Molti di voi conosceranno, anche solo per sentito dire, la saga di Monkey Island: videogiochi a dir poco mitici che, a partire dai primissimi anni ’90, infiammarono i cuori di molti ragazzi, compreso quello di chi scrive. Se non sapete bene quello di cui stiamo parlando, vi consigliamo di farvi una cultura recuperandoli al più presto, o quantomeno recuperando il nostro precedente articolo/video in cui vi raccontiamo i segreti e il fascino di questa saga ideata dal geniale Ron Gilbert.
Se invece anche voi vi emozionate al solo sentire le prime mitiche note del tema composto da Michael Land e al comparire della scritta “Nel profondo dei Caraibi”, sarete certamente al corrente del sequel in arrivo per gli ultimi mesi del 2022 prima su Nintendo Switch e poi su PC.
Return to Monkey Island vede il ritorno dell’autore originale della saga, Gilbert appunto, a distanza di oltre 30 anni; un ritorno che ha suscitato enorme entusiasmo e tanta curiosità tra i fan storici, anche se proprio negli ultimi giorni non sono mancate molte polemiche legate allo stile grafico del nuovo gioco, decisamente differente dai precedenti, tanto da costringere il Game Director a chiudere i commenti sul proprio blog e a rinunciare ad ogni tipo di comunicazione da qui all’uscita.
Se è vero che ormai questo tipo di (futili e gratuite) polemiche non mancano mai, ci viene da dire che in questo caso siano ancor meno giustificate. Non solo perché il gioco non è ancora uscito e nemmeno perché ovviamente lo stile grafico è una questione anche molto personale, ma perché probabilmente chi si è lamentato di tutto questo non ha mai veramente capito Monkey Island, la sua essenza e nemmeno i suoi insegnamenti. Di certo non ha capito cosa ha rappresentato per tutti coloro che l’hanno giocato 30 anni fa.
Non fa parte, insomma, di quella generazione di persone che ha imparato ad affrontare le difficoltà della vita con il sorriso. O utilizzando polli di gomma con carrucola in mezzo.
“Voglio diventare pirata”
Partiamo dall’inizio: ricordate vero qual è la prima frase che il protagonista della saga pronuncia?
“Mi chiamo Guybrush Threepwood, e voglio diventare un pirata!”
Ecco, fin da quel primo momento, Guybrush siamo diventati noi. Non perché volessimo necessariamente diventare pirati, no; eppure, forse inconsciamente, abbiamo tutti capito fin da subito che quello stesso tipo di passione ardente, quell’unico grande desiderio che avrebbe guidato le nostre vite, sarebbe stata la nostra fregatura.
Nel gioco Guybrush farà di tutto per diventare davvero un pirata, affronterà le sfide più assurde, ma non per questo si fermerà mai. Anzi, continuerà a crederci e a provarci sempre e comunque; proprio come tutti noi della “generazione Monkey Island” abbiamo imparato a fare fin dall’inizio. Che sia per diventare giornalisti/critici, registi/attori, cantanti/musicisti – o scegliete voi quello che preferite – il discorso assolutamente non cambia: esattamente come il biondo protagonista, noi siamo andati dritti per la nostra strada senza mai chiederci se fosse davvero quella giusta o quantomeno la più sensata. E l’abbiamo fatto sempre come Guybrush, addentrandoci sempre di più in mondi fatti di personaggi bizzarri e al limiti del nonsense che sembravano quasi metterci in guardia con il loro comportamento. Fateci caso, quanti sono davvero i veri pirati nella saga di Monkey Island? Quanti corrispondono effettivamente al modello tanto sognato da Guybrush? Ecco, e lo stesso vale per le nostre esperienze di vita e lavorative: tutti sogniamo qualcosa che probabilmente non si avvererà mai o che si dimostrerà molto diverso da quello che ci aspettavamo. Ma Monkey Island almeno ci ha insegnato che se pure tutto questo fa parte della vita, tanto vale prenderla con ironia.
“Ho trovato il Tesoro di Melee Island™ e tutto quello che ho ottenuto è stata questa stupida maglietta!”
E parlando di ironia, viene spontaneo pensare ad uno dei momenti più iconici del primo videogioco della saga: ovvero quando dopo tanta fatica troviamo un tesoro nascosto per scoprire che in realtà non nasconde altro che una t-shirt con la scritta di cui sopra. Geniale vero? E infatti ancora oggi si vedono magliette a tema. C’è da dire però che, tra un sorriso e l’altro, in questi 30 anni che sono trascorsi da quella beffarda scoperta noi ancora ci ripensiamo a quel tesoro di Melee Island™, perché quante altre volte nella vita ci siamo sentiti presi in giro allo stesso modo? Quante volte abbiamo lavorato per poi ritrovarci con nulla, magari nemmeno una stupida maglietta?
