Terminata la visione di Yellowjackets, il cui ultimo episodio è andato in onda su Sky il 19 gennaio (ed in patria su Showtime, il 16) ci chiediamo ancora una volta perché non stiano tutti – dagli amanti della serialità televisiva che solitamente animano il dibattito sulle proprie piattaforme social fino addirittura allo spettatore occasionale – parlando di più di questa serie, che nel nostro caso ci ha tenuti incollati allo schermo in una lunga seduta di bingewatching.
Anzi, ci domandiamo perché siano altri i titoli (sia sul piccolo che sul grande schermo) a scatenare il chiacchiericcio del pubblico quando, finalmente per intero, abbiamo a disposizione su Sky e Now la serie creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson. Forse poco pubblicizzata e spronata qui da noi, ma nemmeno in patria ci si aspettava il successo che questo dramma – solo in parte adolescenziale – dalle tinte estremamente dark, che si sposta dal thriller all’horror (senza disdegnare momenti decisamente più leggeri e divertenti), avrebbe ottenuto. A nostro parere Yellowjackets è davvero una delle serie meglio riuscite dell’ultimo periodo e non vediamo l’ora di proseguire questa storia con la seconda stagione già confermata (addirittura si parla di un totale di cinque stagioni, ma la domanda se una storia come questa possa essere portata avanti per così tanto ce la porremo più avanti). Nell’articolo che segue abbiamo deciso di esplorare perché Yellowjackets sia un vero e proprio must watch, un prodotto imperdibile capace di unire e coinvolgere diverse tipologie di pubblico: ecco quindi perché vedere questa nuova serie di culto.
Una trama coinvolgente e trascinante
L’intuizione – a nostro parere estremamente vincente – alla base di questa serie è quella di unire atmosfere e storyline alla Lost con quelle di un classico della letteratura come Il Signore delle Mosche, rendendo però gran parte delle protagoniste di sesso femminile e – se già non bastasse – sdoppiare la narrazione su due linee temporali diverse: il periodo della sopravvivenza di un gruppo di ragazzine nelle selvagge foreste canadesi dopo un incidente aereo, e quello del “poi”, quando, più di vent’anni dopo, si ritrovano a fare i conti con quanto – di veramente terribile – è accaduto. Le “sopravvissute” si dovranno infatti scontrare con i traumi che si portano dietro, con i segreti che non possono permettersi di rivelare e con una serie di misteri ancora irrisolti, che paiono tornare a perseguitarle.
Stephen King ha dichiarato di aver particolarmente amato questo show. D’altra parte anche noi siamo più e più volte tornati alle pagine dei suoi libri durante la visione: la ricchezza e l’originalità dei racconti dello scrittore del Maine trovano infatti la loro forza, esattamente come accade per Yellowjackets, nell’approfondimento e nella caratterizzazione dei personaggi, capaci di risultare credibili, affascinanti e coerenti con se stessi dalla prima all’ultima pagina, dal primo all’ultimo minuto di visione.
Il cast e i personaggi multidimensionali
Il punto di forza di questa serie sono infatti le sue protagoniste, tanto da adolescenti (nel momento in cui avviene la tragedia) quanto vent’anni dopo. Se da adulte – nel cast abbiamo Melanie Lynskey, Tawny Cypress, Juliette Lewis e Christina Ricci, tutte strepitose nei diversi ruoli – non stupisce trovarle come personaggi multidimensionali, sfaccettati, pieni di difetti ma al contempo affascinanti (la serialità televisiva ci ha abituato a donne di questo tipo, un esempio può essere il personaggio di Kate Winslet nel recente Omicidio a Easttown), è per come le protagonista vengono ritratte da adolescenti a farci capire come dal punto di vista della scrittura questa serie sia capace di distinguersi.
Le “Yellowjackets”, ossia i membri di una squadra di calcio scolastica in viaggio per i campionati nazionali, precipitano nelle foreste canadesi, lontane dalla civiltà e completamente isolate. Gli unici uomini a sopravvivere all’impatto sono uno dei loro coach (gravemente ferito e menomato), il figlio adolescente dell’altro allenatore e il suo fratellino. Sono le ragazze quindi a doversi procurare il cibo, a trovare riparo, a cercare rimedi naturali per curarsi le ferite. Sono loro ad essere costrette a trovare una forza inaspettata per sopravvivere: alcune ce la fanno, altre invece si trovano schiacciate da una situazione che mai avrebbero pensato di dover affrontare.
