C’è una famosa frase che racconta bene il cinema di Hayao Miyazaki. Una frase pronunciata dallo stesso sensei: “Sogno, ma tengo gli occhi bene aperti”. Torniamo ancora una volta in quella terra di mezzo tra immaginazione e realtà in cui abbiamo già celebrato maiali volanti e principesse indomite. Un posto a metà strada tra il volo pindarico e il bisogno di tenere i piedi per terra. Ed è in questo posto che si muove lento e impacciato Il Castello Errante di Howl, ennesimo film di Miyazaki coerente con la sua stessa ammissione. Perché il racconto di Sophie e di Howl è contraddittorio, pieno di contrasti violenti, teso verso la bellezza, ma costretto ad abbracciare anche gli orrori. Perché, in fondo, Il Castello Errante di Howl è una storia d’amore scritta da un sognatore disilluso.
Questa volta la scintilla creativa è meno personale, perché il film è tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1986 da Diana Wynn Jones. In quel bel libro Miyazaki ritrova tanti temi a lui cari: la trasformazione, il contrasto tra essenza e apparenza e soprattutto un immaginario ibrido come la sua poetica: lo steampunk. Dare forma a quell’anacronistico mondo senza tempo è uno stimolo creativo incredibile per un animatore maniacale come lui. E così, per trovare la giusta ispirazione, se ne va in giro per l’Alsazia e l’Austria, assorbendo quelle architetture degne di un’antica fiaba dei fratelli Grimm. Tutto sarà poi mescolato con tecnologie bizzarre e stravaganti, soldati spuntati fuori dai primi del Novecento e soprattutto tanta, tanta magia. La stessa che torna in sala dall’11 al 17 agosto, visto che Il Castello Errante di Howl finalmente si muoverà di nuovo nei cinema italiani. Per celebrare il ritorno di questa perla mai arrugginita, cerchiamo di analizzare insieme la morale del film più romantico firmato Hayao Miyazaki, che per una volta ha sognato con gli occhi socchiusi.
La bellezza è una strega
Poche cose fanno venire fame come i film dello Studio Ghibli. Se non ci credete, provate a rivedere la scena della colazione de Il Castello Errante di Howl, in cui succulenta pancetta e uova vengono soffritte con buona pace della nostra acquolina in bocca. Tutto questo per dire che il cinema di Miyazaki punta molto sulle sensazioni terrene, immediate, semplici. Insomma, sulle prime impressioni. Quelle istintive e “di pancia”. Succede anche nel film più popolare e amato del nostro (assieme a La Città Incantata), perché Il Castello Errante di Howl è tutto basato sul cortocircuito tra realtà e percezione della realtà. Sempre impegnato nel braccio di ferro tra apparenza ed essenza, forma e sostanza.
Da una parte la dolce, giovane e bella Sophie, che sembra quasi essersi autocondannata a una mesta vita da cappellaia priva di entusiasmo. La ragazza, per invidia della Strega delle Lande, verrà trasformata in una vecchietta ammaccata dal tempo. La bellezza è sfiorita. Sophie non ha più tutta la vita davanti come ogni 18enne. Così, vivere dentro un corpo logoro e stanco la smuoverà dal suo torpore e dall’incolpevole illusione dei giovani che si sentono invincibili.
Dall’altra abbiamo Howl, bello e dannato. Un po’ Narciso, un po’ Peter Pan. Ragazzo vincolato a un incantesimo che si aggira per il mondo lasciando cuori spezzati ovunque passi. Un re in apparenza beato, ma dentro talmente inquieto che anche il suo castello si muove, sfuggente come lui, “errante” come il suo padrone, che sbaglia di continuo. Perché Howl affronta la vita con vanagloria, è un irresponsabile che vive l’attimo senza mai pensare alle conseguenze delle sue azioni. Sarà proprio l’incontro con Sophie a fargli smettere di fidarsi del suo fascino magico, a suggerirgli di scavare finalmente dentro le sue paure alla ricerca della sua vera essenza.
Come in Porco Rosso e ne La città incantata, ancora una volta l’estetica viene vinta dall’etica. Con la consapevolezza che scardina ogni forma di apparenza ingannevole. Il Castello Errante di Howl ci mette in guarda dalla presunta bellezza, e lo fa cadendo in contraddizione. Perché dentro questo splendore animato non c’è oggetto, fondale, personaggio o gesto che non si dipinto con amore certosino. Proprio in onore della bellezza.
L’amore che cambia
Ogni buona fiaba è la storia di una trasformazione. In questo senso Il Castello Errante di Howl è fedele a un archetipo classico, in cui maledizioni e incantesimi trasfigurano i personaggi per farne venire a galla la vera natura. E mai come in questo film, Miyazaki trova nell’amore la scintilla che spinge alla vera trasformazione: quella in cui diventiamo noi stessi, in piena armonia con quello che siamo davvero. È solo trovando il loro contrappunto nell’altro che Sophie e Howl non solo si conoscono, ma si ri-conoscono. È solo così che i due entreranno in contatto con la loro pace interiore, superando ogni indugio e volando sopra un mondo in guerra. Forse non c’è immagine più bella, significativa ed emblematica dei due innamorati che si elevano da terra insieme, mano nella mano, senza accontentarsi di volare e basta, ma camminando in aria. Muoversi sempre e comunque. Muoversi è la chiave di tutto. Come intuiamo sin dal titolo del film. Perché solo gli innamorati se ne stanno fermi a contemplarsi, mentre l’amore ti spinge a cambiare.
Non siamo nella classica fiaba in cui è il bacio del vero amore a trasformare rospi in principi, perché ne Il castello errante di Howl l’amore non fa solo cambiare i due amanti, ma deve cambiare assieme ai due amanti. Nell’arco di sole due ore il rapporto tra Sophie e Howl non si limita soltanto all’infatuazione, ma passa anche per il sospetto, il dolore, la vecchiaia e la debolezza dell’altro. Come se il film proiettasse i nostri verso la vita che verrà, verso un amore che dovrà adattarsi al tempo che passa. Succede tutto in un’opera dal sapore agrodolce, poetica e malinconica. Pronta a cogliere la bellezza dell’attimo, consapevole che ogni cosa bella è destinata ad appassire. Per questo l’unico modo per beffare il tempo sembra accoglierlo, scendere a patti con lui. Come? Andando sempre avanti, trasformandoci, accettando il cambiamento di chi decide di camminare in aria con noi. Se si muovono i castelli, noi non possiamo certo stare fermi.