Nel pomeriggio di venerdì 17 giugno, un avvenimento più unico che raro è salito alla ribalta fra i media britannici: al primo posto della classifica settimanale dei singoli di maggior successo nel Regno Unito è arrivata una canzone pubblicata ben trentasette anni prima, nell’agosto 1985. Il brano in questione è Running Up That Hill (A Deal with God), composto, prodotto e interpretato da Kate Bush, che in prossimità dei sessantaquattro anni (li compirà il 30 luglio) ha stabilito un record fra le artiste femminili salite in cima alla hit-parade nazionale, surclassando il primato stabilito nel 1998 dall’allora cinquantaduenne Cher. Chiunque sia abbonato a Netflix, abbia aperto i social media nelle ultime tre settimane e non viva rinchiuso in un eremo, probabilmente già conosce la ragione dell’improvvisa fortuna di Running Up That Hill: il suo utilizzo all’interno della quarta stagione di Stranger Things, che al momento è forse la serie più vista e più amata dai giovanissimi, nonché dai nostalgici degli Eighties.
Running Up That Hill: correndo in cima alla classifica
Ma la pur immensa popolarità di Stranger Things (quasi trecento milioni di ore di visione il 30 maggio scorso, giorno del rilascio dei primi sette episodi della nuova stagione) basta di per sé a spiegare il fenomeno virale che, nel mese di giugno, ha trasformato Running Up That Hill nella canzone più ascoltata in tutto il mondo? Giusto per provare a quantificare le proporzioni del suddetto fenomeno: nel Regno Unito Running Up That Hill è da quasi tre settimane il brano più ascoltato su Spotify, e prima di conquistare il numero 1 si era fermata al secondo posto della hit-parade solo a causa di una regola che dimezza il ‘punteggio’ delle canzoni meno recenti; negli Stati Uniti è stata per due settimane il brano più ascoltato su Spotify ed è arrivata al quarto posto della prestigiosa classifica Billboard; nel frattempo, oltre alla Gran Bretagna, Kate Bush è balzata in cima alle hit-parade in altri sette paesi, fra cui Australia, Belgio e Svezia, al secondo posto in Canada, al terzo in Francia e al quarto in Germania.
Si potrebbe dibattere all’infinito sull’impatto che il cinema e la TV esercitano da sempre nel valorizzare i brani delle proprie colonne sonore, ma accade molto più raramente che film e serie riescano a (ri)lanciare in classifica canzoni del passato, specie se già note, almeno in parte, al grande pubblico. Due casi emblematici risalgono (non a caso?) all’inizio degli anni Novanta, nel pieno dell’età dell’oro dell’industria discografica: nel 1990 il campione d’incassi Ghost fa schizzare al primo posto in Gran Bretagna e in diversi altri paesi la romanticissima Unchained Melody, canzone datata 1955 e registrata dai Righteous Brothers dieci anni più tardi; nel 1992 è invece il cavallo di battaglia dei Queen, la celeberrima Bohemian Rhapsody, a guadagnarsi un inedito secondo posto negli Stati Uniti dopo essere stata inclusa nella commedia Fusi di testa (mentre in Europa il brano era già una delle massime hit di sempre).
Quando la musica diventa virale: schermo, dischi e streaming
Gli esempi citati risalgono però al periodo in cui il mercato e le classifiche erano contraddistinti dall’acquisto di copie fisiche; pertanto, spettava alle case discografiche intuire la portata del potenziale “ritorno di fiamma” per una determinata canzone e fare in modo di ristampare il disco in tempi utili a intercettare l’interesse collettivo. A quasi tre decenni di distanza, con lo streaming come canale primario del ‘consumo’ di musica, il ruolo di una casa discografica è molto più ridotto: chi viene colpito da una melodia durante un film o una serie TV può identificarla in pochi secondi attraverso Shazam, scaricarla sui propri dispositivi tramite iTunes oppure ascoltarla più o meno gratuitamente su Spotify o YouTube. In sostanza, l’accesso diretto a un archivio musicale sterminato ha reso molto più rapida – e pressoché priva di intermediari – la riscoperta di canzoni beneficiate dall’essere state scelte per una colonna sonora.
Eppure, entrare a far parte di una soundtrack non equivale automaticamente a un reingresso in classifica: senz’altro può far lievitare gli ascolti su Spotify, perlomeno per qualche giorno, e talvolta può regalare a determinate canzoni un posto di rilievo nell’immaginario collettivo (basti pensare all’inserto di hit d’epoca nel cinema di Quentin Tarantino), ma l’effetto-Kate Bush è davvero più unico che raro. Soprattutto, è imprevedibile: del resto, chi avrebbe potuto immaginare che nel 2020 non un film, né una serie TV, ma un semplice video di TikTok avrebbe fatto innamorare legioni di adolescenti di Dreams dei Fleetwood Mac, rilanciando la malinconica ballad di Stevie Nicks alla dodicesima posizione nella classifica americana (dopo il primato raggiunto in origine nel lontano 1977)? Ancor più schizofrenico il caso di Should I Stay or Should I Go, pubblicata dai Clash nel 1982 ma arrivata al primo posto in Gran Bretagna solo nel 1991, quando il pubblico la ascoltava a rotazione in uno spot televisivo dei jeans della Levi’s.
