Sorriso lucente, bellezza invidiabile, un esempio per le bambine di tutto il mondo. Oggi ha il volto solare e rassicurante della splendida Margot Robbie, ma sessant’anni fa aveva le sembianze di una procace donna dai facili costumi. Ammiccante, provocante, disinibita.
Ebbene, sì. Il successo di Barbie, la bambola più celebre e controversa del mondo, nasconde una storia piena di strani incroci del destino. Una storia che scomoda la società americana, gli stereotipi, la Germania del secondo dopoguerra e un ex ingegnere missilistico prestato ai giocattoli.
Come siamo passati da un oggetto del desiderio tra le mani dei maschi teutonici a un fenomeno di culto? Ve lo raccontiamo subito.
L’azzardo biondo
Il piccolo Ken poteva immaginare di essere qualsiasi cosa. Un cowboy, un poliziotto, un soldato, un astronauta. Invece sua sorella, no. La piccola Barbara poteva soltanto giocare a fare la mamma. Solo bambolotti da accudire. Fine dell’immaginazione femminile. Poi, un giorno, la loro mamma nota una cosa. Nota che la piccola Barbara giocava spesso ritagliando sagome di attrici famose da alcune riviste. Sono foto di donne vere con cui immaginarsi grandi. Quella mamma si chiamava Ruth Handler, moglie e collaboratrice di un signore chiamato Eliott, uno dei fondatori della Mattel, azienda specializzata in accessori per case di bambole.
Ruth quel giorno ha un’illuminazione: perché non inventare una bambola che rappresenti una donna moderna e adulta in cui ogni bimba possa identificarsi? Magari una donna in carriera, non più relegata tra le mura domestiche. Un’idea rivoluzionaria che rompeva gli schemi. Un’idea rischiosa che, però, non aveva ancora una forma. La scintilla arriva nel 1959, quando Ruth si trova in Svizzera. È lì che rimane estasiata da una bambola esposta in vetrina.
Si chiama Lilli e incarna una femminilità decisamente sensuale e dirompente. Tanto trucco, forme in bella mostra, espressione ammiccante. Questo perché Lilli è una bambola per adulti, ispirata all’omonimo personaggio di una striscia a fumetti pubblicata sul tabloid tedesco Bild. Scopo della femme fatale? Allietare il maschio medio tedesco, afflitto dal Dopoguerra, con la sua bellezza e disponibilità. Pensate, la provocante figure non veniva venduta alle bambine, ma donata tra uomini agli addii al celibato o regalata alle donne come messaggio subliminale. Lo sguardo ammiccante di Lilli seduce Ruth, che compra tre modelli e se li porta in America. Qui, al confine tra il plagio e la rivisitazione, finalmente Barbie trova un’audace amica a cui ispirarsi.
Come fossi una bambola
L’incredibile genesi di Barbie non passa solo da questo legame straniante con una “bambola del sesso” (così veniva definita in Germania). No, perché a dare vita al personaggio ci pensa il designer Jack Ryan, eccentrico personaggio con un passato da ingegnere missilistico nell’industria bellica americana. Questa volta, però, la missione è un’altra: trovare il design perfetto per la bambola ispirata a Lilli. Ryan decide di lavorare sui dettagli, ma la base rimane quella: una donna adulta, bella, bionda, con la vita stretta e le forme evidenti.
Le idee geniali sono due. La prima: dare alla bambola un tocco più raffinato e aggraziato, trasformando la sensualità in classe con espressioni e posizioni delle mani studiate nel dettaglio. Seconda: creare un vero e proprio manichino su cui ogni bambina può sperimentare sempre abiti diversi. A livello di strategia siamo dalle parti delle lamette per rasoi: ti obbligo a comprare la base fondamentale (la bambola-rasoio) per poi spingere il cliente a comprare gli accessori per valorizzare ancora di più il primo acquisto (ogni abito, quindi, vale come una lametta). Per questo serve una bambola con il collo molto lungo, in modo che il suo viso possa svettare anche più strati d’abito.
Dopo aver limato qualche difetto non gradito a Ruth (come i capezzoli sul seno), finalmente Barbie (chiamata così in onore di sua figlia) è pronta a essere lanciata sul mercato con la sua prima versione: bikini bianconero e trucco ispirato a quello di Erwin Blumenfeld, visto sulla copertina di Vogue del 1° gennaio 1950. La presentazione avviene nel 1959, in occasione della prestigiosa fiera del giocattolo di New York.
Peccato che quel lancio sia un flop colossale. Essendo un evento pieno di uomini, Barbie non viene capita e nei primi mesi dopo il lancio anche le mamme sono perplesse: perché regalare a mia figlia una donna così disinibita? Continuiamo a farla giocare con i bambolotti. Per farla accettare davvero dal grande pubblico, viene adottata una strategia figlia del patriarcato: mettere sul mercato una Barbie sposa e trasformare la bambola nel modello della mogliettina perfetta. Una tattica geniale che funziona alla grande.
Il fenomeno Barbie da quel momento esplode in tutto il mondo, pronto a cambiare moda dopo moda, epoca dopo epoca, sensibilità dopo sensibilità. Una semplice bambola diventa così una proiezione, l’incarnazione dei desideri di milioni di bambine che possono immaginarsi donne attraverso lei. Non mancheranno le controversie, certo. Dalle accuse di materialismo all’epic fail della bilancia puntata sui 50 chili inseriti in una confezione. Passando anche dal timore che Barbie abbia alimentato lo stereotipo della donna bionda superficiale poco intelligente.
La Mattel aggiusterà il tiro abbracciando la rivoluzione femminile a suon di inclusione e scelta al passo coi tempi. E se oggi siamo qui ad aspettare il film Barbie senza sapere cosa aspettarci in sala, è anche merito di una bambola camaleonte, capace di cambiare e sfuggire al suo stesso stereotipo.
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