“Questo non è Final Fantasy“.
Chiunque ami la storica saga di videogiochi giapponese, non solo ha sentito dire questa frase più volte in questi giorni, dopo l’uscita dell’attesissimo sedicesimo capitolo, ma in fondo l’ha sempre un po’ temuto. Perché è vero è che è una frase non troppo diversa da quelle che leggiamo/sentiamo tutti i giorni ormai sui social e che vale per qualsiasi franchise di successo degli ultimi decenni – una lamentela tipica di chiunque non vuole che nulla cambi e che, in qualche modo, è prigioniero della sua stessa nostalgia e dei suoi ricordi – ma nel caso di Final Fantasy si tratta di una paura, probabilmente fin troppo fondata, che tutti i fan e appassionati della storica saga hanno ormai da oltre 20 anni.
Eh sì, perché dobbiamo tornare indietro fino al 2001, e al mitico Final Fantasy X, per ritrovare un capitolo della saga che mettesse davvero d’accordo tutti. I successivi – vuoi per la loro natura di MMORPG, vuoi per l’abbandono dei combattimenti a turni o per la deriva fin troppo action – hanno sempre creato enormi fratture all’interno dell’agguerritissimo fandom. E cocenti delusioni.
Per questo, il nuovo Final Fantasy XVI, che arriva dopo ben 7 anni dal precedente, era chiamato alla prova del fuoco. E non è un caso che proprio la potente Fenice, uno dei giganteschi mostri evocabili dai protagonisti, sia al centro della trama e del gioco stesso: perché questo nuovo capitolo apparentemente così controverso, ma anche così soddisfacente e ricco, è quasi come se scegliesse volontariamente di uccidere, forse una volta per tutte, la vecchia concezione della saga e tutto quello che ricordavamo e amavamo di Final Fantasy. Per poi far rinascere dalle sue ceneri qualcosa di diverso, ma altrettanto potente. E lo fa sfruttando al massimo quelli che da sempre sono stati i veri punti di forza di Final Fantasy: il world building e la narrazione.
Un prezzo da pagare
Ma prima ancora di andare ad analizzare, e celebrare, quanto di (molto) buono c’è in questo Final Fantasy XVI, prendiamo il toro, anzi il Behemoth, per le corna e ammettiamolo candidamente: anche noi, giocando le prime ore di questo nuovo capitolo, più e più volte abbiamo pensato la frase di cui sopra. E proprio per questo motivo, perché “non è Final Fantasy“, per molto molto tempo – forse quasi metà del gioco, di sicuro per ben più delle prime 10 ore – l’abbiamo anche un po’ odiato. E non per la forte impronta action, per l’intuitivo ma in qualche modo limitante (soprattutto all’inizio) combat system o per la sua scarsa difficoltà: questo sono tutte critiche che abbiamo letto e continuiamo a leggere ma che riteniamo giuste se non addirittura necessarie per un gioco così “mainstream” al giorno d’oggi. Ma per la quasi totale assenza delle componente GDR (gioco di ruolo) che diventa subito evidente e che, in questo modo, svuota Final Fantasy di molte delle sue caratteristiche e potenzialità: il che vuol dire abilità ed equipaggiamenti super essenziali, e quindi niente più combattimenti iper-tattici e ragionati (no, nemmeno nella parte finale della storia) e niente più esplorazione di luoghi segreti e nascosti alla ricerca di armi e accessori rari.
Final Fantasy XVI diventa quindi un gioco incredibilmente lineare nel suo svolgimento, perfino più di alcuni dei titoli tanto criticati negli anni passati, contraddicendo lo spirito che ha sempre contraddistinto la saga. Messa così, non è poi così difficile capire il perché di tanto odio e critiche, no? Le cose però cambiano col trascorrere delle ore. Non perché il gioco cambi o torni indietro sui suoi passi, tutt’altro, ma perché cambiamo noi giocatori. Semplicemente cominciamo, magari anche solo inconsciamente, ad accettare questo cambiamento e a renderci conto che quello che abbiamo perso non è poi così importante. E che si tratta di un vero e proprio prezzo da pagare per potersi godere al meglio quello che ci si prospetta davanti: una storia, anzi molteplici storie, che vanno godute e vissute secondo i ritmi, i tempi e le modalità scelte dagli autori. E che una maggiore libertà, la stessa a cui eravamo abituati da appassionati della saga, avrebbe finito col rovinare quella tensione drammaturgica così intensa e potente di questo comunque straordinario capitolo.