Costringere un gruppo di adolescenti così diverse tra loro a convivere per un lungo periodo, è funzionale a mettere in scena diversi tipi di rapporti umani, a studiare e ad approfondire le relazioni nella loro più grande bellezza – compassione, cameratismo, altruismo assoluto – ma anche nei momenti più bassi e riprovevoli, fatti di invidie, gelosie ed ossessioni, dando vita ad una narrazione capace di essere incredibilmente affascinante e coinvolgente. In questi personaggi – nel loro essere così “reali” e con cui è così facile empatizzare – ritroviamo un po’ di noi stessi, pur non avendo fortunatamente mai vissuto una situazione così estrema.
In Yellowjackets impariamo a conoscere un gruppo di adolescenti per come sono realmente: intelligenti, divertenti, amorevoli e piene di risorse, ma anche opportuniste, egoiste e a tratti quasi ripugnanti. Esattamente come ci sentivamo anche noi, in quel periodo della nostra vita in cui ogni emozione risuonava più forte e potente che mai.
Tra loro ad averci veramente colpito le cinque protagoniste: Sophie Nélisse, che interpreta la Shauna che sarà anche di Melanie Lynskey, Jasmin Savoy Brown (vista di recente nel nuovo Scream) nel ruolo di Taissa, Sophie Thatcher, nella parte di Natalie, che sarà di Juliette Lewis, e Sammi Hanratty, che condivide con Christina Ricci il ruolo di Misty. Tra loro abbiamo la tipica “secchiona”, tranquilla ed introversa, la campionessa ambiziosa con un importante futuro davanti a sé, quella considerata una poco di buono ma dal passato difficile alla spalle e poi l’outsider, quella che nella vita “vera” veniva bullizzata e che ora si rivela una risorsa indispensabile. Infine conosciamo anche Jackie (interpretata da Ella Purnell), la ragazza più popolare della scuola, la “queen bee” che – in un contesto sociale completamente diverso – non ritrova più se stessa. Ognuna di loro nasconde sfaccettature, segreti e lati di sé completamente inaspettati.
Un mistero dopo l’altro
Ci scusiamo per il piccolo spoiler, ma vogliamo descrivervi la scena di apertura della serie: una ragazza in mutande viene inseguita nella neve, per poi precipitare in una trappola mortale dove trova la sua fine. A recuperare il corpo, delle figure mascherate, ricoperte di pelli di animali ed il cui viso è nascosto da maschere spaventose. In un’inquietante scena rituale il corpo della ragazza uccisa verrà prima dissanguato, poi cotto e consumato dai presenti, in un momento carico di terrore e misticismo.
Il mistero sull’identità della ragazza sacrificata nei primi minuti di Yellowjackets ci accompagnerà per tutta la durata della serie, composta in questa sua prima stagione da dieci episodi. A questo mistero “principale”- che risponde alla domanda, che viene ripetuta in continuazione, “Che cosa è accaduto realmente laggiù?” – se ne andranno ad aggiungere poi tanti altri, capaci di tenere incollato lo spettatore allo schermo: chi delle ragazze che non incontriamo fin da subito è sopravvissuta (ci viene detto che ce ne sono altre, ma che si nascondono e hanno cambiato nome)? Chi è che perseguita le protagoniste con criptici messaggi? Che cosa sta accadendo a Taissa e chi è la donna misteriosa che suo figlio continua a vedere dalla finestra? Chi è il mandante dell’omicidio che sconvolgerà i personaggi nel terzo episodio?
Una storia costruita per stuzzicare continuamente la curiosità dello spettatore, adatta sia ad una visione in modalità bingewatching (noi dobbiamo ammettere che siamo tra quelli che si sono visti più episodi possibili di fila) che ad una fruizione settimanale, centellinando colpi di scena ed emozioni, così da avere il tempo per condividere interpretazioni e formulare ipotesi. L’uso di flashback e flashforward è perfettamente funzionale a mantenere sempre alta la suspense, portandoci a cambiare idea più e più volte sulla direzione che potrà prendere la storia: da subito ci viene detto che le ragazze si “imbarbariranno” e ricorreranno al cannibalismo, ma è scoprire come questo alla fine accada, mettendo insieme indizi episodio dopo episodio, a trasformare la serie in un prodotto così interessante (lasciare un piccolo spiraglio aperto al sovrannaturale, poi, rende il tutto ancor più intrigante).
Concludiamo sottolinenando come Yellowjackets sia capace di dare vita su schermo ad una particolarissima miscela tra drama, thriller, racconto di suspense ed horror, creando così un’affascinante storia di amicizia, amore, rabbia, desiderio, misticismo, spirito di autoconservazione e al tempo stesso di autodistruzione. Se uniamo tutto questo ai misteri che la narrazione è capace di evocare e all’ottimo cast che vi prende parte (tanto gli attori adulti come i più giovani), non c’è dubbio su come quella di Lyle e Nickerson sia una delle migliori serie TV dell’ultimo periodo. Un probabile futuro cult da non lasciarsi scappare.