Ci sono prodotti che vivono delle loro storie, e altri dei propri personaggi. Non che i due fattori non possano incontrarsi e collidere. Eppure è evidente che diversi progetti richiedano diverse fonti creative su cui concentrarsi, come lo è altrettanto notare la centralità che Stranger Things ha adottato per la delineazione dei suoi personaggi e per lo statuto che ha donato a ognuno di loro all’interno della serie. Una consapevolezza diventata sempre più tangibile col proseguimento delle stagioni della produzione Netflix firmata dai fratelli Duffer, di cui ci si poteva anche ricordare il racconto che vedeva coinvolti Undici e i suoi amici, ma di cui erano soprattutto i loro caratteri a rimanerci impressi.
Perché “Friends don’t lie”, e così nemmeno una serie che ha reso palese fin dal subito l’importanza di avere una narrazione solida su cui portare il proprio pacchetto malinconico e fantascientifico. Ma ancor più la necessità fondamentale di dare ai ragazzini, ai loro genitori e fratelli maggiori (anche acquisiti) lo spazio necessario per diventare parte integrante di un tessuto seriale di cui sono la principale spinta propulsiva. Quella che lega gli spettatori a uno dei fenomeni mainstream più travolgenti degli ultimi anni, il quale ha fatto sentire il pubblico parte del Sottosopra. Pur risparmiandosi dal dover affrontare direttamente Demogorgoni o Vecna vari, sia chiaro.
Giochiamo a Dungeons & Dragons?
Una peculiarità per Stranger Things che è possibile notare proprio col susseguirsi delle stagioni è l’attaccamento sempre tempestivo e immediato per le new entry che ne andavano a far parte, ogni volta perfettamente integrate al tessuto narrativo della serie e ancor più in sintonia col resto dei loro compagni d’avventura. Non è un caso che sia stato quel circolo di ragazzini patiti di Dungeons & Dragons da cui è partita l’affezione per una serie che è andata poi allargandosi e ampliando il gruppo di quattro amici più la loro inaspettata Undi, munita di poteri e golosa di Eggo Waffle.
Un senso di nostalgia suscitato dall’ambientazione e dai toni del prodotto Netflix, ma al contempo avvolto da quel sentore di fanciullezza che tanto bene Stephen King è stato in grado di descriverci e attaccarci addosso. Quello presente in Stranger Things e che riviviamo di riflesso ogni volta che ci troviamo assieme a quei nostri compagni, coloro che abbiamo visto crescere come solo la pubertà sa fare così velocemente e che abbiamo notato diventare sempre più forti, coraggiosi, leali, impauriti, ma comunque intrepidi nell’affrontare demoni e adolescenza.
C’è poi chi, tra i personaggi, ne è prova inconfutabile. È indubbio che l’isolamento di Will nella prima stagione e la sua ripetuta connessione col Sottosopra abbiano estraniato di molto il personaggio rispetto a un pubblico che è stato abituato a vederlo sempre meno sul piccolo schermo. Eppure, soprattutto nell’arco narrativo affidatogli nella quarta stagione, è evidente come i traumi del ragazzo si siano riflessi in quello che è stato il suo incubo vissuto in un’altra dimensione, unito al non sentirsi compreso e diverso rispetto ai suoi amici.
Eppure è un desiderio di protezione quello che il personaggio riesce a suscitare nello spettatore, il quale vive attraverso gli occhi del fratello maggiore Jonathan la volontà di stare vicino a quel ragazzo che ha dovuto affrontare da solo il terrore del Sottosopra e, probabilmente nel proseguimento della serie, l’esplorazione di una sessualità queer difficile da esplicitare in un contesto anni Ottanta di periferia.
Le trasformazioni dell’adolescenza
Un percorso inverso rispetto, ad esempio, al suo migliore amico Mike, interpretato da Finn Wolfhard, il cui attaccamento nei suoi confronti era così sincero da parte del pubblico dopo soprattutto il supporto offerto alla sperduta Undici, ma che ben presto si è rivoltato in una sorta di maschilismo leggermente tossico. Un maschio alfa nel pieno dei suoi ormoni che deve ancora capire come rapportarsi con l’altro sesso e, probabilmente, anche con il proprio, visto il decorso della sua amicizia con Will, ma che cercherà basi nuovamente resistenti su cui ritrovarsi e poter riaffermare quell’unione che li renderà sempre inseparabili.
Percorso che Lucas ha compreso proprio dopo il suo primo anno di liceo, in cui la ricerca della popolarità non ha contribuito a farlo sentire meglio o in pace messo a confronto con gli altri membri dell’Hellfire Club, in cui il suo nerdismo andava cozzando con la sua nuova maglia di basket, pur rimanendo in panchina per la maggior parte delle partite.
Ma il vero collante, come vedremo poi anche con i personaggi “più grandi”, non può che essere il Dustin di Gaten Matarazzo, ponte tra il gruppo degli originali protagonisti di Stranger Things e coloro che, nel tempo, sono andati aggiungendosi vivendo proprio delle interazioni col personaggio. Come se Dustin riuscisse a tirare fuori la parte più bella di chi gli è accanto. Quella più luminosa, intrepida, sveglia, una personalità che si nutre di positività per restituirla poi agli altri e permette loro di spargerla al di fuori. La tipica persona che riesce a tirare fuori il lato migliore di noi. E che per questo si rivela lui stesso uno dei personaggi più amabili della serie.
