Ci sono opere, libri, film, videogiochi che, per qualche motivo unico, diventano nel tempo non solo dei semplici cult, bensì vere e proprie opere di estrema devozione. Un esempio? Se pensiamo a David Lynch, molto probabilmente la prima associazione mentale che faremo è con Twin Peaks (e per vari motivi). Se dovessimo cercare un rapporto del genere nel mondo dei videogiochi, uno dei maggiori esponenti potrebbe essere proprio Alan Wake, opera maledetta dei finlandesi di Remedy che dopo tredici anni si apprestano a portarci un sudatissimo quanto evocato sequel.
La storia che andremo a ripercorrere è proprio quella che vede protagonista un uomo di nome Sam Lake, di una sua vecchia sceneggiatura, il sogno di realizzare un videogioco tratto da essa e tutte le difficoltà avvenute durante lo sviluppo. Un insuccesso economico che da lì a poco diventerà il primo mattone di una chiesa venerata ed elogiata per più di una decade, dando vita a movimenti di appassionati che non hanno mai perso la fede e la forza di chiedere a gran voce un sequel.
Umili origini
Stephen King una volta ha scritto: “È la storia, non colui che la racconta” e questo monito deve essersi calcificato nelle ossa di Sam Lake, volto iconico e autore di Remedy, casa di sviluppo finlandese che nel giro di una manciata di anni si vede lanciata nel panorama di quelli che contano. Quelle persone capaci di scrivere, sviluppare e progettare delle storie immaginifiche, siglando ogni loro gioco con un marchio magico, qualcosa di riconoscibile nel tempo, un falò dove milioni di videogiocatori possono riunirsi nel buio e ascoltare storie fantastiche.
Tutto nasce con un giovanissimo Sami Järvi (solo successivamente cambierà il suo nome per essere riconosciuto a livello internazionale in Sam Lake) che da sempre ha la passione per la scrittura e per Stephen King. La creazione di storie e mondi fantastici nei suoi numerosi quaderni lo portano a studiare letteratura inglese all’università.
Quando un suo amico che lavora ad un videogioco denominato Death Rally gli chiede una mano per scrivere alcune linee di testo per delineare contesto narrativo e background, Sam accetta per ritrovarsi – letteralmente – in una cantina assieme ad altri ragazzi. Proprio lì nasce Remedy, nell’umidità e nell’aria stagnante di quella cantina, tra sogni, tabacco e un ambiente tutto sommato piacevole, tanto da convincere Sam Lake a dedicarsi alla loro causa.
La scelta non potrà che essere delle migliori, perché sarà proprio lì che verrà alla luce uno dei titoli di punta non solo di Remedy, ma di tutta l’industria videoludica: Max Payne. Appassionato da sempre di cinema e serie tv, Sam Lake comincia la stesura di una storia dal sapore hollywoodiano, con tutti gli stilemi di genere per un action nudo e crudo, contaminato dalla freddezza hard boiled del cinema di John Woo.
Il risultato è un successo planetario che mette in mostra le grandi doti narrative di Sam Lake, mentre il settore si domanda se l’autore può davvero essere considerato una delle migliori penne in circolazione oppure etichettarlo come il classico fuoco di paglia. Per ripagare le attese, lo stesso Sam Lake dedica tempo per immergersi in corsi di scrittura sempre più duri e intensi, per poi firmare successivamente la sceneggiatura di Max Payne 2, portando la narrazione verso lidi più cupi e densi, attingendo a piene mani dal neo noir.
Alan Wake, il sogno nel cassetto
Sam Lake in giovane età scrive una sceneggiatura che vede un uomo combattere contro forze oscure. Un concept facile, semplice, privo di dettagli particolari, ma queste pagine di testo vibrano ad una frequenza che solo lui riesce a percepire. Lì c’è la base per qualcosa di affascinante e adesso, dopo il successo dei due Max Payne, è il momento di lavorarci a pieni polmoni e tradurre quella storia in un videogioco epico.
Il team di sviluppo comincia a studiare bene le meccaniche da implementare mentre lo stesso Sam Lake modella la storia, aggiunge dettagli e personaggi, si lascia coccolare dalla fantasia ispiratrice di King e di Twin Peaks. Decide di ambientare questo gioco a Bright Falls, immaginaria cittadina del midwest americano, piena di alberi e fitta vegetazione, ristoranti accanto a stazioni di rifornimento e interminabili strade.
Sam Lake e il suo team viaggiano per gli Stati Uniti, scattando foto e registrando video delle zone che più si avvicinano alla loro idea di progettazione. Si documentano e lasciano che l’aria del posto bruci nei loro polmoni, stimolando al massimo la loro materia grigia. Al ritorno a casa il team di sviluppo ha tutto per cominciare a progettare il gioco e Sam Lake ha anche una storia pronta. Questa vedrà protagonista Alan Wake, scrittore in crisi che si rifugia nella cittadina di Bright Falls per ritrovare ispirazione e creatività. La sfida si manifesta in una forza oscura che si palesa al calar della notte, trasformando tutti i cittadini in creature possedute e lo stesso Alan chiamato a sopravvivere fino al mattino successivo.
