Il recente trionfo, prima ai Golden Globe e poi ai SAG, di The White Lotus: Sicilia ci riporta prepotentemente alla mente quanto, ancora oggi, lo sguardo dell’industria cine-televisiva degli Stati Uniti d’America nei confronti dell’Italia e della sua cultura sia dannosamente legata ad un affresco stereotipato particolarmente difficile da estirpare. Certo, la serie antologica creata da Mike White deve molto del suo successo ad una scrittura solida ed adeguatamente stratificata, così come ad un cast eterogeneo e in brillante stato di grazia, eppure la seconda stagione dello show HBO ambientato in Sicilia ha fatto storcere il naso a molti proprio a causa della rappresentazione stereotipata dei (tanti) personaggi italiani. Cerchiamo di scoprirne insieme le ragioni.
Il senso degli americani per la dolce vita
Forse tutto il senso della seconda stagione di The White Lotus sta nella prima, iconica, interazione tra i personaggi interpretati da Jennifer Coolidge e Sabrina Impacciatore: la prima, ricca americana di mezza età in vacanza a Taormina, chiede alla conciérge dell’hotel di poterle fare una foto davanti e sopra la Vespa che il partner ha noleggiato per lei. Un desiderio, quello della Tanya interpretata dall’attrice americana, per poter vivere il sogno italiano alla sua massima potenza. Un rapimento semi-sensuale verso un’iconografia, quella nei confronti della cultura italiana, che affonda le sue radici storico-sociali in America prima con le ondate di immigrazione dal Bel Paese agli Usa a partire dai primi del Novecento, poi con la fascinazione verso la cultura nostrana che i soldati americani portavano a casa al termine del loro intervento europeo durante la Seconda Guerra Mondiale.
Un bagaglio di suggestioni e di volti che si è fatto strada nell’american gaze sempre di più attraverso il mezzo cinematografico prima, e televisivo poi. Inutile quindi aggiungere che la Vespa cavalcata dai personaggi interpretati da Jennifer Coolidge e Jon Gries sembra rimandare alle trasognanti passeggiate a due ruote di Audrey Hepburn e Gregory Peck nel Vacanze Romane di William Wyler del 1953; un lungometraggio, quest’ultimo, che ha fortemente influenzato la visione dell’Italia del Dopoguerra agli occhi dell’America nel pieno del suo boom economico post-conflitto. Proprio quando il fenomeno del turismo internazionale iniziava a prendere piede grazie alla rapida e ritrovata stabilità finanziaria, a beneficiarne sono state le infinite bellezze del Bel Paese, immortalato dalla cinepresa in pellicole che hanno contribuito a plasmare una cartolina atemporale ed indelebile dell’Italia oltreoceano.
Pizza, pasta e mandolino
Se dunque lo Stivale diventa cartolina turistica da ammirare con soggezione ed un pizzico di sana invidia, l’industria dello show business americano fa sì che immagini indimenticabili come quelle del buon cibo, delle donne, della musica e delle nostre bellezze artistico-paesaggistiche si cristallizzino una volta per tutte, dando vita a figure stereotipate vive e vegete ancora oggi nella produzione cine-televisiva americana. Tutto questo Mike White lo sa bene, tanto che costruisce con sagacia e grande senso dell’ironia una serie tv antologica dal sapore corale che adotta il punto di vista frivolo e contraddittorio della rich white people dell’America contemporanea; un ensemble eterogeneo che sbarca nel lussuoso Hotel White Lotus di Taormina chi per un motivo chi per un altro, tra segreti di famiglia e tresche che nulla hanno da invidiare ai dipinti libertini e spesso lussuriosi che l’industria Usa ha pennellato sulle caratteristiche dello stereotipo dell’italiano.
Insomma, per White non è tanto questione di affrescare gli abitanti del Sud del nostro Paese come vorrebbe il dettame socio-culturale americano con tutti i pro ed i contro del caso, ma di “fare di tutta l’erba un fascio”; perché in The White Lotus: Sicilia i protagonisti non italofoni (inter)agiscono spesso e volentieri in contesti e situazioni narrative che li posizionano sullo stesso identico piano di quelli nostrani, come a voler dire che certi vizi ed inclinazioni non hanno confine, lingua o passaporto, e che il concetto di stereotipo alla fine della giostra sussiste soltanto nell’occhio di chi guarda. Per mettere in scena un livello tale di stratificazione concettuale e narrativa, lo showrunner e regista americano gioca per l’appunto con l’iconografia italiota con divertimento consapevolissimo, cosciente di rischiare di inimicarsi una buona fetta di pubblico, soprattutto europeo. Ed invece, il successo della seconda stagione antologica è stato ancor più travolgente della precedente ambientata alle isole Hawaii.
Uno stereotipo a fin di bene
Eppure, nonostante le buone intenzioni dello show HBO creato da Mike White, il problema sussiste alle sue fondamenta; ancora una volta, ha successo commerciale un prodotto audiovisivo in cui l’Italia (e i suoi abitanti) di oggi vengono immortalati come cartolina fuori dal tempo, intrinsecamente legata con uno strettissimo nodo ad un’immaginario che pellicole come Vacanze Romane, la Dolce Vita di Federico Fellini o il lirismo romanzesco de Il Padrino di Coppola hanno contribuito a concretizzare oltreoceano. Riuscirà mai l’industria dell’intrattenimento americano a liberarsi dalla morsa di questo laccio e dipingerci come entità bidimensionali e non fotografiche?
La lezione dello strepitoso successo di The White Lotus ci suggerisce che siamo molto probabilmente lungi dall’essere vicini ad una rinnovata consapevolezza del being italian qui ed ora, eppure per una volta non ci appare così difficile fare la parte degli stereotipi a fin di bene di Mike White se alla fine della corsa lo showrunner mette su uno spettacolo televisivo che azzera le visioni classiste e non assolve alcuno dei suoi personaggi fittizi. Ma che sia l’ultima.
Monica Vitti o Peppa Pig?
“Mi guardi, chi le sembro?”
“Peppa Pig!”
E si torna, ancora una volta, al surreale dialogo tra la Tanya interpretata da Jennifer Coolidge e la Valentina di Sabrina Impacciatore. La prima, con uno sgargiante abito rosa e sigaretta tra le dita, si avvicina alla concièrge dell’albergo siciliano chiedendole a chi assomigliasse tutta agghindata in quel modo; Valentina, che dal canto suo sa perfettamente che la donna americana voleva maldestramente emulare l’iconica Monica Vitti de L’avventura, risponde con grande senso dell’ironia con Peppa Pig, noto personaggio rosa della tv dell’infanzia. Un affronto per la querula Tanya, che viene ulteriormente acuito da un impotente delusione quando la responsabile dell’hotel le precisa che Monica Vitti è morta.
Ed è quindi qui che con straordinario senso dell’ironia e con gli strumenti della scrittura brillante, Mike White confeziona in conclusione un prodotto solo apparentemente indifferente alla stereotipizzazione degli italiani negli show Usa: in fondo, con la morte della Vitti finisce anche il sogno della “dolce vita” fantasticheggiato dalle sciocche persone ricche che popolano la serie tv HBO, forse veramente le uniche a guardare le bellezze del nostro Paese ancora con gli occhiali della falsificazione iconografica, lungi da qualsiasi contatto con la realtà delle cose, nel bene o nel male. E se questo deve essere il compromesso da sopportare per vestire per l’ennesima volta i panni di stereotipi ambulanti, stavolta lo facciamo quantomeno con un sorriso stampato sul volto.