Fratelli e sorelle maggiori
I benefici dell’essere amico di Dustin e, in questo caso, suo babysitter, sono tutti racchiusi nella figura dello Steve Harrington di Joe Keery e di quello che è il percorso più evidente in Stranger Things. Nonché la scrittura più attenta proprio nella trasformazione intrapresa dal personaggio, da playboy accanito pronto a cogliere ogni opportunità per poter concludere con una ragazza, ritrovatosi a sognare sei bambini e un camper con cui viaggiare possibilmente accanto proprio a quella che è stata la sua fidanzatina del liceo.
Una strada sull’auto-analisi e la presa di coscienza sul come voler diventare adulti, che spesso significa comprendere qual è l’atteggiamento con cui ci presentiamo al mondo e qual è la vera visione che vogliamo restituire di noi. Steve Harrington era stanco di sembrare il solito ragazzaccio dedito solamente alle gonnelle. Ha perciò preso in mano la propria mazza chiodata, la sua torcia e ha protetto i suoi fratelli minori, pur non essendo nemmeno uno di sangue.
Stesso destino toccato al personaggio il quale, più di tutti, per il pubblico si è rivelato se non il vero faro dell’intera serie, sicuramente della stagione quattro. L’Eddie Munson di Joseph Quinn ha saputo farsi voler bene perché, da disadattato con però eloquenti capacità comunicative, ha affascinato il pubblico con la propria parlantina e la contrapposizione continua che ha dimostrato nella serie. Da una parte lo spirito metal, dall’altro la passione per i giochi da tavolo. Da un lato il suo ritenersi l’ultimo nella scala sociale eppure in grado di creare una connessione con la cheerleader più carina della scuola e giocare con Dustin come fosse il suo fratellone (con discreta gelosia provata da Steve).
Una fine (attenzione: spoiler!) coerente con un personaggio il quale, purtroppo, non sarebbe mai riuscito a riscattarsi dalla figura del satanista omicida agli occhi di una cittadina che oramai lo disprezzava e che non può certo credere a una maledizione lanciata da un tale Vecna. Se Eddie invita Dustin a non cambiare mai, in una delle sequenze più toccanti della quarta stagione, il saluto del personaggio conferma a noi spettatori che sarà lui stesso nella nostra mente e nel nostro ricordo della serie a rimanere per sempre un eroe, quello che ha deciso di dimostrare a se stesso e ai suoi nuovi, appena trovati amici.
Cosa significa crescere
Fine altrettanto tragica, seppur con venature miracolose, per un personaggio come Max, che ha completamente conquistato la scena diventando quasi la frontrunner della serie e attraversando anche lei un mutamento che ha avuto a che fare con le interiorità più sottaciute e segrete di noi. Oltre ad averci fatto riappassionare alla discografia di Kate Bush, Max ci ha permesso di scavare all’interno del nostro stesso senso di colpa e farci capire che essere persone cattive è un’altra cosa rispetto allo sbagliare, come capita di fare a tutti almeno una volta nella vita.
Un discorso intimo, privato, onestissimo che la ragazzina confessa a Vecna ricordando il rapporto col fratello Billy e che tocca le medesime corde di un film dall’enorme impatto emotivo quale Sette minuti dopo la mezzanotte. L’ammettere che ciò che crediamo di volere, anche le cose peggiori, non sono specchio della persona che siamo o vogliamo essere, ma semplicemente pensieri che nella vita reale non riusciremo mai a concretizzare.
È sperare che avvenga qualcosa di brutto a tuo fratello, che la smetta di punzecchiarti e renderti la vita un inferno. È essere quasi sollevata quando si scopre che forse, quel desiderio di vendetta, è stato portato a compimento, ma che preferiresti un’intera esistenza di tormenti pur di avere ancora vicino quella persona anche al costo di continuare a vederti derisa e presa in giro.
Proteggere prima di tutto
Quanto ci hanno dato da imparare questi personaggi, mai scontati nell’evoluzioni della propria crescita pur rimanendo fedeli ai loro caratteri. Come la Nancy ingenua secchiona liceale fattasi donna, pronta a impugnare fucile e caricatore per affrontare di petto Vecna. La tipica ragazza la cui precisione potrebbe dare sui nervi e che invece finisce per sacrificare se stessa, il proprio rigore, anche l’abbigliamento più consono pur di affrontare adeguatamente la mente alveare e pericolosa del Sottosopra.
In contrasto eppure in perfetta combinazione con il personaggio più goffo dell’intera serie, Robin, la cui bocca va più veloce della mente e il cui equilibrio non è la prima freccia nella sua faretra. Giovani uomini e giovani donne di cui non possono che essere fieri i veri adulti della serie, che nell’amore genitoriale di una mamma come Joyce e un padre come Hopper restituiscono il desiderio di ridare un mondo di pace ai loro figli.
Un plauso all’abilità di Stranger Things per averci fatto appassionare a ogni personaggio, che sia questo un complottista americano, un carceriere russo o un contrabbandiere senza scrupoli (sì, anche la storyline in Russia e dei personaggi come Murray e Yuri sanno fare la differenza). Che capacità nell’aver affidato a ognuno di loro particolarità per cui sono unici e riconoscibili, fantastici come nella serialità serve essere eppure estremamente veri, umani. Che intelligenza nel sapere che saremmo disposti ad addentrarci nel Sottosopra per e con loro, mettendo su la nostra playlist preferita.