C’è sempre un gran parlare sui social dopo certe dichiarazioni provenienti dalla televisione, in particolare proprio dalle emittenti nazionali che alle volte – e possiamo dirlo serenamente – sbagliano l’obiettivo delle loro argomentazioni, semplificando e molto spesso trattando i cambiamenti sociali come qualcosa da tenere debitamente alla larga dall’opinione pubblica, come se dovesse esserne protetta. E questo accade, in particolare, quando l’argomento di discussione sono i videogiochi.
Nello specifico stiamo parlando di cambiamenti che, nel corso degli ultimi anni, hanno coinvolto una larga fetta di pubblico e la sua sensibilità, trattando dei temi spesso difficili per chi è già avanti con l’età. La televisione e le emittenti informative, spaventate da tutto questo insieme e dalle sue imprevedibilità, hanno cercato di parlare poco dei videogiochi e della loro diffusione nella cultura di massa, proponendo alle volte dei servizi superficiali, parlando sempre e solo delle opere che causano violenza, come se esistessero solo quelle, lasciando in disparte tutte le altre. Ci teniamo a sottolineare che i videogiochi, nel corso degli ultimi trent’anni, sono diventati prodotti che vanno ben oltre il concetto stesso di gioco, e che al loro interno ci sono storie incredibili da condividere e ricordare. Sono diventate produzioni da capire e da trattare, prima che come produzioni commerciali, come opere artistiche con un significato autoriale. Dobbiamo però precisare che il mercato videoludico, almeno in Italia, non sta crescendo come sta avvenendo in altre parti del mondo.
Sicuramente è cambiata la consapevolezza, certo, ma non è ancora stato fatto abbastanza perché si avviassero delle riflessioni adeguate e significative. Da una parte pensiamo che includere i servizi d’informazione generalisti nel discorso sul valore e le potenzialità dei videogiochi potrebbe essere un’ottima soluzione, ma dall’altra, invece, siamo convinti che ancora molte testate non siano pronte a portare il dibattito su un piano più professionale e accademico, valorizzando i videogiochi come opere d’arte e d’intrattenimento.
MasterGame e la speranza di un futuro meno videoludofobico
Eppure i tentativi di proporsi con leggerezza ma serietà all’opinione pubblica attraverso la RAI o Mediaset non sono mancati. Il lavoro di Gian Luca Rocco con MasterGame è stato utile e puntuale, nonché necessario: è una prova di divulgazione sana che, se condivisa sia dalla stampa specializzata che dagli utenti, fornisce ai suoi fruitori molti più elementi per comprendere meglio il mercato, il valore dei videogiochi, e la loro importanza nella nostra società. Esistono sfortunatamente dei casi, però, che raccontano i videogiochi in modo errato e maldestro.
E non sono termini che utilizziamo con leggerezza, ma non possiamo sicuramente lodare le parole che approfondiremo a breve nel corso del nostro articolo. Diciamolo, sono esplicazioni che non possiamo più accettare, non nel 2022. E non possono accettarle i redattori e i collaboratori, né tantomeno i responsabili editoriali, i caporedattori e i Senior Editor di ogni testata nazionale.
Andrea Cangini, senatore di Forza Italia ed ex giornalista, ha partecipato di recente a un intervento su Rai 1, presentando il suo libro che parla di web, social e videogiochi, argomentando e sottolineando quanto questi facciano male ai giovani. In questo miscuglio, durante la presentazione, ha parlato anche degli Hikikomori, un fenomeno che colpisce giovani adulti e adolescenti che si isolano dalla società.
Gli Hikikomori non si distaccano da quest’ultima per colpa dei videogiochi o dei social. Il paragone maldestro di Cangini non ha, quindi, alcun senso. Gli Hikikomori si distaccano dalla società, chiudendo le finestre delle loro abitazioni e tagliando i ponti con amici, conoscenti e famigliari. Non si può parlarne con leggerezza: ci vuole delicatezza per trattare argomenti simili. Questo è uno di quelli che, a nostro avviso, dovrebbe essere affrontato non solo con le pinze ma persino con un guanto chirurgico e dei bisturi per non recidere le sensibilità altrui. Non tanto perché dire “Diamo la parola agli esperti” potrebbe conferire una sorta di aureola di onnipotenza, ma perché qui è necessario il parere di un esperto, di persone laureate in scienze, psichiatria e in sociologia.
