Anche se non siete particolarmente appassionati di videogiochi, probabilmente conoscerete la saga di Final Fantasy. Sono titoli di cui si fa un gran parlare anche fuori dalla cerchia dei videogiocatori, anche perché sono usciti diversi film e alcune delle mascotte vivono ormai di vita propria. E poi perché ha dato vita a una marea di spin-off che hanno affiancato i capitoli principali lungo i suoi quasi quarant’anni di storia. Si tratta di una delle saghe di videogiochi più longeve e amate di sempre, tanto che recentemente abbiamo avuto modo di giocare al sedicesimo capitolo e al secondo remake di uno dei più amati, il settimo.
Per quanto discussi e riconosciuti come due dei titoli più grossi e ambiziosi dei rispettivi anni d’uscita (2023 e 2024), gli ultimi due Final Fantasy hanno “sottoperformato”, ovvero hanno venduto meno delle aspettative di Square Enix, il colosso giapponese che li produce. I perché sarebbero da ricercare in tanti fattori, e uno da non da poco è l’esclusività dei due videogiochi su piattaforma PlayStation 5, ma almeno per quanto riguarda Final Fantasy XVI c’è anche il fatto che non tutti i giocatori sembrano aver apprezzato i cambiamenti radicali al sistema di gioco. Al punto di che diverse testate, content creator e utenti hanno cominciato a chiedersi se i fan non siano ormai stanchi del brand. Ma se fosse invece il brand che si è stancato di rivolgersi sempre e solo allo stesso pubblico?
Le aspettative attorno Final fantasy XVI
Partiamo dal flop più eclatante, ovvero quello di Final Fantasy XVI. In sviluppo dal 2015, il sedicesimo capitolo è stato uno dei videogiochi più attesi di sempre dai lettori di Famitsu (la più famosa tra le riviste giapponesi di videogiochi), ed è stato protagonista di innumerevoli trailer. Era il gioco di punta della prima metà del 2023 di Sony PlayStation. Sembrava già proiettato verso una vittoria combattuta ma non impossibile ai The Game Awards di quell’anno, i premi che si tengono ogni dicembre e che incoronano i videogiochi migliori degli ultimi dodici mesi. Certo, sarebbe stato difficile vincere, con Baldur’s Gate 3 e con The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom sulla piazza, ma tutti erano più o meno certi che Final Fantasy XVI sarebbe stato il terzo incomodo, con la sfilza di 9 e di 10 che si sarebbe beccato da tutte le testate giornalistiche.
Nulla è andato secondo le previsioni, a partire da quest’ultima parte: oggi il titolo ha un metascore di 87%, ma alcune delle testate più autorevoli e seguite al mondo lo hanno decisamente bastonato in fase di review. Il Guardian per esempio lo ha liquidato con un 8 un po’ amaro, IGN Japan ed Edge gli hanno affibbiato un 7. Eurogamer un pesantissimo 6. Sono voti molto bassi, specialmente per un marchio amato come Final Fantasy. Ai The Game Awards è stato il grande assente (insieme a Starfield, altro progetto milionario e decennale), e ha vinto solo un premio “minore” per la colonna sonora. Non minore in senso assoluto, ovviamente, ma perché era atteso come uno dei grandi protagonisti, e non lo è stato.
Il rapporto con i fan
Anche il pubblico di fan l’ha ricevuto in maniera piuttosto fredda. La colpa? Aver abbandonato molte delle meccaniche storiche della saga in favore di una semplificazione che andasse a intercettare i gusti di chi non aveva mai giocato un Final Fantasy. Parole di Naoki Yoshida, director del videogioco.
In un’intervista pubblicato sul sito di Square Enix, Yoshida ha detto: “volevo creare un videogioco che potesse attrarre un pubblico più ampio. […] Final Fantasy XVI è il primo gioco d’azione in tempo reale della serie, senza alcun elemento a turni o basato su comandi. Volevamo che anche i videogiocatori che non sono particolarmente sicuri di sé con i videogiochi d’azione potessero divertirsi. […] Per questo intenzionalmente non abbiamo inserito uno schema controlli complesso o un sistema che prevedesse di cambiare personaggio in tempo reale. Invece vogliamo che il giocatore si concentri nel controllare Clive. Tutto è stato pensato per essere sicuri che i videogiocatori che non sono bravi con gli action game potessero comunque giocare al gioco ed essere soddisfatti al 100%”.
Significa che non solo volevano intercettare un pubblico che esulasse dalla fanbase dei Final Fantasy – che storicamente ama i sistemi “complessi” e i combattimenti a turni – in favore di un pubblico più ampio legato al genere action, ma che l’intenzione fosse proprio quella di aprire a un’audience più eterogenea possibile, anche a scapito della difficoltà e della raffinatezza del sistema.