Un problema dopo l’altro
Siamo in un periodo storico dove il concetto di open world è – a tratti – sinonimo di possibilità di espansione delle meccaniche di gioco. Sam Lake e Remedy ne sono totalmente affascinati e decidono che Alan Wake dovrà essere necessariamente un open world con un ciclo giorno-notte: di giorno Alan dovrà girare liberamente per la città, accettare ed eseguire missioni senza dimenticare di trovare le risorse necessarie, quali torce, armi e munizioni, per sopravvivere al sopraggiungere della notte, con la città che muta in un incubo orribile e mortale.
I lavori procedono senza sosta e il team di sviluppo pensa che sia giusto annunciare in pompa magna il progetto. Così all’E3 del 2005 tutto il team si presenta con un annuncio e una prima build per mostrare il gioco. Se cercate su YouTube trovate ancora qualche frammento di video, dove vediamo Alan Wake girare per la città e utilizzare veicoli. Insomma, il progetto sembra forte, un vero e proprio open world con forti declinazioni survival horror e il nome di Remedy dopo il successo dei due Max Payne non poteva che essere una fonte inesauribile di fiducia cieca.
Purtroppo, all’entusiasmo iniziale, corsero parallelamente anche i primi problemi. Lo studio di sviluppo non aveva alcuna esperienza nella gestione di giochi open world e dando molta importanza all’aspetto narrativo, con Sam Lake che continuava a limare la storia in ogni aspetto, ci si rende presto conto che progettazione e storia del gioco stavano andando in due direzioni totalmente diverse.
La storia scritta da Sam Lake seguiva corridoi narrativi prestabiliti, eventi che necessitavano di un ritmo, un contesto, dei limiti dove non si poteva andare oltre, ma questi si tramutarono in veri e propri paletti in una progettazione open world, dove essenzialmente il giocatore può decidere a proprio piacimento in quale direzione narrativa procedere.
Questi inconvenienti purtroppo vennero fuori dopo ben tre anni di sviluppo. Tre anni di silenzio, di crisi interne, dove Sam Lake scrisse e riscrisse la stessa storia per venire incontro alle necessità di progettazione. Ma al netto di questi tentativi vani per salvare la baracca, la verità era davanti gli occhi di tutti: il progetto Alan Wake era naufragato, morto ancor prima di venire realizzato.
Ripartire da zero
Sam Lake ha troppo a cuore questa storia. Brucia nelle sue vene da quando era giovane e decide di non rinunciare a quanto fatto. Così assieme a tutto il team di sviluppo si sceglie per una decisione drastica: Alan Wake verrà realizzato, ma il progetto dovrà essere tutto rivisto, eliminando i problemi radicali e salvando il salvabile.
Alla ghigliottina vanno le meccaniche survival e la mappa open world, progettazioni fin troppo casuali per una storia che prevedeva step narrativi precisi per arrivare in altrettanti tempi definiti. La cittadina e tutto il plot dovevano rimanere intatti, con le mappe open world già realizzate che vengono modificate e trasformate. Da esperimento survival open world, Alan Wake torna alle origini di Max Payne, con un’esplorazione limitata che predilige i tempi narrativi.
A dare un’ulteriore mazzata alla progettazione del gioco ci si mette anche Microsoft che, strappando un’esclusività per far uscire il gioco su Xbox 360, costringe Remedy a dover rivedere al ribasso le potenzialità del titolo, per via dell’hardware della console inferiore a quello di un PC. Scelta che implicò altri mesi di studio, progettazione e ottimizzazione. Alla fine, il 14 maggio 2010, Alan Wake esce in tutto il mondo e al netto di un buon responso di critica e pubblico, le vendite sono timide. Troppo timide rispetto ai tempi di sviluppo sicuramente titanici e relativo dispendio di risorse.
La nascita di un cult
Gli umori in casa Remedy non sono certo dei migliori. In tanti speravano in un grosso successo planetario, non al pari di un Max Payne, ma almeno capace di registrare dei numeri che fungessero da carezza in un momento di grande sconforto. A certificare questo momento buio post lancio di Alan Wake ci pensa Microsoft che, dopo aver pubblicato lo spin-off Alan Wake American Nightmare, rifiuta una sceneggiatura già pronta da parte di Sam Lake su un potenziale e già ispirato sequel.