Facciamo chiarezza
Proseguendo nell’intervento, il senatore parla anche dei bambini che utilizzano il cellulare e dell’educazione che certi genitori dovrebbero dare ai loro figli. Ebbene, in tutto questo cosa c’entra il cellulare? Perché il cellulare diventa il problema? Qui c’è una mancanza di educazione ai mezzi con cui i bambini si interfacciano per la prima volta, inconsapevoli di cosa si trovano di fronte e quali rischi possono correre.
Questo è un riferimento che il giornalista, in maniera ancora una volta maldestra, collega con i videogiochi, ritenendo che da quando le console sono entrate nelle case degli italiani i problemi siano moltiplicati. In realtà la violenza c’era già prima, ma è aumentata perché la società odierna non ha fornito ai bambini e agli adolescenti gli strumenti necessari per crescere con serenità e appagamento personale.
Non siamo numeri, insomma, ma persone con passioni.
Un videogioco non interrompe la lettura di un libro, e quest’ultimo non interrompe un videogioco o un film. Ma se da una parte è una mancanza logica, che non riusciamo a comprendere, dall’altra è una motivazione anagrafica. Diciamocelo, non tutti gli over 50 conoscono i videogiochi, a parte chi ne scrive da trent’anni. E allora qual è il problema di fondo?
Cocaina o videogioco? Stessa cosa? No, aspettate, parliamone!
“Gli effetti innescati dall’uso – che può degenerare in abuso – di videogiochi e social sono letteralmente identici a quelli della cocaina, che secerne l’ormone che trasmette la sensazione del piacere“, ha dichiarato il senatore di Forza Italia. Cos’è la cocaina? Intanto è una sostanza stupefacente che qualcuno assume per motivazioni di cui non possiamo conoscere il motivo, e non cancella quello che è: droga. Poi, sembra assurdo, ma i videogiochi non vengono iniettati nel proprio corpo ma vissuti e compresi, ed esiste una dipendenza, certo, ma non come il senatore di Forza Italia sostiene paragonando e unendo due cose opposte l’una dall’altra, sminuendo in questo modo chi soffre di tossicodipendenza.
Esistono videogiochi che l’ex giornalista, probabilmente, non conosce. E non è un male, anzi, non vogliamo in alcun modo condannarlo, ma è giusto che sappia che il videogioco è un’opera d’arte complessa per molti, da studiare e analizzare. Come è stato fatto per Petrarca, Alighieri e Manzoni, e come viene fatto per Sanderson, Cornwell o Martin. Stiamo parlando di Death Stranding, Red Dead Redemption o Road 96 e Gris.
Insomma, stiamo discutendo di un mercato sfaccettato, pieno di opere memorabili e interessanti che vanno oltre Fortnite e altre produzioni. E stiamo parlando di produzioni diverse, con finalità differenti e scelte originali, il più delle volte (ed esistono anche videogiochi brutti, sia chiaro, ma c’è un mondo incredibile che se conosciuto e approfondito, propone “opere” come The Quiet Man – e non lo giochi, senatore, la prego, lasci perdere). Quando si equipara la droga al videogioco, intanto si dovrebbe conoscere cosa nasconda la Tana del Bianconiglio.
Il futuro è gioventù, mettetevi l’animo in pace
I ragazzi vengono considerati, oltretutto, cognitivamente meno intelligenti rispetto a quelli del passato, e neanche su questo possiamo concordare. Abbiamo la fortuna di approcciarci, sia come critici che come giornalisti, a molte persone, e siamo convinti che i giovani d’oggi abbiano raggiunto una loro consapevolezza sia personale che professionale, e abbiano compreso le loro identità, soprattutto di genere, in un periodo complesso come quello del Covid e della guerra in Ucraina.
I problemi psicologici a loro arrecati, intanto, sono collegabili alla società in cui vivono, a cosa provano, e a quello che vedono. La cosa spiacevole, tuttavia, è che già persone di trenta e quarant’anni, che nel 2010 e nel 2012 avevano ventitré o venticinque anni, hanno vissuto quello che stanno vivendo i ragazzi di oggi in questo vortice sociale di incertezze e paure. Il problema, dunque, non sono solo i videogiochi che no, senatore, non sono come la cocaina. Il problema è un altro, e forse non deriva dalla generazione Bataclan. Il problema è sociale, e le cause non sono quelle elencate, ma altre che conosciamo fin troppo bene, per citarne alcune, la disoccupazione, l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza e la violenza. Cose non scritte in un disegno di legge.