Dopo essersi già cimentato a suo modo con il mondo di James Bond adattandone alcuni elementi per il suo film degli X-Men, Matthew Vaughn si è poi fatto notare qualche anno dopo omaggiando più esplicitamente la celebre spia con il primo Kingsman, basato sul fumetto The Secret Service di Mark Millar e Dave Gibbons. Un omaggio molto irriverente, con tanto di battuta sessuale che fa il verso ai doppi sensi dell’era di Roger Moore.
Poi c’è stato il secondo capitolo, ancora più eccessivo e spudorato, e generalmente meno apprezzato. La storia del giovane Eggsy è destinata a continuare a breve, ma nel frattempo il regista ha voluto espandere il franchise. Lo fa con un prequel, oggetto di questa recensione di The King’s Man – Le Origini, divertimento ideale con cui tornare in sala in questo primo mese del 2022.
The King’s Man – Le Origini (2021)
Genere: Avventura/Azione/Commedia
Durata: 131 minuti
Uscita: 5 gennaio 2022 (Cinema)
Cast: Ralph Fiennes, Harris Dickinson, Rhys Ifans
Come (non) andare in guerra
In origine, come svelato in The King’s Man – Le Origini, era la storia di Orlando Oxford (Ralph Fiennes), pacifista convinto che decide di tenere il figlio Conrad (Harris Dickinson) al riparo da ogni pericolo dopo che questi ha assistito in tenera età alla morte della madre. La posizione del genitore diventa sempre più difficile da mantenere quando un misterioso complotto porta all’inizio della Prima Guerra Mondiale e Conrad dichiara di essere pronto a servire l’Inghilterra appena avrà raggiunto la maggiore età. Quello che lui inizialmente non sa è che il padre sta facendo la propria parte, avendo messo su un’organizzazione di spionaggio che fornisce informazioni vitali alle varie superpotenze coinvolte. Ma la mente malvagia che si cela dietro il tutto non demorde, e per la sua mossa successiva intende avvalersi di una delle figure più viscide dei due secoli scorsi: Rasputin (Rhys Ifans), incaricato di indebolire il ruolo della Russia al fine di alterare le sorti del conflitto. Si prospetta un viaggio in terra zarista per valutare il da farsi, cosa non facile dato che Rasputin, oltre a essere uno scaltro manipolatore, è anche a dir poco perverso…
Inizi rocamboleschi
Fedele alle linee guida del franchise e al contempo un film dotato di identità propria, come se l’elemento Kingsman fosse una scusa per realizzare una pellicola d’avventura in costume di quelle che gli studios sono ora restii a finanziare, il prequel ideato da Vaughn è un viaggio spettacolare tra nazioni, a base di sangue e trattative intrise di ironia. Chi è affezionato ai primi due episodi potrebbe in parte non ritrovarsi in questa sede, soprattutto quando Vaughn, che è un cineasta coraggioso ma non incosciente, accantona provvisoriamente la cifra stilistica del franchise per fare qualcosa di più emotivamente e storicamente sincero, mostrando senza filtri sarcastici gli orrori della guerra. Una scelta che non metterà d’accordo tutti, ma tale incostanza tonale si rivela preziosa proprio per arrivare a quello che sarà il vero inizio della saga dei Kingsman. Se i primi due capitoli deformavano con affetto gli stilemi del Bond di Moore, questo si rifà maggiormente all’epoca di Daniel Craig, dove l’azione e lo humour vanno di pari passo con l’introspezione e l’approfondimento psicologico.
Forse non a caso, da quel punto di vista, il ruolo principale è stato affidato a Ralph Fiennes, che circa trent’anni fa fu considerato per 007 e ha poi affiancato la versione di Craig (come ha fatto anche Gemma Arterton, la cui presenza suggerisce che Vaughn abbia imparato dalla scarsa attenzione ai personaggi femminili nei due film precedenti). L’ideale antesignano della letale eleganza di Colin Firth (ma anche di Michael Caine, che da giovane era Harry Palmer e nel 2015 è stato il leader di Kingsman), un concentrato di impeccabile dizione British – chi può vada a vedere il film in lingua originale – e prestanza fisica al servizio di un divertimento intelligente e ancora pronto a sorprendere. Le maniere fanno l’uomo, diceva il capostipite. E a qualche anno di distanza, si può dire che l’assenza di maniere fa il franchise. E a giudicare dal mid-credits, che pone le basi per un possibile secondo viaggio nel passato, le cose potrebbero continuare in tale direzione per anni, a seconda dei piani per mantenere vivo e fresco l’universo spionistico creato da Millar.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
Conclusioni
Al terzo giro, il franchise spionistico di Matthew Vaughn conferma di avere ancora diverse carte da giocare, espandendo il mondo ideato a suo tempo da Mark Millar con fare creativo e spettacolare.
-
Voto ScreenWorld