Di Alan Wake si perdono letteralmente le tracce. Se il nostro scrittore preferito alla fine della sua avventura si ritrova intrappolato nell’oscurità pur di salvare la moglie, il responso nel mondo reale non è certo diverso: Alan Wake rimane agli occhi di tutti una grande occasione persa, certo suggestiva a tratti, ma non totalmente convincente. Eppure, nonostante tutto, qualcuno non ci sta. No, Alan Wake non poteva essere solo un gioco estremamente derivativo e fin troppo ispirato a Twin Peaks, perché quello che Sam Lake e il team di Remedy hanno messo in piedi era un mondo pazzesco, narrato con precisione ed entusiasmo.
Ed è così che inizia il culto. Una fede incrollabile di uno che diventano di tanti, pronti nel web ad analizzare ed elogiare a più riprese il gioco, dimostrando tutto l’amore possibile. Un supporto incrollabile e ferreo ad un titolo che meritava una sorte migliore di quella a cui è andato incontro. Per un uomo perso da decenni nell’oscurità la metafora della luce alla fine del tunnel non è più solo un modo di dire, bensì un appiglio a cui aggrapparsi con tutte le proprie forze. Questa luce, debolissima e appena accennata, comincia a brillare nell’agosto del 2020.
Un mondo sotto ControlLo
Nell’agosto del 2019 Remedy pubblica Control, titolo che viene salutato come la miglior sperimentazione narrativa mai vista nel medium. Certo, è anche un titolo brillante e pieno di inventiva, ma nel suo approccio new weird, Control sfonda una porta aperta per correre libero in un campo ancora vergine, senza pretendenti, con una sperimentazione visiva e narrativa che si amalgama ottenendo forme tanto sinuose quanto bizzarre.
L’arrivo nell’agosto del 2020 del dlc AWE (Altered World Event) è la rappresentazione della sopraccitata luce in fondo al tunnel: questo contenuto di gioco cita a più riprese Alan Wake e le indagini che il Federal Bureau of Control ha messo in atto nella cittadina di Bright Falls. Sono poche informazioni, ma abbastanza per capire un paio di concetti importanti. Uno tra tutti: Control e Alan Wake condividono la stessa realtà e, cosa più importante, s’intravede lo scrittore. Lo vediamo per poco, pochissimi secondi, qualche input scarso, ma abbastanza per avere la certezza che è ancora vivo, è lì fuori e sta cercando di uscire dalla dimensione oscura in cui è intrappolato da più di dieci anni.
Con l’entusiasmo alle stelle da parte di tutti i fan nel mondo, mancavano solo gli ultimi tasselli, gli annunci ufficial. Il grande ritorno di Alan Wake si palesa in due forme: prima in una remastered del primo capitolo e poi a fine 2021 con l’uscita di Alan Wake 2 fissata per il 2023.
Perché abbiamo atteso così tanto Alan Wake 2?
Quello di Alan Wake 2, del suo movimento che si è andato a creare nel tempo, delle più di 4 milioni di copie vendute nel corso di questi anni, di una flebile fiamma che è divampata grazie all’amore dei suoi appassionati sparsi nel mondo e che non si sono mai arresi in tutti questi anni, è una delle storie uniche del panorama, di quelle che vale la pena raccontare e che poi portano ad una domanda successiva: come è riuscito a costruirsi questo fandom così religioso nel corso degli anni? E l’arrivo di Alan Wake 2 è la vittoria di quest’ultimo o di una maggiore consapevolezza di mezzi di Remedy?
Difficile trovare una risposta, ma possiamo in qualche modo fotografare la qualità particolare della storia di Remedy e del suo rapporto con il pubblico. E questa fotografia rappresenta sicuramente la faccia da schiaffi di Sam Lake. Da chi ha attraversato tanti generi, dal thriller hard boiled al thriller tecnologico, dal fantastico alla fantascienza new weird e trova in questa ricerca stilistica la forza di coniugare un’esperienza di gioco solida alla forza trainante di una storia ben scritta.
E così costruisce mondi pieni di dettagli solo per il piacere di narrare, dà in pasto all’utente un mondo inedito dove poter interagire con le sue creazioni, un vero e proprio parco giochi dove provare una giostra di emozioni che non devono per forza essere comprese – basti pensare alla criptica narrazione di Control – bensì vissute, respirate, assimilate. Tanto basta per ritrovarci dentro quella storia.
Perché, ancora una volta, “è la storia, non colui che la racconta”. Alan Wake è riuscito a portare la storia fuori dal medium, farla arrivare a chiunque, anche solo per sentire la sua fama di essere il “Twin Peaks dei videogiochi”. Come l’opera di Lynch, anche quella di Sam Lake è rimasta incompleta per anni, e proprio ora che leggerete queste parole avrà avuto inizio un’altra di storia, quella di Alan Wake 2, dopo ben tredici anni. Finalmente!
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