Quanto al fatto che il titolo potesse indispettire i videogiocatori e che potesse essere etichettato come un capitolo apocrifo, dal momento che metteva in discussione le fondamenta stesse della serie, Yoshida dice:
“Final Fantasy è quello che il director del capitolo in corso decide che sia. […] Detto questo, la fanbase di Final Fantasy non è composta solo da fan dell’intera serie. Direi che molti appassionati amano titoli specifici della serie. […] La nostra decisione di rendere Final Fantasy XVI un gioco d’azione probabilmente convincerà alcuni videogiocatori a dare un’altra possibilità alla serie… e ci saranno anche persone che diranno che non è un vero Final Fantasy se non ci sono i turni. Semplicemente non è possibile soddisfare le aspettative di tutti in un singolo gioco.”
È senz’altro vero, ma suona un po’ come: vogliamo che la gente a cui solitamente non piace Final Fantasy possa dargli un’altra occasione. E gli altri? Pazienza.
Final Fantasy VII Rebirth, la nostalgia non basta
Final Fantasy VII Rebirth è un altro discorso. Accolto in maniera quasi unanimemente positiva dalla critica, attualmente su Metacritic ha una media voti del 92%. IGN Japan lo ha premiato con un 10, Edge con un 9. Anche il pubblico lo ha apprezzato, nonostante alcune asperità legate a una struttura open world non proprio all’avanguardia e a una generale esperienza annacquata. Diciamo però che siamo su altri lidi di apprezzamento rispetto a Final Fantasy XVI, e che è molto probabile che quest’anno lo vedremo perlomeno concorrere al titolo di miglior gioco del 2024.
E allora come mai ha venduto così poco? Prima di tutto dovremmo capire cosa significa “poco”. I dati sono contrastanti, e non c’è stato alcun annuncio ufficiale, ma pare che le vendite siano state peggiori rispetto a quelle di Final Fantasy VII Remake nello stesso periodo di tempo. C’è però da prendere in considerazione due fattori importanti: il primo è di nuovo l’esclusività di PlayStation 5, con una base installata che è la metà rispetto a quella di PlayStation 4 al momento dell’uscita di Remake (circa 55 contro 110 milioni di unità); l’altro è un fattore endemico: Rebirth è un sequel di un remake di un videogioco di culto, già rivolto a una nicchia di videogiocatori che l’ha amato nel 1997, quasi trent’anni fa.
Significa che per giocare e apprezzare Rebirth si doveva aver comprato e giocato Remake quattro anni fa, e avere ancora voglia di vedere come continua. Che non è scontato, visto che molti videogiocatori sono rimasti molto scottati dalle battute finali del gioco. E sapete il perché? Perché quel finale voleva ribadire una certa posizione autoriale che era apertamente ostile all’immobilismo dei fan. E che, tra parentesi, in quanto sfida intellettuale abbiamo apprezzato moltissimo.
Un rapporto di co-dipendenza
Resta il fatto che una sfida può essere o non essere accolta; può essere o non essere apprezzata. E Square Enix ha dimostrato di non avere nemmeno il coraggio di portarla avanti fino in fondo, volendo tornare sui binari in Rebirth e promettendo nella miriade di interviste prima dell’uscita che la storia non sarebbe stata alterata, rassicurando i giocatori, quasi scusandosi per la hybris dimostrata nel contraddire la fanbase. Il ché ha indispettito non solo quelli che erano rimasti scontenti dal finale, ma anche quelli che l’avevano apprezzato.
C’è insomma un rapporto strano tra la saga di Final Fantasy e i suoi fan, di co-dipendenza, ma anche in un certo senso di emancipazione. Probabilmente dovuto al fatto che i progetti cominciano a essere troppo grandi, troppo costosi, con budget quasi impossibili da coprire, e la nicchia degli appassionati dei JRPG, con i loro combattimenti a turni e le loro regole “complesse”, non è più sufficiente per andarci in pari.
D’altra parte anche il pubblico è confuso da questo continuo tira e molla, fa del suo meglio per stare dietro a un rapporto ambiguo, perché comunque Final Fantasy XVI è stato uno dei videogiochi più venduti dello scorso anno, e quasi sicuramente Rebirth sarà nelle classifiche di questo, ma si trova perennemente nella posizione di non essere abbastanza numeroso per supportare la sua serie preferita.
Stufi, delusi o stanchi, alla fine c’è solo una verità: che per sopravvivere Final Fantasy e la sua fanbase non possono fare a meno l’uno dell’altra.
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