di Peter Pan, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco, e così via; altrettanto impossibile dimenticare gli antagonisti dei sopracitati lungometraggi: tra streghe malefiche, matrigne cattive e pirati spietati, i cattivi Disney hanno da decenni esercitato un fascino straordinario nella generazione di più piccoli cresciuta con questi classici cinematografici.
Un antagonista all’altezza
Certo, adattare le più grandi storie per l’infanzia richiedeva la realizzazione di villain all’altezza seppur monodimensionali: visualmente accattivanti, minacciosi, spesso talmente strabordanti sul grande schermo da rubare più e più volte la scena all’ignaro protagonista di turno. Si può dunque ben affermare che chi è cresciuto a pane e Disney ricorda con maggiore affetto e simpatia gli antagonisti che non gli eroi delle fiabe a cartoni animati. Una formula semplice come quella delle favole più belle, che gli studi di animazione Disney hanno poi declinato in chiave musical con successo popolare senza precedenti; basti pensare al decennio 1989-1999 conosciuto come “Rinascimento Disney” e caratterizzato da un’effervescenza artistica e produttiva che la Casa di Topolino mai aveva conosciuto prima di allora. Nuove fiabe popolari diventano lungometraggi d’animazione da sfracelli al botteghino, una nuova schiera di cattivi entra immediatamente nell’immaginario popolare della Generazione Y alzando considerevolmente l’asticella del nemico perfetto: vi bastano antagonisti iconici come Ursula, Gaston, Jafar e Scar?
Poi, con l’entrata del Nuovo Millennio, qualcosa inizia a cambiare radicalmente nell’approccio alla narrazione e nella scrittura dei personaggi: la formula del musical viene parzialmente archiviata, le sfumature di bontà e cattiveria nei protagonisti dei classici d’animazione diventano sempre più labili: è l’avvento del conflitto come nuovo cuore delle storie animate della major.
La paura del conflitto
Uno dei primi esempi di questo progressivo cambio di rotta è il campione d’incassi del 2013 Frozen – Il regno di ghiaccio. Nel film diretto da Chris Buck e Jennifer Lee, il villain della storia è l’affascinate Hans, un bellimbusto che soltanto nel terzo atto toglie la propria maschera da “principe azzurro” e si rivela come il maggiore antagonista delle sorelle Anna ed Elsa di Arendelle. Qui la figura fiabesca del principe bello e senza macchia viene messa narrativamente a soqquadro a favore di un ritratto meno manicheo e più grigio: la lezione da imparare, questa volta, è che le apparenze ingannano, nel bene e nel male.
Una traiettoria più sfumata che si allarga a macchia d’olio anche nei lungometraggi successivi a Frozen, dove la figura del villain tradizionale viene sostituita da protagonisti più vicini alla sensibilità dell’inquieta Generazione Z. Al passo con i tempi, la Disney accetta i limiti del suo pur glorioso passato e pianifica una nuova sfilza di racconti per il grande e piccolo schermo dove la figura dell’antagonista può essere racchiusa nello spettro del conflitto. Che esso sia generazionale o interiore, sono lo scontro e le incomprensioni tra il protagonista e i personaggi corollari a fungere da elemento di discordia all’interno della narrazione.
All’insegna di storie più empatiche
Una tendenza maturata in lungometraggi d’animazione come Oceania, Encanto ma anche nell’ultimissimo Strange World – Un mondo misterioso, dove vengono raccontate originali e colorate storie di adolescenti alle prese con il peso schiacciante delle aspettative famigliari. Nell’inevitabile scontro generazionale che ne consegue sta il cuore del conflitto della Disney post-moderna: vengono definitivamente archiviate dunque le stantie stereotipizzazioni dei personaggi a favore di una maggiore vicinanza ai desideri e alle necessità concrete delle generazioni odierne.
Un (nuovo) mondo animato senza buoni e cattivi, dove valori come la redenzione, il rispetto e l’empatia altrui vengono esaltati a favore di una visione più contemporanea ed inclusiva. Un cambio di rotta che la major hollywoodiana pianificava da tempo ma che sembra scontentare le frotte precedenti di spettatori cresciute con l’immaginario disneyano dell’antagonista complesso e fascinoso, seppur spesso pericolosamente monodimensionale. Ad ogni generazione il cattivo che si merita, è il caso di dire.