A volte lo ammettiamo, altre no, ma in questa vita non possiamo fare a meno di bramare lo sguardo dell’altro desiderando altrettanto ardentemente di perderci e ritrovarci in qualcuno che non siamo noi. Lo facciamo perché abbiamo bisogno di capire chi siamo, perché siamo sempre alla ricerca di un po’ di approvazione e perché, proprio per questo, non possiamo prescindere dall’amore – in qualunque forma lo si voglia intendere.
E se, come si dice alla fine di Supersex, è vero che ogni bambino ha il potere di diventare un uomo – o una donna, è altrettanto vero che questa capacità sta tutta negli occhi di chi ti guarda. Quello che possiamo imparare a fare dirigere il nostro sguardo verso qualcosa o qualcuno che vale la pena di essere osservato e non fugacemente visto; e ci vuole coraggio per farlo. Tutto il resto è porno.
Formazione sentimentale
Nel mettere liberamente in scena la vita di Rocco Siffredi, Supersex ragiona sulla ricerca di un’identità che possa tenere insieme pezzi che, solo apparentemente, sembrano appartenere a puzzle diversi; su quanto pulsioni e repulsioni possano coesistere, ma soprattutto su quanto quello sguardo ci possa salvare da noi stessi. Supersex è una storia d’amore e sull’amore che inizia nell’Abruzzo degli anni Settanta in cui un bambino si innamora del suo supereroe preferito, iniziando a coltivare – come spesso succede, il sogno di voler diventare come lui; la sua volontà di scappare da quel contesto di indigenza è forte e altrettanto lo è il suo bisogno di essere guardato davvero da qualcuno, invece che passare inosservato.
Il supereroe si chiama Supersex e gli occhi di Rocco che si soffermano su quei corpi di carta, forse già riconoscendo in essi qualcosa di proprio, daranno il via a un gioco di sguardi che caratterizzerà tutta la sua vita. Rocco Tano vuole essere guardato e per questo diventa Rocco Siffredi – prendendo il nome del personaggio di Alain Delon in Borsalino, mostrando al mondo una parte di sé ma non potendo fare a meno di reprimere del tutto quel desiderio di essere guardato non tanto nella sua fisicità, talvolta dirompente e brutale, ma nella sua interiorità.
Corpi come barriere
Infatti il sesso e la comunione dei corpi che garantiscono fama e successo vanno di pari passo con un isolamento emotivo e con un senso di solitudine con cui il protagonista non solo non riesce a fare i conti ma che prova a colmare, ancora una volta, imponendosi con il proprio il corpo e mettendosi di fronte all’altro con una fisicità che non avvicina, bensì alimenta un senso di incomunicabilità ancor più profondo. In questo senso è interessante che nella serie il sesso e, di conseguenza, gli stessi corpi diventino spesso sinonimo di barriera; qualcosa che va ad amplificare quella necessità non di vedere ed essere visti, ma di guardare ed essere guardati, che però non sempre avviene.
Sotto questo aspetto per Rocco è sì determinante l’incontro con colei che diventerà sua moglie, ma soprattutto aver compreso le implicazioni e le dissonanze del suo io fuori dagli schemi e bisognoso della sua libertà. L’accettazione di sé stesso diventa perciò l’approdo finale di un viaggio iniziato proprio dallo sguardo acerbo di un bambino per riuscire finalmente a guardare l’altro negli occhi e a lasciarsi guardare nei propri. Uno sguardo che riesce ad arrivare fin dove risiedono le ombre più buie ed finalmente possibile superare quel senso di inquietudine e solitudine che ci parla nello specifico di Rocco Siffredi ma anche di noi spettatori. Infatti come abbiamo detto in apertura per guardare in fondo a qualcuno ci vuole coraggio e ce ne vuole ancora di più per far sì che l’altro riesca a guardare in noi; e se tutto questo si chiama amore perché non può coesistere insieme al porno?
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