Una delle domande tipiche di quando si affronta la fantascienza da una prospettiva filosofica, suona più o meno così: se dovessimo sostituire pezzo dopo pezzo tutto il nostro corpo, resteremmo comunque esseri umani? L’ho sempre trovato un quesito affascinante, perché prevede una risposta a una questione secolare, che affonda le radici nella scuola di Cartesio e nella definizione di anima, e aleggia da sempre nella testa dei pensatori di ogni epoca: cos’è che ci identifica come umani?
Quanto in là possiamo spingerci nel renderci “artificiali” prima di scavalcare la definizione? Esiste un’intera corrente di pensiero, il postumanesimo, che studia questo spazio di confine. Sono inoltre domande che mi sono fatto spesso mentre giocavo a Stellar Blade.
Stellar Blade, una commistione di suggestioni
Stellar Blade unisce il meglio della new wave coreana a un immaginario prevalentemente giapponese, ma comunque ricco anche di influenze occidentali. È una commistione suggestiva tra fantascienza e horror, tra battle shonen e k-pop, tra un manga sexy e un dramma filosofico. In questo titolo abbiamo trovato tutto, e molto spesso al posto giusto. In più di un’occasione ci ha ricordato perché lo scorso anno siamo rimasti profondamente affascinati da un altro videogioco sudcoreano, ovvero Lies of P.
Entrambi hanno una natura citazionista ma con un carattere peculiare, familiare ma irresistibile. Lies of P affonda le radici nel Bloodborne di From Software salvo poi offrire al videogiocatore un’esperienza molto diversa, una rilettura originale del Pinocchio di Carlo Collodi con un sistema soulslike perfettamente funzionale; Stellar Blade ripropone alcune delle dinamiche e dei topos già visti in NieR Automata, l’opera di culto di Yoko Taro, ma con un quid diverso, sia al livello di azione che di tematiche. Inoltre i due titoli sudcoreani si parlano continuamente, quasi per magia, costruiscono un linguaggio estetico e funzionale condiviso. In Stellar Blade vivono alcune delle meccaniche da soulslike di Lies of P (pur senza le sue asperità più respingenti), e perfino il combattimento, con i suoi tempi ora riflessivi ora frenetici, me lo ha ricordato.
Eve, Angelo della battaglia
Prima dell’uscita del videogioco si è parlato molto di Eve, la protagonista del titolo, per le sue forme generose e l’aspetto da idol. Eve è personaggio molto affascinante: una cyborg da combattimento, una discendente dell’umanità, generata dalla Grande Sfera. Se Eve è un angelo (così vengono chiamati i membri dell’unità di supporto in cui milita), allora la Grande Sfera è dio. La nostra protagonista è a metà tra l’umano e il divino, con una spiccata sensualità e delle capacità fuori dall’ordinario. Ed è proprio dallo scontro di questi due universi, quello terreno e quello ultraterreno, il sacro e il profano, che nasce l’aspetto più stimolante dell’opera, che nei suoi momenti migliori sembra quasi una rilettura della paleoastronautica.
L’incontro tra l’umanità e la Grande Sfera ha infatti permesso la sopravvivenza della nostra specie in un ambiente sempre più ostile, sostituendo gradualmente tessuti e organi con tecnologie in grado di resistere all’invecchiamento, all’inquinamento e alla minaccia dei Naytiba. Questi ultimi sono nemici misteriosi, creature parassitarie che a volte si fondono con gli esseri umani,a volte con le macchine, rendendo ancora più foschi i confini della postumanità. La natura organica e inorganica dei personaggi è sempre in dubbio: in che percentuale Eve è un cyborg? E gli abitanti di Xion, l’ultimo avamposto umano sulla Terra, ormai talmente meccanicizzati da essere senza volto, mossi da gambe e braccia robotiche, sono ancora umani?
Il rapporto con la tecnologia è perennemente al centro della discussione, con Eve che fa da pivot del discorso. La sua figura ricorda quella della protagonista di Alita: Battle Angel e ovviamente del già citato NieR Automata. Ma c’è spazio anche per suggestioni che provengono dall’immortale Alien, da Dead Space, e perfino dal cinema di David Cronenberg, grazie a personaggi come il saggio Orcal, collegato a un sinistro macchinario da cavi figli delle atmosfere surreali di eXistenZ. Sintetico e organico si fondono, in uno scenario che ha il sapore del body horror. D’altronde il corpo, quello di Eve, ma anche quello degli altri personaggi che incontriamo, è sempre in primo piano, sempre discusso, modificato, ferito, amputato.
Un flow da sogno
Se le premesse narrative e tematiche di Stellar Blade sono interessanti, non è da meno il suo gameplay, che vive di mille suggestioni ma trova in fretta una sua identità. Con mia grande sorpresa, non è il combattimento l’aspetto che ho apprezzato di più, sebbene nel corso delle ore diventi sempre più raffinato, quanto l’esplorazione dei livelli, che alternano aree geograficamente più aperte ad ambienti più lineari, sempre molto stimolanti, ricchi di ricompense, passaggi segreti e nemici nascosti. Ci si torna spesso per fare backtracking e risolvere le tante missioni secondarie che il titolo propone per potenziare il personaggio e avere accesso all’incredibile vastità di opzioni di personalizzazione di Eve.
Anche in questo caso il corpo della protagonista, e le possibilità di personalizzarlo, sono centrali nello svolgersi degli eventi e danno un senso cyberpunk al racconto: sono moltissimi i design dei costumi, gli accessori e le pettinature a disposizione per la guerriera. Così come le ibridazioni con tecnologie in grado di modificare sensibilmente la sua build. Chip e impianti che ritoccano i riflessi, favorendo il timing delle parate e delle schivate perfette in pieno stile Sekiro, oppure che ne aumentano la forza fisica. Nelle fasi avanzate del videogioco è possibile attivare una modalità “furia” (anche questa riguarda l’ibridazione con un altro angelo) che sembra uscita dagli ultimi God of War.
Si viene spesso stimolati a provare differenti strategie, anche per merito dei continui cambi di ritmo e di regole che il videogioco propone. Alcune sezioni per esempio non prevedono l’uso della spada ma solo delle armi da fuoco; certi scontri all’arma bianca si risolvono più in fretta se si riesce a imparare il pattern degli attacchi avversari, respingendoli con parate perfette. Altri frangenti hanno a che fare con sezioni platform ed enigmi ambientali.
Stellar Blade non è di certo un titolo impeccabile ma, come per il cugino Lies of P, siamo rimasti sbalorditi di fronte al risultato. Specialmente pensando che ShiftUp è alla prima esperienza su un titolo “canonico”, dopo un fortunato filone di giochi mobile (Destiny Child e Goddess of Victory: Nikke). Si tratta di un videogioco divertente, con un flow da sogno, capace di regalare qualche suggestione narrativa veramente profonda e di rileggere il rapporto tra essere umano e macchina, tra essere umano e dio e tra l’essere umano e il suo corpo, in modo originale, libero. Ancora una sorpresa sudcoreana per un mercato che ci sta regalando, anno dopo anno, dei prodotti capaci di lasciare il segno. 감사합니다 =!
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