Verdetto tutto sommato prevedibile ed abbastanza equilibrato quello dei David di Donatello 2022, la cui cerimonia di assegnazione si è svolta ieri sera nel luogo che più gli si compete e conviene, cioè Cinecittà.
È stata la mano di Dio si è aggiudicato i premi più ambiti e cioè quelli per il miglior film e la miglior regia, nonché quelli per la miglior attrice non protagonista all’irresistibile e commovente Teresa Saponangelo, per la miglior fotografia a Daria D’Antonio (ex-equo con Michele D’Attanasio di Freaks Out) e quello assegnato dalla giura Giovani, totalizzando 5 David. Il kolossal storico-fantasy di Mainetti, proprio come è successo al Dune di Denis Villeneuve nella notte degli Oscar, ha invece fatto incetta di premi ‘tecnici’ (fotografia, scenografia, trucco, acconciature ed effetti speciali) portandosi a casa ben 6 David, tra cui quello, meritatissimo, per la produzione, risultando di fatto la pellicola più premiata della serata.
Al bellissimo ed emozionante documentario di Tornatore sul Maestro Morricone vanno giustamente i premi per il miglior montaggio (trattandosi in effetti, in larga parte, di un film di montaggio orchestrato in modo superbo), per il suono e, ça va sans dire, per il miglior documentario. Dispiace che Qui rido io abbia vinto soltanto per il miglior attore non protagonista al bravissimo ed emozionato Eduardo Scarpetta (pronipote omonimo del protagonista del film) e per i migliori costumi ad Ursula Paztak, quando avremmo preferito invece un’assegnazione equamente spartita con il film di Sorrentino per quanto riguarda miglior film e regia. Ma andiamo ad esaminare la serata più nel dettaglio.
La serata
Anche quest’anno abbiamo ritrovato la consueta conduzione, sobria e professionale ma, tutto sommato, monocorde, di Carlo Conti. I rari guizzi improvvisati di Drusilla Foer, nonché i duetti preparati, non sono bastati a risollevare il tono e il ritmo di una cerimonia, quella dei David, di cui si sa che l’intrattenimento non è mai stato il piatto forte. Lo spettacolo si riduce dunque ad una sequela di premi presentati velocemente dai due conduttori, tranne quello per il regista esordiente (andato a Laura Samani per Piccolo corpo) che è stato invece consegnato dai Fratelli D’Innocenzo. Eppure ci vorrebbe poco: ci chiediamo infatti perché su questo aspetto non si prenda ad esempio la serata degli Oscar, in cui la consegna delle statuette viene effettuata da ospiti diversi, coerentemente alla tipologia di premi, che animano maggiormente la cerimonia. Siamo invece felici che in un altro elemento la cerimonia dei David si sia differenziata da quella degli Oscar e cioè nell’aver dato visibilità a tutte le categorie, la cui assegnazione è stata ben distribuita nel corso della serata e non rimontata in differita, come è successo, in modo imbarazzante quest’anno, al Dolby Theatre.
Il momento più vero e vitale è stato quello del David Speciale, doveroso nonché tardivo, ad Antonio Capuano, per il quale c’è stato evidentemente lo zampino della Mano di Dio. Sorrentino lo ha consegnato infatti all’immaginario cinematografico collettivo, rimodellandolo come personaggio nel suo film autobiografico tramite il memorabile monologo finale in cui il cineasta, interpretato da Ciro Capano, pronuncia le iconiche battute A tien’ ‘na cosa ‘a raccuntà? e Non ti disunire. L’ottantaduenne regista napoletano arriva sul palco fregandosene dell’etichetta, con una mascherina pendente dal viso (prontamente levatagli dal solerte Conti), e reclama il diritto, forse unica volta nella storia dei David, di affermare di non meritarlo. La sua commozione nel ritrovare il ‘discepolo’ Paolo e il suo grido, invocando il nome della sua ‘ragazza’ scomparsa, rimarranno certamente nella memoria degli spettatori.
