Cinque anni dopo il trionfo a Cannes con The Square, il regista svedese Ruben Östlund è di nuovo sulla Croisette, in concorso, e noi ne parliamo nella recensione di Triangle of Sadness. Un’alta produzione dal respiro internazionale, con nientemeno che Woody Harrelson in un ruolo minore, per quella che è l’ennesima incursione di Östlund nei recessi più cupi e meschini dell’animo umano. Incursione dissacrante e tripartita, come da titolo, che conferma il genio irriverente di una delle firme più bislacche del cinema scandinavo contemporaneo (essendo originario di Göteborg, il regista è notoriamente poco amato dall’establishment dell’industria cinematografica nazionale, che si concentra su Stoccolma e dintorni).
Triangle of Sadness
Genere: Commedia
Durata: 142 minuti
Uscita: 21 maggio 2022 (Cannes) / da definire (Italia)
Cast: Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson
Uno e trino
Come spiegato nella sequenza inaugurale, dove vari modelli si sottopongono a un provino per una campagna promozionale, il triangolo della tristezza è la zona delle sopracciglia, che incidono sull’espressione facciale quando bisogna sorridere (o farne a meno, a secondo della marca che si promuove). È in quell’ambiente che si muove l’inglese Carl (Harris Dickinson, visto in The King’s Man – Le Origini), il quale sta con un’altra modella, Yaya (Charlbi Dean). Il loro rapporto è tutt’altro che positivo, come si può vedere quando vanno al ristorante e scoppia una scenata su chi dovrebbe pagare il conto a questo giro (in teoria si alternano), un litigio che manda su tutte le furie soprattutto lei, che gode di maggiore credito rispetto a lui e quindi si aspetta di essere trattata come una principessa in ogni momento della giornata. I due sono poi invitati a trascorrere qualche giorno su una crociera di lusso per i più altolocati, dove opulenza e narcisismo la fanno da padrone. E lì inizia la seconda parte del film, dove la nozione del “mangiare i ricchi” assume connotazioni sempre più spassose e grottesche quando le cose cominciano a prendere una piega inaspettata…
Amore e anarchia
Dal mondo dell’arte in The Square si passa, in teoria, a quello della moda. Ma il narcisismo di quell’ambiente è solo una scusa per affrontare l’egocentrismo affluente in senso più ampio, con un approccio satirico che raggiunge l’apice in una scena, già mitica dopo le prime proiezioni a Cannes, di conati di vomito che non hanno nulla da invidiare al celebre Mr. Creosote di montypythoniana memoria. Un momento esilarante e altamente disgustoso (si consiglia di vedere il film a digiuno), che segna la transizione dalla prima alla seconda metà del film con nordica gioia.
Transizione che è all’insegna della sregolatezza, con meno precisione rispetto ai film precedenti di Östlund ma con la stessa divertita ferocia che è il suo marchio di fabbrica. In tal senso è giusto che il film, come i suoi personaggi, si perda un po’ per strada, non avendo più a disposizione quell’equilibrio che si dava per scontato in quel mondo rigoroso, quasi geometrico (ancora il triangolo), che il cineasta smonta con un’energia debordante e inarrestabile, in nome di una libertà che sovverte tutte le aspettative. Un viaggio la cui meta finale è meno importante (e meno d’impatto) delle singole peripezie, espressione di un estro controllato nel suo essere fuori controllo, con due ore e mezza che sono troppe e al contempo giuste, per demolire un’opulenza che poco ha da spartire con il luogo comune dell’austerità del cinema scandinavo.
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La recensione in breve
Triangle of Sadness è una commedia satirica imperdibile e feroce. Ruben Östlund torna a fare satira con il suo solito approccio irriverente, smontando il mondo dei ricchi con gioiosa spudoratezza e sregolatezza.
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Voto ScreenWorld