Stranger Things, Kate Bush e il “patto con Dio”
Il riferimento a Should I Stay or Should I Go ci riporta dritti a Stranger Things, e per la precisione all’esordio della serie firmata dai Duffer Brothers nell’estate del 2016: il pezzo dei Clash svolgeva un ruolo importantissimo nella storia del piccolo Will Byers, scomparso misteriosamente nell’episodio pilota, eppure ciò non era bastato a riportarlo in hit-parade. Due anni fa, nella terza stagione di Stranger Things, a spiccare nel ventaglio di classici degli anni Ottanta che corredano la colonna sonora è stata The NeverEnding Story, ballata synth-pop scritta nel 1984 da Giorgio Moroder per il film La storia infinita e interpretata da Limahl; cantata nella serie Netflix da Dustin Henderson e dalla sua fidanzata Suzie, nell’estate 2019 The NeverEnding Story ha goduto di un notevole incremento su Spotify, ma nulla di paragonabile ai quasi centocinquanta milioni di ascolti registrati sulla stessa piattaforma da Running Up That Hill nell’arco delle ultime tre settimane.
Insomma, eccoci tornati al quesito di partenza: dato per assodato che le dinamiche delle classifiche, oggi, sono molto differenti – e sensibilmente più rapide – rispetto all’età in cui milioni di vinili, musicassette e CD venivano venduti ogni settimana, quale “patto con Dio” ha permesso a Running Up That Hill, anziché a dozzine di altre canzoni (fra cui il resto della soundtrack di Stranger Things 4), di scalzare Harry Styles e soci dalla vetta delle hit-parade di mezzo mondo? Un primo motivo può essere rintracciato nel modo in cui i Duffer Brothers hanno adoperato il brano di Kate Bush nella serie: non uno dei tanti classici del pop impiegati per rievocare il 1985, anno di ambientazione della stagione, e per far leva sul senso di nostalgia, ma un elemento narrativo diegetico che risulta fondamentale nella vicenda del personaggio di Max Mayfield, fino alla travolgente scena clou dell’episodio Caro Billy, in cui la voce di Kate Bush si rivela lo strumento in grado di liberare Max dalla presa del mostruoso Vecna.
If I only could: un fenomeno irripetibile?
Ma ricondurre il clamoroso successo di Running Up That Hill solo alla climax dello scontro fra Max e Vecna sarebbe riduttivo nei confronti di una canzone che è riuscita a toccare delle corde particolari in milioni di spettatori, molti dei quali, per ovvie ragioni anagrafiche, prima del 30 maggio 2022 non avevano mai avuto occasione di ascoltare un brano di Kate Bush. E il punto, forse, è proprio questo: il senso della scoperta e l’entusiasmo nell’incontrare qualcosa di nuovo che, tuttavia, ci appare anche intimamente familiare. Ça va sans dire che chi era già grandicello nel 1985 e/o si intende un minimo di art-rock, synth-pop e dintorni non poteva non conoscere preventivamente Running Up That Hill, che nel 1985 aveva comunque occupato posizioni elevate nelle classifiche (fra cui un terzo posto nel Regno Unito e in Germania) e aveva fatto da traino all’album più venduto nella carriera della Bush, il magnifico Hounds of Love.
In poche parole: Running Up That Hill era già un brano molto popolare, ma tutt’altro che inflazionato, specie se consideriamo lo statuto di ‘tormentoni’ di innumerevoli hit di quel decennio. Inoltre, pur tenendo conto di certe sonorità synth, si tratta di una canzone che non è mai stata cristallizzata in un filone o in uno stile ben precisi: è probabile che nel 1985 suonasse come un pezzo per certi versi atipico, proiettato verso il futuro, ed è altrettanto probabile che alle orecchie dei teenager del 2022 suoni più o meno allo stesso modo. Una canzone tanto anomala quanto affascinante per quel suo potere evocativo che, a quanto pare, ha superato le barriere del tempo, oltre ad aver salvato la vita a Max. Difficile capire se – o piuttosto quando – si ripeterà un fenomeno del genere, e a quali condizioni; per adesso possiamo accontentarci di premere play e pensare che stavolta, a farsi trasportare insieme a noi in quella corsa in cima alla collina, ci sono milioni di ascoltatori di ogni età. In fondo, il bello della TV può essere anche questo…
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