In questi giorni Cyberpunk 2077 continua a far registrare su Steam il miglior picco di utenti connessi contemporaneamente dai tempi di gennaio 2021. Stando alle statistiche riportate da SteamDB, i videogiocatori collegati allo stesso tempo sono arrivati ad essere 86.130 e tuttora continuano a mantenersi su numeri simili, quando al 21 gennaio 2021, prima che iniziasse un lento e inesorabile declino, l’apice fu di 80.483.
Le conseguenze del crollo sono state chiacchieratissime nel panorama videoludico. All’uscita, Cyberpunk 2077 era sostanzialmente ingiocabile sulla maggior parte delle piattaforme. Se gli utenti PC potevano godere di un’esperienza di gioco quantomeno stabile, ma non priva di bug e glitch di ogni sorta, i possessori di console come PlayStation 4 e Xbox One si sono ritrovati per le mani un oggetto ludico rotto e dal codice chiaramente incompleto.
Una situazione di estremo imbarazzo per il colpevole sviluppatore polacco CD Projekt RED, che aveva solidificato la propria credibilità mettendosi in spalla un capolavoro videoludico della scorsa generazione come lo è The Witcher 3. Un gigante dai piedi d’argilla crollato presto su se stesso, complice anche la rumorosa e senza precedenti rimozione di Cyberpunk 2077 dal PlayStation Store per iniziativa di Sony, sul quale negozio digitale tornò disponibile solamente nel giugno del 2021.
Storia di un fattaccio
A qualcuno questo lanciò ai limiti del truffaldino fece suonare una campanella, ricordando l’esperienza inizialmente molto negativa del No Man’s Sky di Hello Games, uscito nel 2016 e diverso da come era stato paventato in trailer e annunci in quasi tutto, manchevole di features e contenuti. Due casi di certo differenti per portata del fenomeno e studio coinvolti (Hello Games un indie, CDPR in pratica una major del settore), ma simili nella comunicazione ai limiti della frode e poi nel quantomeno virtuoso atteggiamento di riqualifica intrapreso da entrambi gli sviluppatori.
No Man’s Sky è diventato ad oggi molto più di quello che prometteva di essere, e CD Projekt RED nell’ultimo paio d’anni ha chinato la testa cercando di rattoppare un patto di fiducia con l’utente fortemente compromesso, lavorando per arrivare a offrire al pubblico quello che Cyberpunk 2077 voleva dare sin da principio. Quindi ecco arrivare nel febbraio 2022 le versioni del videogioco pensato per PlayStation 5 e Xbox X/S, ed eccoci anche arrivare al picco di cui accennavamo poco sopra.
Il 13 settembre è infatti approdata su Netflix la serie animata Cyberpunk: Edgerunners, una storia standalone di dieci episodi ambientata nella stessa Night City conosciuta all’interno del videogioco. E questa sembra essere arrivata nel momento più propizio per la rinascita videoludica di Cyberpunk, facendo da boost per l’improvvisa impennata di utenti vogliosi di ritornare a scorrazzare per le strade di 2077, complice anche il rilascio dell’update 1.6, denominato proprio Edgerunners, che introduce contenuti relativi alla serie.
L’animazione come genere prediletto e versatile
A dire il vero Cyberpunk: Edgerunners venne annunciata inizialmente nel giugno del 2020, come collaborazione con il rinomato studio d’animazione giapponese Trigger, sotto la tutela dello showrunner Rafał Jaki e per la regia di Hiroyuki Imaishi. Ma abbiamo già detto cosa è successo nel mezzo, quindi non può apparire di certo come un caso l’arrivo della serie a oltre due anni di distanza e in concomitanza anche con l’annuncio ufficiale dell’unica espansione di cui godrà Cyberpunk 2077, Phantom Liberty, prevista per un generico 2023.
Quello che è interessante da notare è il modo in cui a fare da fionda al ritorno in auge del videogioco sia un contenuto ancillare ed esterno al medium per cui un prodotto come Cyberpunk: Edgerunners si pone da spalla. Nulla che ci dovrebbe stupire, viviamo una contemporaneità dove a farla da padrone è la narrazione transmediale, ovvero un contesto dove contenuti pensati per differenti metodi di fruizione lavorano in maniera integrata per raccontare ognuno uno spicchio differente dello stesso mondo a cui tutte fanno riferimento.
Nel caso del lavoro dello studio Trigger è però il rapporto di forza tra questi prodotti a catturare l’attenzione. Come prima cosa è di certo curioso evidenziare come l’ambito videoludico prediliga affidarsi all’animazione per arricchirsi di nuove storie e nuovo senso. Lo ha fatto sempre recentemente la Riot Games assieme a Fortiche Production con Arcane, ancora su Netflix, costola seriale ambientata nell’universo narrativo di League of Legends che plasma un racconto orizzontale lì dove il prodotto videoludico di partenza si limita solo a suggerire la lore del mondo e dei personaggi.