Toccante l’emozione della giovanissima (17 anni!) Swami Rotolo, premiata come miglior attrice per l’intensa interpretazione nel sorprendente dramma sulla mafia calabrese A Chiara di Jonas Carpignano. Commovente e doveroso il ricordo di Monica Vitti, con un bel montaggio a ricordare le sue interpretazioni più importanti (ma dov’era Polvere di stelle?) e le sue dichiarazioni sull’arte della recitazione. Il ricordo di tutti gli altri scomparsi, tra cui spiccano Lina Wertmuller, Libero De Rienzo, Franco Battiato e Raffaella Carrà, è stato invece realizzato sulla falsariga degli Oscar, cioè con un’esibizione musicale dal vivo, in questo caso quella di Drusilla Foer che cantava Senza fine. Altro momento intenso quello con gli spezzoni di repertorio dedicati a Pasolini, Tognazzi, Gassman, e Bolognini, dei quali quest’anno cade l’anniversario della nascita. La verità e la profondità sul narrare per immagini, sulla vacuità del successo e sull’ambiguità della recitazione, nelle parole di questi maestri hanno costituito l’altro vertice di una serata avara di momenti indimenticabili. Il piccolo Jude Hill, protagonista di Belfast, ritira il premio per il miglior film straniero, stupendo per la naturalezza e la spigliatezza dei suoi 11 anni di età. Unici accenni della serata alla drammatica situazione internazionale dell’Ucraina, il commosso reading di Drusilla dello storico discorso di Charlie Chaplin tratto da Il grande dittatore, e il richiamo alla pace invocato dallo sceneggiatore e regista Bruno Oliviero premiato per la miglior sceneggiatura, insieme con Leonardo di Costanzo e Valia Santella per Ariaferma, film che si è aggiudicato anche il premio come miglior attore a Silvio Orlando.
Ha fatto molto piacere ritrovare una lucida e sagace Giovanna Ralli, premiata per il David alla carriera, che ci piace ricordare nel ruolo dell’indimenticabile Elide, la coatta redenta, trasformatasi incredibilmente in fan del cinema dell’incomunicabilità di Antonioni, nel capolavoro di Scola C’eravamo tanto amati. Anche Sabrina Ferilli viene omaggiata con un David speciale e con un bel montaggio dei momenti più alti della sua carriera cinematografica. Senza ragioni ufficiali l’assenza di Nicola Piovani nel ritirare il premio per la miglior colonna sonora a I fratelli De Filippo. Non comprendiamo infine la scelta di riesumare Umberto Tozzi per l’esibizione musicale, quando invece c’erano ben 5 canzoni originali candidate che potevano essere eseguite nel corso della serata.
L’imbarazzo della scelta per cinque ottimi film
Mai come quest’anno era molto difficile scegliere per chi tifare come miglior film ai David di Donatello. È la prima volta che, se avessimo potuto, avremmo premiato tutti e cinque i candidati perché ognuna di queste opere ci ha colpito e impressionato positivamente per diversi e validi motivi. Il coraggio produttivo (giustamente ripagato), la lungimiranza e la qualità visionaria di Mainetti; il rigore formale e morale di Leonardo di Costanzo che è riuscito a far respirare una storia claustrofobica tra le mura di un carcere, metafora della vita umana; il vissuto privato di Sorrentino messo a nudo in un film intimo e al tempo stesso universale; il linguaggio del cinema e quello del teatro che dialogano nella perfetta sintesi di Mario Martone; infine il Maestro Morricone raccontato da Tornatore, e dallo stesso Ennio, in un’opera che vibra di emozioni cinefile, musicali e umane incontenibili e irrefrenabili.
Gli incassi di almeno due di questi film (Freaks Out ed Ennio) sono andati abbastanza bene, considerato anche il periodo, ancora funestato dalla pandemia, durante il quale sono stati distribuiti. Anche Qui rido io ha raggiunto risultati ragguardevoli al box office, molto meno Ariaferma. Di È stata la mano di Dio, essendo stato prodotto da Netflix, non è dato sapere l’entità dell’incasso in quelle circoscritte settimane in cui è stato rilasciato nelle sale. Da rilevare la prima volta di un film prodotto da una piattaforma, che vince i premi principali nelle categorie principali dei David, sdoganando in questo un tabù che gli Oscar hanno superato soltanto quest’anno, col premio per il miglior film a CODA, distribuito da Apple Tv+, dopo alcune edizioni in cui film prodotti dalle piattaforme in generale, e da Netflix in particolare, erano stati snobbati dalla Academy nelle categorie più pesanti.
A prescindere dall’assegnazione dei premi, l’elevata qualità delle cinque pellicole candidate al miglior film testimonia l’ottimo stato di salute del cinema italiano. Se alla qualità si accompagnassero anche delle strategie di promozione e distribuzione adeguate saremmo certamente tutti più contenti.