Un aereo di linea della compagnia australiana Ocean Airlines, diretto da Sydney a Los Angeles, si schianta su un’isola (apparentemente) disabitata. I 48 superstiti si accampano sulla spiaggia in attesa dei soccorsi. Scopriranno che l’aereo è uscito di rotta diverse miglia prima del disastro e che nessuno potrà trovarli. Su questa premessa J.J. Abrams e Damon Lindelof creano Lost per la ABC, serie TV di vitale importanza per la televisione moderna che si scopre – entro una manciata di episodi – essere molto di più di un survival drama. Lost va in onda per sei stagioni a partire dal settembre 2004 fino al maggio 2010. Sono sufficienti le prime tre per ridefinire il modello televisivo contemporaneo e cambiare per sempre le aspettative dello spettatore medio (comprese le aspettative di chi la serie non l’ha vista ereditando in ogni caso una TV cambiata, compreso addirittura chi l’ha vista definendola “una stupidaggine”, beata ingenuità).
Il 15 agosto Lost arriva su Netflix. Un’ottima occasione per un rewatch (inevitabilmente) compulsivo accanto a un ventilatore o su un lettino in spiaggia. I più coraggiosi lo faranno anche in aereo, magari, andando in vacanza da qualche parte. Lost, a dire il vero, è da tempo anche nel catalogo di Disney+ (come molte serie ABC, network controllato dalla Disney Company dagli anni ’90). La cassa di risonanza che offre Netflix, però, rimane tendenzialmente superiore. E se così non fosse, a noi sembra semplicemente una buona occasione per rispolverare questa storia. Un concentrato di narrative orizzontali, misteri, riferimenti biblici, elementi soprannaturali e viaggi nel tempo; e ancora storie di solitudine e redenzione, di costruzioni di comunità umane alternative e tematiche filosofiche in antitesi.
L’epopea produttiva
La serie nasce da un’idea di Lloyd Braun, all’epoca tra i pezzi grossi della ABC, il quale commissiona l’episodio pilota a Jeffrey Lieber. Il primo script è pessimo, almeno a detta di Braun, e Lieber viene allontanato. Subentra a quel punto il nostro J.J. Abrams, cultore della fantascienza e dell’opera di Steven Spielberg, che accetta di portare avanti il progetto a due condizioni: la prima è che la serie deve avere elementi soprannaturali, la seconda è che vuole Damon Lindelof come co-creatore. Detto, fatto. I due mentono su un aspetto importante: sostengono che la serie non avrà elementi narrativi orizzontali che possano confondere lo spettatore. Ma Lost, di fatto, è la serie TV dalla narrativa più orizzontale di sempre. Poco importa, perché Braun e il suo costante scetticismo vengono licenziati a ridosso della messa in onda del primo episodio. Un primo episodio che costa 14 milioni – tantissimi, un’infinità per l’epoca – e che vede un vero aereo distruggersi sull’isola di Oahu alle Hawaii – location di ambientazione – perché costruirne uno in studio richiede troppo tempo. Si sta evidentemente realizzando un progetto dalle ambizioni senza precedenti.
Al pilot assistono 118 milioni di spettatori. La media della prima stagione è di 16 milioni, durante il ciclo di episodi finale ne abbiamo 11. Diminuiscono, come è quasi fisiologico che sia diverse decine di episodi dopo, ma sono sempre tanti. Lo show sopravvive anche a un paio d’urti non da poco: J.J. Abrams abbandona relativamente presto per via di altri impegni, ma almeno del genio di Lindelof ci si può fidare. Poi, nel 2008 c’è un importante sciopero degli sceneggiatori che mette in difficoltà la produzione (quella di Lost, così come quella di tanti show importanti dei primi anni ’00): da quel momento in poi si riscontra un leggero calo dal punto di vista della scrittura e non si riesce più a ritrovare la stabilità e i punti di riferimento produttivi necessari. A compensare ci sono le interpretazioni solide, i paesaggi suggestivi e un finale intensissimo. Ma soprattutto il pioneristico utilizzo del cliffhanger: impossibile spegnere la TV.
NB Da qui in poi l’articolo contiene spoiler.
Come si scrive una grande serie
La scrittura di Lost è caratterizzata da tre elementi fondamentali: l’orizzontalità, il mistero e la coralità. Certo, la serie in questione non è la prima a tradire la natura fondamentalmente verticale (cioè dagli episodi autoconclusivi e slegati tra di loro) su cui si fonda la TV, ma porta questa innovazione a livelli mai visti prima. I misteri si infittiscono e diventano più numerosi col passare del tempo; la sceneggiatura tende a chiudersi sempre di più – e questo è genialmente controintuitivo – all’avvicinarsi del finale invece di aprirsi alla risoluzione delle varie trame, sotto-trame e linee narrative parallele. Come noto, ogni episodio alterna le storyline principali a quelle del passato che si focalizzano su un determinato personaggio; i flashback diventano poi flashforward e infine flashsideways (una sorta di universo parallelo, di what if). La coralità aiuta il procedimento: Lost è una serie con tantissimi personaggi e molte ambientazioni, quindi con molte storie da raccontare.
