Che film è Lightyear – La vera storia di Buzz?
Se dovessimo scegliere un solo termine per descriverlo, la parola migliore sarebbe contraddittorio. I motivi sono molteplici.
Attraverso un corto circuito narrativo, questo film animato del 2022 è in realtà un film in live action che appassiona il giovane Andy nel 1995, facendolo presto diventare un fan di Buzz Lightyear (il giocattolo che riceverà in regalo sarà proprio l’action figure tratta dal personaggio del film). È la prima contraddizione di un film che si fa presto a considerare troppo canonico e allo stesso tempo per niente banale. Di un film che, come abbiamo detto nella nostra recensione, è assolutamente riconducibile alla poetica del proprio studio d’animazione, ma che sembra non esprimerla al meglio.
Un film dalla doppia natura: un grande ritorno in sala per la Pixar (finalmente sui grandi schermi da marzo 2020) e un piccolo film che, con una punta di sadica malizia, sarebbe risultato perfetto per la dimensione domestica delle piattaforme streaming.
Certo, Lightyear è un film lontano dalla genialità più esposta della Pixar, mostra il fianco alle critiche, vive in un limbo esistenziale che lo condanna a essere uno spin-off non necessario della saga di Toy Story e un film autonomo che, con quella saga, non ci vuole avere nulla a che fare. Cos’è davvero Lightyear? Un film realizzato dalla più canonica intelligenza artificiale, programmata per seguire una formula consolidata quale quella dei blockbuster, o il prodotto di una visione artistica umana, calda, emozionante e imperfetta?
La risposta non è per niente scontata e la sensazione è quella di un film che commette degli errori per poterli rimediare. Insegnando una lezione preziosa.
Il confine dell’infinito
Conosciamo bene lo slogan che viene pronunciato da Buzz Lightyear, descrivendo totalmente il personaggio e la sua attitudine: “Verso l’infinito e oltre“. Il film Lightyear inizia proprio tenendo bene in mente questa frase cult, mostrandoci uno space ranger che non vede l’ora di esplorare l’universo. Un protagonista sicuro di sé, con una visione rivolta verso le stelle, verso l’Oltre.
Buzz non conosce limiti e, soprattutto, non se li pone. Non ha bisogno dei computer di bordo, non ha bisogno delle inesperti reclute al suo fianco. Gli basta sé stesso, Oltre-uomo capace di tutto. O almeno così vuole dimostrare. Perché c’è un aspetto del carattere di Buzz che lascia presagire una persona meno sicura del previsto: il bisogno di parlare a un Comando Stellare inesistente, costruendosi un’epica fittizia intorno al suo personaggio, diventando regista e attore di una commedia costruita su misura per lui.
Ecco il primo legame con la poetica Pixar, studio d’animazione che ha sempre usato l’audiovisivo come mezzo rivelatore di scomode verità, sia all’interno delle proprie storie (dove il protagonista raggiungeva l’epifania del suo percorso attraverso gli eventi trasmessi da uno schermo, un esempio su tutti: Coco) che per parlare al proprio pubblico, mettendo in mostra tematiche che spesso e volentieri vengono evitate. Il risultato è un’opera di decostruzione dei grandi e classici tradizionali valori americani, per poter finalmente abbracciare una maggiore sensibilità contemporanea. L’accettazione della tristezza in Inside Out, la crescita dei figli e la necessità di lasciarli andare in Red, il superamento di un lutto e del rimpianto in Onward, il piacere della scoperta verso l’ignoto in Luca sono solo alcuni esempi di una filmografia sempre attenta alle nuove generazioni di spettatori.
Nel caso di Lightyear si tende a decostruire l’idea dell’eroe tutto d’un pezzo, sicuro di sé e incapace di sbagliare. Lo si fa proprio facendogli commettere un errore che darà il via al film vero e proprio. Una manovra troppo azzardata che costerà a Buzz e alle persone intorno a lui un empasse da cui sarà molto complicato uscirne. Non è un caso che i titoli di testa del film compaiano proprio dopo l’errore del nostro eroe, trasformando l’intera narrazione. Lo space ranger sarà costretto a rimanere imprigionato in un solo pianeta spoglio, la sua vita sarà bloccata in un senso di colpa che, col passare del tempo, si farà via via più pesante. In definitiva, non solo Buzz non potrà più viaggiare verso l’infinito e oltre, ma sarà anche incapace di pronunciare quella frase tanto iconica.
