Dimentichiamo per un attimo mandaloriani, Jedi e cloni in guerra. Torniamo alle origini della galassia lontana lontana, quando il merchandise era ancora lontano e ci si chiedeva se davvero la rotta di Kessel si potesse fare in meno di dodici parsec. Quando Star Wars era Guerre Stellari, insomma, giorni in cui tra le stelle si cercava l’avventura, quella autentica, pura, che aveva spinto un giovane sognatore a rivoluzionare Hollywood con la space opera. Se state pensando sia impossibile, forse non avete dato una possibilità a Skeleton Crew, serie ambientata nella galassia di Star Wars che ha ricordato a tutti l’essenza del sogno di Lucas.
Non fatevi ingannare dalla presenza di giovani protagonisti. Non tacciatelo subito di essere uno Stranger Things con spade laser. Dopo anni in cui il franchise ha faticato a mostrare sprazzi di quella meraviglia che ci ammaliati con le imprese di Luke Skywalker, questa avventura piratesca riporta nella saga il sense of wonder che a lungo è latitato, ritornando in un certo senso alle origini – non solo di Star Wars.
Le origini dell’avventura
Star Wars è stato accusato di avere perso la propria identità, in cerca di una facile approvazione da parte del fandom decennale e al contempo di ammaliare le nuove generazioni. Un dualismo impazzito, che ha visto il peggio nella Trilogia Sequel e in Obi-Wan Kenobi ma che ha avuto sprazzi di furba lucidità in The Mandalorian, con un tentativo di tornare alle basi: raccontare un’avventura.
Non è un mistero che Lucas avesse una venerazione per l’avventura di stampo classico, tanto da vedere nelle prime imprese del Paperone di Barks, come Zio Paperone e le sette città di Cibola, o nella fantascienza pulp le sue ispirazioni. Ma l’avventura autentica, quella che sa come toccare le corde dei più giovani, è ancora precedente, e ha un nome preciso: L’Isola del tesoro.
Sedersi all’Admiral Benbow e bere del rum è stato il primo passo nell’avventura per generazioni di lettori. La fortunata alchimia di storia e personaggi creata da Stevenson ha forgiato l’immaginario collettivo, sedimentandosi e rendendo L’Isola del tesoro un classico senza tempo. Senza tempo, ma ripreso, adattato e riproposto in mille modi, perché non importa come la rielabori, una bella storia non invecchia mai.
Forse The Goonies non sarebbe esistito senza L’Isola del Tesoro, ma sicuramente non avremmo avuto quella mai troppo amata perla de Il Pianeta del Tesoro, perfetta trasposizione del classico di Stevenson in chiave sci-fi, uno dei quei film che non importa quante volte lo guardi, verserai sempre una lacrima quando sentirai:
Un momento, stammi un po’ a sentire Jim Hopkins, tu hai la stoffa per compiere grandi imprese, ma devi prendere in mano il timone e tracciare la tua rotta, e devi seguirla, anche in caso di burrasca… E quando verrà il momento in cui potrai mettere alla prova la qualità delle tue vele e mostrare di che pasta sei fatto, beh, spero di essere lì.
Capitano, mio capitano
Può un film condensarsi in una frase? Ovviamente no. E invece sì, ammettiamolo: con una frase ci si conquista il pubblico, se sai come usarla. In realtà, quella frase, che condensa il senso di scoperta di sé e e del mondo, funziona perché arriva dal personaggio più intrigante della combriccola: l’adorabile canaglia, archetipo narrativo che tutti amiamo – che si chiami Long John Silver, Jack Sparrow o Han Solo.
La canaglia, il pirata, sarà sempre un personaggio che attira, con quel misto di ribellione e libertà che non ti può lasciar insensibile. Se poi lo inserisci in un viaggio oltre i confini, di mare o di galassia che sia, poco importa: hai in pugno la mano vincente.
Non a caso, uno dei personaggi cult di Star Wars è un contrabbandiere corelliano, capace di offuscare con il suo sorriso sornione e la sua attitude gigionesca figure più carismatiche. Il Silvo di Jude Law è erede di questa tradizione, ma ne è anche libero. Non viene obbligato a un percorso di redenzione, a divenire buono a ogni costo, ma rimane fedele sino all’ultimo alla sua ossessione, più Achab che Han Solo. Eppure non puoi non provare empatia per lui, figlio di una galassia violenta che cerca di farsi spazio, di emergere, pronto a tutto ma non senza patirne le conseguenze.
Pura avventura
Ecco il segreto di Skeleton Crew: ricordarsi che l’avventura non ha bisogno di tante sovrastrutture emotive, di trame complesse o eventi incredibili. Basta trovare la giusta chiave emotiva, rispettare i personaggi e ricordare a chi devono rivolgersi. Consapevolezza che mancava in Star Wars, vittima di uno sfruttamento che imponeva di creare storie spesso senz’anima solo per dare qualcosa in pasto al fandom, cercando appigli disperatamente nostalgici.
Una ricetta che si rivolge a un pubblico dimenticato: i giovanissimi. Quelli a cui non forse non ha parlato immediatamente Lucas, che si rivolse agli adolescenti, ma che avevano già avuto modo di avere L’avventura degli Ewoks (Caravan of Courage, 1984) e Il ritorno degli Ewoks (Ewoks: Battle for Endor, 1985). Un tono meno sci-fi e più fiabesco, capace di giocare su quella natura ibrida del franchise che da anni separa il pubblico.
Un pubblico che nel frattempo è cresciuto e che può trasmettere la propria passione a una nuova generazione. E quale modo migliore di vivere un’avventura?
Il viaggio degli eroi
Finestra d’uscita perfetta per Skeleton Crew, serie per famiglie da gustarsi nel periodo natalizio. Dietro la dinamica epopea dei giovani protagonisti e della loro sfuggente guida, vengono ritratte le difficoltà nell’abbandonare i sogni dell’infanzia o la paura di un genitore nel lasciare liberi i propri figli di affrontare il mondo.
Perché l’avventura può esser anche accettare di sfondare certe barriere: puoi trovarla nelle parole di un pirata che ti sprona a non accontentarti di un percorso già designato o nell’abbraccio ristoratore con un’amica, dopo una lite. Skeleton Crew nasconde sotto la spettacolarità di un viaggio epico tra le stelle la grande sfida di crescere, di accettare i cambiamenti di chi amiamo ma anche di incassare la fine di un sogno.
A patto di tenere sempre nel cuore un angolino in cui proteggerli, certi sogni, metti mai che un giorno trovi un’astronave abbandonata…
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