Hammerstone Studios e Kojima Production hanno annunciato da poco di essere al lavoro su un film ispirato a Death Stranding, serie di videogiochi – visto il recente annuncio del sequel – ideata dal game designer giapponese, e già papà del franchise di Metal Gear, Hideo Kojima.
La notizia è rimbalzata facilmente per tutto il globo. Kojima è un po’ una superstar nel mondo dei videogiochi: designer prolifico e brillante che ha raccolto a sé, in tantissimi anni di servizio, veri appassionati (se non proprio adepti) del suo modo di intendere e realizzare prodotti per il pubblico. Lo stesso Kojima è accreditato come produttore esecutivo del futuro film.
Considerata la classica maledizione e insuccesso di quasi tutti i film tratti da videogiochi e la natura estremamente cinematografica del titolo in oggetto, al netto dell’entusiasmo, è lecito domandarsi se ha senso un film di Death Stranding.
Proviamo a scomporre gli elementi cardine di cui si compone il videogioco per trarne una conclusione.
La trama di Death Stranding
Hideo Kojima non è un autore banale, anzi. È uno di quei creativi che scrive centinaia e centinaia di pagine di sceneggiatura per ogni videogioco che va a creare. Una sorta di bibbia con nomi, eventi, snodi narrativi, spiegazioni e affini. Un compendio di saggezza a cui ogni programmatore può attingere per avere ben chiara la direzione dell’opera in corso.
Dunque, è facile intuire che Death Stranding non è un videogioco la cui trama si può liquidare in un paio di righe, ma vi basti sapere che, come giocatori, siamo chiamati ad attraversare (a piedi) una versione post-apocalittica degli Stati Uniti a seguito di evento catastrofico, ancora in atto, denominato per l’appunto Death Stranding.
Questo evento ha creato un particolare collegamento del mondo dei vivi con il mondo dei morti. Il problema sorge quando elementi di queste due dimensioni entrano in contatto. Materia e antimateria che si incrociano danno vita a un’esplosione dal potere distruttivo impressionante, cosa che ha portato i sopravvissuti a rintanarsi in città isolate dal mondo esterno.
Non ci sono strade, non ci sono collegamenti, fuori dalle mure cittadina ci sono le CA (Creature Arenate provenienti dall’aldilà) e, come se non bastasse, ad aggiungersi c’è anche la Cronopioggia, una particolare pioggia che manipola il tempo di tutto ciò che tocca, andando a deteriorare oggetti o invecchiare in modo istantaneo tutti gli esseri viventi, umani compresi.
In un mondo alle deriva, dunque, gli unici che si avventurano in lande desolate ed estremamente pericolose sono i corrieri, esattamente come li conosciamo oggi, persone che si caricano sulle spalle, letteralmente, ordini da consegnare tra diverse città o avamposti disseminati in questa terra ormai abbandonata e martoriata.
Riconnettersi
Il protagonista di cui prenderemo i comandi è Sam Porter (interpretato nel gioco dall’attore Norman Reedus), leggendario corriere a cui viene affidato un compito importante: nei suoi lavori di consegna è chiamato anche a riconnettere un mondo ormai diviso, andando a creare quella che viene chiamata una “rete chirale”, un sistema unico per connettere tutte le persone nel mondo. Una missione quasi religiosa con lo scopo di abbandonare l’individualismo ed abbracciare una cooperazione fraterna, persa a causa del Death Stranding, ma necessaria per superare tutti assieme questo difficile periodo. Nessun uomo è un’isola.
Ecco uno dei primi elementi su cui scontrarsi apertamente: Death Stranding è un gioco composto davvero da lunghi silenzi e interminabili passeggiate. Per quanto il passaggio tra videogioco e schermo cinematografico si compone dell’adeguata operazione di trasposizione e adattamento, a conti fatti sarà indubbiamente difficile poter portare su schermo una simile traversata senza dover ricorrere a mezzi narrativi per rendere più briosa l’avventura.
La particolarità del medium videoludico applicato a giochi quali Death Stranding risiede proprio nella crescente empatia verso il protagonista, nell’assimilare il valore intimo e salvifico di questo viaggio con pochi gesti, poche parole e tanti sacrifici.
Un altro punto fondamentale nella grammatica di gioco è il suo particolarissimo multiplayer asincrono. In Death Stranding è possibile condividere la propria esperienza con tanti altri videogiocatori nel mondo, condividendo alcune attività con altri, ma tutto non avviene in contemporanea.
Immaginate di iniziare la costruzione di un manto stradale per diverse centinaia di metri, ma non avere le giuste risorse per completare l’opera e uscire dal gioco, ebbene mentre noi non stiamo giocando qualche altro giocatore potrebbe trovare quella struttura e completarla. Noi ritorneremo in partita con una strada completamente costruita e la possibilità di sapere anche il nome del giocatore che ha portato a termine la nostra opera. La sensazione di collaborazione come di meraviglia per la recente costruzione è frutto di un’iterazione esclusiva del videogioco, che non può certo palesarsi in un film, almeno non senza provocare le stesse emozioni.
Riassumendo in breve, il tessuto ludico di meccaniche di cui si compone Death Stranding è qualcosa che sulla carta funzionerebbe sempre e solo pad in mano e non assistendo passivamente come spettatori. Prontissimi a farci smentire da un abile sceneggiatore capace di sviscerare questi concetti in pagine e pagine incisive e brillanti, ma per ora restiamo molto dubbiosi.
Fedeltà o spin-off?
Il sequel di Death Stranding è pronto a rivoluzionare e approfondire un universo narrativo assai profondo, sfaccettato e ricco di dettagli, ma chiunque abbia giocato il titolo saprà che i personaggi del gioco sono interpretati da veri attori di caratura mondiale: Norman Reedus, Lèa Seydoux, Guillermo Del Toro, Mads Mikkelsen, solo per citarne alcuni.
Con un film in cantiere – ad oggi senza vere informazioni – cosa potremmo aspettarci? Un prodotto che vada a ricalcare delle gesta fedeli alla controparte videoludica oppure qualcosa di relativamente inedito? E nel primo caso, ci dobbiamo aspettare un coinvolgimento degli stessi attori?
Molto improbabile sulla carta, ma ecco che qui potrebbe palesarsi uno spiraglio interessante su cui poter sviluppare un adattamento cinematografico, ovvero puntare sullo spin-off, raccontare qualcosa che vada ad arricchire l’universo narrativo, un valore aggiunto che possa rendere la comprensione globale del franchise più ricca di dettagli e storie.
Un’avventura di cittadini rintanati nelle città che si trovano a dover attraversare le lande desolate per raggiungere un luogo in particolare, parentesi narrative di altre società di corrieri o perché no, un film di origini riguardo proprio l’evento del Death Stranding.
Ha dunque senso un film di Death Stranding? Forse, se preso nel verso giusto, allontanandosi dal concept principale per poi esplorare nuove e inedite strade, sempre con la supervisione del suo creatore Hideo Kojima.
Un nuovo modo di fruire un franchise affascinante, dentro e fuori dal medium videoludico, ed esattamente come ha fatto l’omonimo romanzo, aggiungere elementi in più di un universo narrativo in piena costruzione ed espansione. Per ora teniamo alte le speranze in attesa di nuovi e succulenti aggiornamenti che sicuramente non tarderanno ad arrivare.