Un film di errori
Sarà solo il primo di una lunga serie di errori per Buzz, troppo chiuso nella sua testardaggine per poter rendersi conto che la sua missione è controproducente per lui e per gli altri. I suoi tentativi di raggiungere la velocità della luce durano poco più di quattro minuti per lui, ma sono più di quattro anni per chi rimane sul pianeta. E così Buzz, tentativo dopo tentativo di uscire da quella prigione (fisica e mentale) ne rimane sempre più intrappolato. Sino a ritrovarsi completamente da solo. Un eroe che fallisce non perché incapace di mettere in mostra le proprie qualità, ma perché poco altruista e troppo egoriferito.
Persino quando il nostro è costretto a far squadra con una banda di emarginati, imperfetti e pieni di difetti, goffi e impauriti, ancora più inesperti delle reclute (“Magari lo fossimo” dice il personaggio di Izzy), faticherà a riconoscere i propri errori del passato. Tutta l’avventura che i protagonisti saranno costretti a vivere non solo è derivata, ma anche prosegue attraverso sbagli e imperfezioni da parte di tutti. E solo confrontandosi con sé stesso, Buzz potrà finalmente rendersi conto del vuoto esistenziale, nero come lo spazio, in cui era rimasto sospeso. La più classica delle storie di fantascienza, il più canonico percorso di un eroe: non brilla certo per originalità questo film che procede in maniera un po’ zoppicante. E non potrebbe essere altrimenti per un film che commette lo stesso errore di Buzz: cercare di rimediare una rappresentazione sbagliata dell’eroismo.
È un film del 2022, ma dovrebbe essere un film del 1995. Se partecipiamo a questo gioco temporale, Lightyear si dimostra – adesso sì – anni luce avanti nel tempo rispetto ai canoni delle rappresentazioni in voga negli anni Novanta. Coppie omosessuali, eroi fallaci, il grande schermo che promette avventure e luoghi inesplorati, per poi bloccarsi in un ambiente spoglio e vitreo. Tutto il contrario di quello a cui noi, come pubblico, eravamo abituati. Pensiamo a film come Independence Day o Mars Attacks!, Demolition Man o Stargate e immaginiamo Lightyear in mezzo a quel decennio di opere di fantascienza composte da eroi perfetti e dall’American Way of Life. Il film Pixar viaggia indietro nel tempo per dire che avevamo bisogno di altri eroi per convincere l’Andy di turno (e tutta la generazione successiva) a esaltarsi e crescere sapendo che l’eroe solitario non può nulla contro la bellezza di una squadra, unita, imperfetta, sbagliata.
Verso il futuro… e oltre!
Una rappresentazione sbagliata da correggere. Lightyear pecca di hybris come i migliori villain della storia e, per questo, sembra essere destinato a fallire. Già oggi le critiche al film tendono a considerarlo un’aggiunta piacevole ma lontana dalle migliori opere della filmografia Pixar, un godibile film d’intrattenimento che però dà forma a un’idea (perdonate il gioco di parole) “sbagliata” di cosa dovrebbe essere un film d’animazione. La ricerca dell’iperrealismo sembra rivelarsi controproducente: dove sta la novità rispetto a un canonico blockbuster Marvel (di cui vengono replicati addirittura titoli di coda e scene post credits) in live action?
Forse è proprio questo l’aspetto contraddittorio più interessante del film.
Lightyear vuole correggere la rappresentazione degli eroi del passato, ma è costretto a cambiare il senso stesso della sua missione, al pari dei protagonisti del film. C’è una battuta che, durante la visione, sembra una gag umoristica, ma che nasconde ben altro: “Ogni giorno l’obiettivo è non morire“. Viene pronunciata da Morrison, spalla comica del gruppo, ma anche personaggio tragico in cerca di uno scopo alla sua esistenza. In quella frase si nasconde una verità che colpirà nel terzo atto anche Buzz come una doccia fredda, rivelatoria ed epifanica: se ogni giorno siamo costretti a compiere una missione piena di imprevisti, ogni giorno siamo reclute. Di conseguenza, gli errori diventano non solo necessari, ma anche naturali.
Così come Buzz deve lasciar andare il passato e il senso di colpa per aver “imprigionato” la propria comunità su un pianeta inospitale, così Lightyear è costretto a rendersi un film del 2022, incapace di modificare il passato e quella rappresentazione ormai superata di quegli eroi perfetti della storia cinematografica.
Gli errori non servono a sistemare il passato e migliorare il presente, ma ad aprire le porte del futuro. È questa la lezione più importante di un film che risulta coerentemente imperfetto, che si conclude con lo sguardo verso le stelle. Il futuro, l’ignoto, l’universo, l’infinito. E oltre.