Cronache del sangue e del fuoco
Si è tanto parlato di quanto questo Final Fantasy XVI sia effettivamente debitore de Il trono di spade e della saga letteraria di George R. R. Martin: alcune somiglianze sono effettivamente palesi, e non mancano anche veri e propri omaggi, anche nella colonna sonora, che rendono ancora più evidente il tutto. Ma basterebbe osservare il quantitativo di sangue, violenza e scene particolarmente crude, nonché qualche primo accenno marcatamente sessuale, per far capire a chiunque come questo nuovo capitolo sia molto più dalle parti della HBO rispetto ai toni tipici dei giochi di ruolo nipponici. Un vero e proprio processo di occidentalizzazione che passa attraverso molte ispirazione che vanno anche oltre Martin – si pensi per esempio alla saga di Dune – ma che hanno uno scopo ben preciso: quello di catturare un target diverso da quello storico della saga. Un pubblico, idealmente, ancora più vasto.
Che poi è lo stesso pubblico che negli ultimi anni ha premiato i giochi della Naughty Dog (The Last of Us e Uncharted), il nuovo God of War, ma anche Horizon, Spider-Man e molti altri. Giochi in cui il gameplay, soprattutto la sua novità o varietà, per quanto importante non è così fondamentale quanto lo era una volta. Giochi in cui la narrazione – intesa come storia ma anche e soprattutto come regia – e il world building hanno presto il sopravvento, regalando così ai giocatori esperienze di tipo diverso, ma non per questo meno appaganti.
E va detto che, in questo senso, il risultato è straordinario: perché il mondo di Valisthea è in perfetto equilibrio tra fantastico e storico/realistico, proprio come è (stata) la saga di Martin. Ci sono cristalli magici e mostri giganti, ma soprattutto sei nazioni perennemente in lotta con tanto di tradimenti, alleanze e continui colpi di scena. Ci sono combattimenti spettacolari all’altezza dei migliori film sui kaijū o altri che ricordano i vecchi capitoli di God of War, così come tanta attenzione alle storie e alle motivazioni non solo dei protagonista ma anche di molti comprimari, avversari compresi. Tutto questo rende Final Fantasy XVI non solo un’epica e a tratti anche emozionante storia del protagonista Clive Rosefield, ma un vero e proprio racconto corale, complesso e sfaccettato, di un mondo intero. Completamente nuovo e inventato, ma che dopo 20/30/40 ore di gioco ti sembra ormai di conoscere perfettamente. Al punto tale da non volerlo mai lasciare. Perché è a tratti terribile e crudele, ma anche affascinante come pochi altri mondi si siano mai affacciati recentemente nel mondo della cultura pop.
E non è sempre stata questa la vera forza di una saga come Final Fantasy?
Un nuovo inizio
Quindi ben venga il tradimento, ben venga anche la morte della saga così come la conoscevamo e la apprezzavamo. Se il futuro di Final Fantasy è questo, siamo pronti ad accoglierlo a braccia aperte. E se con i prossimi capitoli riusciranno anche ad inserire alcuni di quegli elementi che effettivamente ora mancano, ben venga. L’importante è che non si torni più indietro sui toni e su questo livello di narrazione, perché la saga, ormai, non può che essere questo. La fantasia finale oggi è quella di essere trasportati in un altro mondo, ed è proprio per questo che, con tutti i suoi difetti, non possiamo che dire: viva Final Fantasy XVI!
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