Siamo inoltre di fronte a un mix mai così equilibrato tra importanza della trama e centralità del personaggio. Generalmente, uno di questi due elementi prevale sull’altro: in questo caso invece sono tanto importanti i personaggi nella loro unicità e umanità, nel lungo cammino che percorrono e nella capacità di autodeterminarsi, quanto la trama che genera le loro vicende rendendo i vari Jack, Locke, Kate e Sawyer delle pedine funzionali ai colpi di scena e alla spettacolarità della storia. Sono tutti importanti, tant’è che alla fine si scoprono essere candidati a diventare i nuovi custodi dell’isola, ma nessuno è imprescindibile. Nessun personaggio, infatti, compare in tutti i 114 episodi dello show. Il più presente è Hurley. Jack, il “protagonista”, è solo al secondo posto.
Ragione e sentimento
Siete persone particolarmente razionali o essere umani di fede? Lo show di Abrams e Lindelof potenzialmente può apprezzarlo chiunque, ma nel secondo caso potreste trovarvi più a vostro agio. Una delle bellezze di Lost è che è talmente complessa e ambiziosa dal punto di vista del mistero e della filosofia che inevitabilmente lascia più domande che risposte. I più cinici parlerebbero di buchi di trama – sì, tecnicamente ce ne sono, ma a noi persone di sentimento importa poco. Una delle complessità di Lost la troviamo in Jack e Locke: il primo è iper-razionale, tipico nella sua caratterizzazione di maschio il cui eroismo si apprezza attraverso la risoluzione logica dei problemi e le fatiche di Ercole a cui è sottoposto. Poi abbiamo Locke, che sull’isola può magicamente camminare dopo anni in carrozzina: al limite tra fede e culto cieco, l’uomo si lascia andare alla magia del luogo e alla speranza.
L’isola è l’oggetto magico della storia: è un personaggio a sé stante, decide, si muove ed è terra di mitologia e origini dell’umanità, del bene e del male, del mostro e del salvatore e delle complessità che attraversano gli estremi. In mezzo c’è forse il personaggio più significativo: Ben, il leader degli Altri – gli uomini e le donne presenti sull’isola da secoli e in conflitto con il Progetto Dharma che ha l’ha colonizzata a fini scientifici – è il perfetto ago della bilancia. Opportunista, cattivo ma non per natura, vittima e carnefice di sé stesso e degli eventi. La natura controversa di Ben lo porterà a decidere di non stare in compagnia dei superstiti nel commovente finale post-mortem, in quella sorta di limbo in cui confluisce l’universo alternativo della stagione finale, recuperando in ultima battuta dignità e prospettiva.
Ma Lost è anche fisica e fisica dei viaggi del tempo. Un’altra domanda posta in bilico tra razionalità e follia è piuttosto semplice: siamo padroni dei nostri destini o il tempo è una figura troppo forte per noi? Se una cosa deve succedere, succederà in ogni caso o intervenendo sul corso degli eventi la possiamo cambiare? Jack prova a modificare la sequenza di eventi intervenendo sulla fonte elettromagnetica dell’isola che provoca lo schianto. Fallisce. Fallisce anche Desmond nell’evitare la morte di Charlie, limitandosi a rimandarla. La problematica è stata poi ripresa da Dark, la serie tedesca di Netflix considerata un capolavoro solo da chi non ha visto Lost.
L’eredità
In tanti sono stati candidati a prendere il posto di Lost. Alcune serie – tra cui Stranger Things e Westworld – ne hanno ripreso la struttura a incastri, il mistero, l’ambizione filosofica e la coralità dei personaggi. E lo hanno fatto anche con qualità, ma assumendo un ruolo specifico nel panorama televisivo molto differente. A questi prodotti manca qualcosa: il contesto. Lost esce in un periodo storico in cui la ritualità collettiva seriale è ancora viva. Dopo Twin Peaks e prima de Il Trono di Spade, è stata una delle serie più chiacchierate in tempo reale di sempre, un episodio alla volta. Dal divano di casa, ogni settimana alla stessa ora, e poi sui forum. Oggi la pazienza e la volontà di affidarsi, abbandonandosi alle lunghe storie e alle risposte non immediate tende a mancare in favore del tutto e subito. Si riscontra infatti la velocità di consumo sdoganata dalle piattaforme streaming. Nulla di drammatico, le modalità di fruizione cambiano. Tant’è.
Fatto sta che ciò che rende veramente grande Lost è la possibilità di scelta che il progetto della ABC ha reso possibile. Innalzando l’ambizione ha aperto porte che prima non solo erano chiuse, ma di cui neanche si conosceva l’esistenza. Nessuna idealizzazione eccessiva: tanti film e serie hanno fatto questo, ognuno nei suoi tempi e nei suoi contesti. Questo è uno di quei casi e uno dei più importanti della televisione del ventunesimo secolo. Lost è riuscita a estendere il potenziale visivo e spaziale della narrativa televisiva, sia dal punto di vista geografico che simbolico. Ha reso possibile l’espansione degli immaginari televisivi lavorando per accumulo, sperimentando, a volte anche esagerando e perdendo un po’ il filo, ma sempre con idee solide alla base. E con un gruppo di personaggi indimenticabile. Tempo di rewatch? We have to go back, Kate.
Qui abbiamo parlato ulteriormente dell’eredità di Lost.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!