Il più grande difetto di Starfield? Ricordare a tutti che non abbiamo più sedici anni. Che con la vita adulta troviamo sempre meno tempo da dedicare alle nostre passioni, videogiochi compresi. Chi già mastica la grammatica di gioco classica dei giochi Bethesda è consapevole che “una partita veloce” non rientra nella filosofia degli sviluppatori, gli stessi che hanno dato i natali a franchise quali Fallout e The Elder Scrolls.
Entrare nel mondo di Starfield esige un prezzo carissimo da pagare, che si traduce in centinaia di ore di gioco, come minimo, per addentrarsi in questa epopea spaziale, piena di missioni da affrontare tra le stelle, pianeti da scoprire ed esplorare e un mistero cosmico da svelare. Eppure, al netto dei classici difetti di gioco, ormai quasi un marchio di fabbrica di Bethesda, Starfield oltre a convincere nella sua natura, ci ricorda anche che abbiamo un bisogno viscerale di altri giochi ambientati nello spazio.
Da No Man’s Sky a Starfield
In questi ultimi giorni No Man’s Sky, la travagliata opera di Hello Games, è tornata sotto i riflettori, riscoperta proprio perché si tratta di un altro titolo che affronta il discorso dell’esplorazione spaziale, seppur con un approccio più intimo.
Scrivere oggi di No Man’s Sky significa fare i conti con un gioco che si è trasformato nel tempo. Infatti, durante l’estate del 2016, finestra di uscita di No Man’s Sky, il pubblico si ritrovò tra le mani un titolo estremamente acerbo, povero rispetto alle promesse fatte in fase di marketing, che presentavano il titolo attraverso il concetto di esplorazione, del viaggio interstellare, con un approccio intimo, estremamente ipertrofico quanto minimale: era un gioco dal forte valore filosofico che indagava l’essere umano e il suo posto nell’universo, con un cuore pulsante.
Le critiche non mancarono, arrivando al punto anche di portare Hello Games in tribunale per illeciti riguardo un marketing palesemente falso. Le accuse caddero e il team di sviluppo si rimboccò le maniche pubblicando aggiornamenti gratuiti che continuano ancora oggi, mutando notevolmente quelli che erano gli stilemi iniziali di No Man’s Sky. Motivo per cui il gioco che c’era ieri – così misterioso e affascinante – è decisamente diverso da quello che è oggi – sicuramente completo, perdendo però parte di quel fascino dell’esplorazione.
Alzare gli occhi al cielo
In qualche modo il genere umano ha alzato sempre lo sguardo al cielo cercando di capire e immaginare cosa possa esserci oltre il nostro spazio conosciuto. Dal Cooper di Interstellar al Jim Lovell interpretato da Tom Hanks in Apollo 13 che guarda la Luna dal suo giardino di casa e prova a misurare la distanza con il pollice, l’uomo ha sempre bramato la conoscenza e la voglia di raggiungere e superare i limiti conosciuti.
Come una moderna frontiera selvaggia, oggi lo spazio è il luogo dove tutti si dirigono per conquistare, esplorare o affrontare i propri fantasmi interiori. In quel luogo possiamo dedicare ogni singolo istante alle nostre ossessioni, crisi o ricerche intime. In Starfield l’approccio iniziale per acclimatare il giocatore a questa nuova avventura è del tutto diverso, tranne per la scoperta e diretta ricerca di alcuni oggetti, legati ad un mistero partorito dallo spazio più profondo, qualcosa di vicino al concetto di scoperta e rinascita dell’essere umano.
Nessuno spoiler tranquilli, ma Starfield non fugge da una regola che ha fatto la fortuna di scrittori quali Clarke o Asimov: raccontare un’epopea spaziale equivale a raccontare noi stessi, il genere umano che dopo essersi retto su due gambe decide di fuggire, continuare a viaggiare, esplorare l’ignoto, arrivare fin dove luce può illuminare e anche oltre, perché i limiti bloccano la tecnologia come la scoperta. Se la verità è lì fuori, allora c’è bisogno di scoprirla ed esplorarla.
Approcci multipli
Abbiamo citato film e approcci di grandi classici della letteratura di fantascienza che anche i videogiochi hanno affrontato attraverso il discorso dell’esplorazione spaziale, ma non è certo un caso che, dei titoli che maggiormente ci si ricorda, ci sono quelli che mettono al centro della storia un personaggio carismatico pronto ad esplorare l’ignoto e ad affrontare destini importanti.
Da Mass Effect al già citato No Man’s Sky, senza dimenticare titoli sperimentali ma terribilmente affascinanti come Outer Wilds, oppure Elite Dangerous, Star Citizen, Everspace, queste opere in qualche modo hanno spinto sempre più in là la rappresentazione dell’uomo nello spazio per scopi politici, amministrativi, giochi di potere o crociate che sfociano in egoismi dediti al transumanesimo.
Qualunque sia l’approccio, Starfield al netto delle missioni che ci proporrà di intraprendere, si riveste di questi e altri stilemi ogni qual volta atterreremo su un pianeta sconosciuto. La sensazione è uguale tutte le volte: i piccoli passi fatti con timore, l’arma spianata finché non sappiamo se il pianeta è abitato da vita ostile o meno, lo scanner di ricerca sempre attivo per catalogare flora e fauna locale che nessuno ha mai visto prima. La sensazione di essere letteralmente i primi uomini (virtuali) a mettere piede in qualcosa di sconosciuto.
Che sia questa la vostra tazza di tè o meno, Starfield è la dimostrazione tangibile che abbiamo bisogno di altri giochi che affrontino il tema dell’esplorazione spaziale, per avvicinarci a qualcosa di così lontano come così affascinante. Un motivo per arricchire il nostro sguardo mentre siamo sempre con la testa all’insù, a scrutare le stelle.
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