Che poi la cosa veramente bella è che, in Monkey Island 2, Guybrush ci riprova a trovare un nuovo leggendario tesoro, il Big Whoop, e anche lì, non si può dire che le cose vadano poi benissimo. Ma non per questo smette mai di crederci e provare.
Però ora non è che vogliamo fare i filosofi e nemmeno vogliamo buttarvi giù, in fondo i Monkey Island sono un videogioco, servono a divertirsi. E infatti anche i videogiochi si sono in qualche modo adeguati nei decenni successivi, introducendo trofei e obiettivi che regalano a volte avatar e distintivi virtuali. Regali simbolici che non fanno altro che dimostrare al mondo intero che abbiamo vinto quel gioco o abbiamo tagliato uno specifico traguardo. Qualcosa che dica a tutti “Ho finito NomeGioco™ e tutto quello che ho ottenuto è stato questo stupido badge!” Che poi forse era meglio una maglietta a questo punto ma, hey, perché lamentarsi, in fondo viviamo in un’epoca in cui c’è gente che spende centinaia di migliaia di euro per degli NFT. Che non è altro che un modo più fico per dire “Ho comprato…”, vabbè insomma avete capito.
“Combatti come un contadino!”
Che poi se vogliamo parlare di internet, chi può dire di essere arrivato più pronto sul World Wide Web di chi ha giocato a fondo tutti i Monkey Island? Ma vi immaginate come deve essere stato arrivarci senza essere preparati? Uno che nella vita era abituato ad usare le mani per difendersi, a suon di schiaffi e spintoni, ma come avrà fatto a sopravvivere ai suoi primi giorni di newsgroup/forum/social?
Noi insieme a Guybrush, invece, avevamo capito già 30 anni fa che nel mondo di oggi i duelli non si combattono con le spade, ma solo ed esclusivamente attraverso gli insulti. Come dici, noi combattiamo come contadini? “Molto appropriato. Tu combatti come una mucca”. Game, set, match.
Provatelo con terrapiattisti e complottisti, il risultato è (quasi) assicurato. Oppure, nella peggiore delle situazioni potete sempre cavarvela con:
“Guarda dietro di te! Una scimmia a tre teste!”
E sì, perché tra le tante altre cose che Ron Gilbert e Monkey Island ci hanno insegnato sul mondo di oggi c’è che il surreale e le citazioni funzionano sempre. Quantomeno sul web. Vogliamo fare i simpatici e farci notare, oppure qualcuno ci ha messo in difficoltà e non sappiamo come uscirne? Vai di battuta surreale, idealmente accompagnata da gif ad hoc e passa la paura.
“Toglimi la maschera”
Che poi non è che una citazione debba essere per forza fine a se stessa. Nel finale di Monkey Island 2 si cita palesemente L’impero colpisce ancora, eppure il twist finale del gioco è tanto coraggioso quanto inaspettato. E in realtà conclude il secondo magnifico capitolo con un cliffhanger (per ora) mai risolto che non ha nulla da invidiare alle migliori serie TV.
I misteri irrisolti di Lost e Twin Peaks? Ma per favore, noi ancora dobbiamo scoprire il vero segreto di Monkey Island! Dobbiamo ancora capire cosa volesse raccontarci davvero Ron Gilbert con quel finale nel 1991. Dobbiamo sapere tutta la verità su Guybrush, il fratello Chuckie e il luna park che si intravedeva alla fine. E nel 1991 non avevamo forum e social su cui sbizzarrirci con le teorie più assurde, ma eravamo semplicemente lasciati a noi stessi a chiederci cosa diamine fosse successo al nostro gioco preferito.
“Spegni il computer e vai a dormire.”
Quindi, capirete bene, che se anche lo stile grafico del nuovo gioco non fosse del tutto di nostro gradimento, di certo non ci viene da andare a rompere le scatole al buon Ron Gilbert quando proprio ora, dopo 30 anni, è finalmente al lavoro su alcune delle risposte di cui sopra.
Non che siano nemmeno del tutto necessarie eh, perché in fondo, come speriamo di avervi dimostrato in questo articolo, la saga di Monkey Island ci ha già insegnato tanto, tantissimo.
E pensate che abbiamo tenuto per ultima la più importante: ovvero che a differenza di molte opere di finzione, nella vita reale esistono tantissime donne come Elaine Marley ovvero forti e indipendenti, che a volte hanno bisogno di essere salvate, altre volte si salvano da sole e molto spesso finiscono loro col salvare noi.
Noi non lo abbiamo mai dimenticato, ed è anche e soprattutto per questo che siamo felici di far parte della generazione Monkey Island.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
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