Questo perché l’animazione probabilmente offre uno spazio di prossimità tra i due medium, un terreno di riconoscimento sufficientemente versatile dove poter tracciare forme e identità che non limitino l’orizzonte espressivo di quel ludico da cui scaturiscono e traggono forza. Arcane, che è stata acclamata all’unanimità da critica e pubblico, si pone quindi a incastro con LoL, come un arricchimento di qualità di un tessuto precostituito al quale aggiunge ulteriori ricami.
L’indiscutibile fascino di Night City
Pare essere un po’ differente il discorso che riguarda Cyberpunk: Edgerunners. Della serie colpisce immediatamente la volontà di innestarsi sull’unico indice di qualità di cui Cyberpunk 2077 godeva già dall’uscita, ovvero la cura e la ricercatezza per un art design eccelso di Night City, in grado di restituirne la meraviglia e il sudicio ad essa sottostante.
Lavora in quest’ottica il fare copia carbone di alcuni spazi noti al videogiocatore (l’appartamento del protagonista, l’ospedale), unitamente all’introduzione di effetti visivi e sonori (le chiamate, le riprese di sicurezza) e delle musiche originali importate dal videogioco. Ma se dall’ottimo immaginario creato da Cyberpunk 2077 la serie parte, il suo maggior merito è spingersi a fare il passo che al videogioco è riuscito solo parzialmente. Perché al di là delle problematiche tecniche, tra le critiche mosse al lavoro di CD Projekt Red sta anche il non aver affondato davvero la mano nel mondo che edifica.
Del cyberpunk ci sono i temi: le megacorporazioni commerciali – o zaibatsu – che hanno sostituito la sovranità delle nazioni, l’ibridazione uomo-macchina, il cyberspazio come ultima frontiera di libertà e conquista, la violenza radicata nel cuore delle strade. Eppure il videogioco all’interno di questi discorsi si muove senza intrecciarvisi mai in profondità (Night City è magnifica da visitare e conoscere, ma più che ermetica nell’interazione che offre), così come la narrazione che porta avanti, limitata nel cogliere i contrasti e le sfumature di una realtà tanto complessa come quella che mette in ballo (pensiamo ai finali, che quasi ignorano le scelte compiute durante il percorso).
Una storia di peccati e conseguenze
A tutto questo Cyberpunk: Edgerunners pare sopperire con una storia che parte come di formazione e si addentra poi nel rapporto sentimentale, dove nel mezzo esplora le violente psicosi di una società drogata dal controllo, o dall’impressione del controllo, sugli altri e sulla propria identità. Le torri delle megacorporazioni, come Arasaka e Militech, sono luoghi praticamente inarrivabili, e gli innesti meccanici, che esse stesse creano, utilizzati dai cyberpunk per potenziarsi e combatterle, sono solo cancri che rendono il corpo un’entità mutabile, per lo più mostruosa, che consumano il portatore fino a condurlo alla pazzia.
E David, il protagonista della serie, è risucchiato in questo arco dove la tensione alla ribellione è fagocitata da un ordine costituito dove il piano fisico, della realtà tangibile, è un luogo dove la base della piramide è destinata a rimanere schiacciata, a perdere sempre. Cyberpunk: Edgerunners mette insomma sul banco un’esplorazione più netta e cinica del contesto proposto da Cyberpunk 2077, che invece lo usa come quadro in cui muoversi e dove scivolare sotto il bagliore delle pubblicità al neon.
Non che il videogioco di CD Projekt Red sia un oggetto da cestinare a prescindere, tutt’altro, ma pare saper far meno di quanto dovrebbe con il valore aggiunto dell’interattività propria del mezzo videoludico, che sarebbe stato interessante indagare con più incisività in relazione a un contesto dove sono messe in discussione le meccaniche stesse di interazione con il mondo e con la percezione che si ha di esso.
Quindi Cyberpunk: Edgerunners più che integrare il videogioco da cui deriva finisce quasi per surclassarlo, ne colleziona gli interessanti spunti e li spinge alla discussione, dove le proprietà del mezzo seriale, dell’animazione, sono sfruttate per narrare la ciclicità di una società in stallo e vittima dei suoi fluorescenti peccati, dove il sacrificio è spesso vano e ogni azione estrema ha terribili conseguenze. E in qualche modo si ritrova anche a legittimare i peccati dello stesso videogioco, ad assorbirli attraverso le sue qualità e un’azzeccata mossa di marketing che sta riacciuffando per i capelli un’opera che era a forte rischio di damnatio memoriae.