Il 6 maggio 2004 andava in onda l’episodio finale di Friends sancendo di fatto quella che, per parafrasare una battuta di Monica, rappresentava la fine di un’epoca. Friends è stato un vero e proprio fenomeno, tanto di culto quanto di massa. Da una parte ha sancito uno standard per tutte le sitcom che sono venute dopo – basti pensare, ad esempio, ad How I met your mother -, dall’altra ha creato un argomento di conversazione che è diventato parte dell’immaginario collettivo. Il peso che la serie creata da David Crane e Marta Kaufmann ha avuto nel mondo dell’intrattenimento sul piccolo schermo è innegabile e supportato da dati, record e premi. Non sorprende, dunque, che per molti Friends rappresenti la sitcom migliore di tutti i tempi. Ma è davvero così?
Una comedy avanti coi tempi
Chi guarda oggi Friends per la prima volta spesso sottolinea il suo “essere invecchiato male”. Se si analizza Friends come se fosse un prodotto nato e distribuito in questo contesto storico, la sitcom appare scorretta, poco inclusiva e spesso offensiva. I nuovi spettatori della cosiddetta Gen Z utilizzerebbero spesso la parola cringe nel vedere le (dis)avventure dei sei amici che passavano il loro tempo al Central Perk. Ma il punto è che Friends non è stata prodotta oggi: è una sitcom andata in onda negli anni Novanta, una decade che, per quanto ne sentiamo la mancanza, ha avuto i suoi problemi in fatto di inclusione e consapevolezza.
E in quel contesto, per il periodo storico in cui ha fatto il suo debutto, Friends è stata una serie che ha anticipato i tempi. I nuovi spettatori, ad esempio, non avrebbero problemi a definire Friends una serie omofoba, soprattutto viste le battute sul padre di Chandler e i problemi che ha quest’ultimo nell’accettarlo. Eppure, Friends è stata una delle prime sitcom non solo a mostrare un matrimonio tra due donne celebrato da una (vera) attivista per i diritti della comunità LGBTQAI+, ma è stato il primo grande show in onda in prima serata a inserire al suo interno un personaggio transgender. Naturalmente la narrazione riguardo al padre di Chandler è decisamente problematica: spesso la donna viene interpellata con il suo deadname, usata come “fenomeno da baraccone” e spesso derisa durante il matrimonio del figlio. E se Friends fosse stata prodotta oggi tutti gli avrebbero puntato il dito contro.
Ma negli anni Novanta, quando vigeva la regola aurea del don’t ask, don’t tell, mostrare una donna transgender realizzata, che riallaccia i rapporti col figlio, era, per dirla come Miranda Priestly, “avanguardia pura”. Così come Friends si è mostrato in anticipo sui tempi mostrando il personaggio di Phoebe che fa da madre surrogato per i figli del fratello che, inoltre, è sposato con la sua insegnante, molto più vecchia di lei, ribaltando il trope dell’age gap. Friends ha parlato di problemi relazioni, di sterilità, di famiglie disfunzionali, e lo ha fatto in un periodo storico in cui sembrava che le comedy dovessero nascondere tutto ciò che era brutto sotto il tappeto e fingere che non esistesse.
Friends ha creato una comunità prima dell’avvento dei social
Al di là dei personaggi e delle battute sagaci (soprattutto per quanto riguarda le prime stagioni), il vero merito di Friends è sempre stato quello di saper creare – come si diceva in apertura – un immaginario collettivo. Friends ha creato una community, decenni prima dell’avvento dei social per come li conosciamo oggi. Persone sconosciute, sparse in quasi ogni angolo del globo, diverse per cultura e provenienza, si sono sentite legate da uno show di cui potevano ridere e con cui potevano esorcizzare le proprie paure. Nel saggio intitolato I’ll be there for you, Kelsey Miller descrive come Friends abbia aiutato i newyorkesi ad affrontare le settimane immediatamente successive agli attacchi alle Torri Gemelle del settembre 2001.
Mentre il mondo intorno crollava letteralmente a causa del terrorismo, gli americani hanno trovato conforto negli episodi di Friends che, a sua volta, ha omaggiato ripetutamente e in modo spesso sottile le vittime e gli eroi dell’11 settembre. Ma questo esempio serve proprio a dimostrare il peso che lo show ha avuto: era un prodotto scritto molto bene, innovativo per i suoi tempi, sorretto da personaggi che avevano i loro difetti e i loro pregi, con cui riuscivi sempre ad entrare in empatia. Ma era anche un rifugio, quella proverbiale copertina di linus sotto la quale ti potevi nascondere quando la giornata non era andata bene o il “vero mondo” era un luogo troppo brutto e difficile da abitare. E la cosa sorprendente è che Friends ha fatto tutto questo senza mai ricorrere a facili ricatti emotivi, senza usare pietà o misericordia, senza mai essere accondiscendente nei confronti del proprio pubblico.
Friends ci ha divertito mentre ci insegnava qualcosa
Per cercare di tirare le somme, perché molti pensano che Friends sia la miglior serie comedy di sempre? È merito solo della sua capacità di parlare di argomenti scomodi? È stato grazie alla sua aria di familiarità, capace di sedare le nostre ansie quotidiane? In qualità di serie comedy, Friends aveva un obiettivo primario, quello di divertire. E lo ha fatto. L’ironia e il sarcasmo che riempiono lo show, persino quello più datato, sono elementi che sono stati in grado di sconfiggere la tanto temuta prova del tempo. Sono battute davanti alle quali, la maggior parte di noi, riderebbe ancora. E quando una serie riesce a scavalcare i confini della propria epoca ha già, in definitiva, fatto la storia. In più Friends ci ha regalato dei personaggi con cui non solo siamo riusciti ad entrare in empatia, ma che abbiamo imparato a percepire come se fossero reali, come se fossero davvero i nostri migliori amici.
Ecco perché l’ultimo episodio con la sua inquadratura delle sei chiavi abbandonate sul mobile dell’ex cucina di Monica, ci fa ancora così tanto male: perché rappresenta un vero e proprio addio a qualcuno a cui abbiamo voluto davvero bene. Soprattutto, però, Friends è stato capace di nascondere, sotto le risate e le battute, lezioni di vita affatto scontate. Non solo quelle più divertenti, come quella di non credere mai alle pubblicità in tv e che oggi potrebbe trasformarsi in un “non credere a tutte le sponsorizzazioni”, ma anche lezioni che sono importante per la vita di tutti i giorni. Non avere paura di cambiare, non aver timore di mostrare le proprie stranezze e le proprie unicità. Avere una rete di supporto nelle persone che scegliamo e accettare che la famiglia, spesso, non è fatta solo di legami di sangue. A volte, in verità, la vera famiglia sono gli amici che ci scegliamo.
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