Le campane suonano. Quattro rintocchi.
È l’Apocalisse, la fine di tutto. Il mondo è pronto a rovesciarsi sottosopra.
Doveva essere la stagione del cambiamento, e così è stata. Stranger Things 4 con un gargantuesco ed emozionante finale, come abbiamo descritto con entusiasmo nella recensione del volume 2, ha cambiato le regole del gioco, sia in campo seriale (con episodi mai sotto i 70 minuti, sino ad arrivare all’episodio conclusivo di quasi due ore e mezza), che all’interno della propria narrazione.
La quarta stagione della serie di punta targata Netflix (e non potremmo davvero chiamarla in altro modo dopo quanto visto) ha compiuto un vero e proprio miracolo. È riuscita a espandere il proprio universo narrativo, senza dimenticare il proprio passato, ma anzi facendo acquisire a vecchie sequenze delle stagioni passate un nuovo e rinnovato significato. Soprattutto, questa quarta stagione, incentrata sulla crescita e sulla fine dell’infanzia, ha portato con sé una morale importante, tanto che non ci sorprende pensare a milioni di spettatori esaltati e commossi da questi ultimi due episodi. Insomma, cerchiamo di mettere ordine in queste ultime quattro ore, spogliare il racconto di tutta l’epicità e gli spettacolari effetti visivi, e affrontare di petto il significato del finale di Stranger Things 4, in base ad alcune scelte narrative dei fratelli Duffer.
Crescere è una lotta
Mandiamo indietro le lancette degli orologi di Vecna e torniamo all’inizio della battaglia che vede coinvolti tutti i protagonisti della storia, sebbene in diverse parti del mondo. Sin dal volume 1, Stranger Things 4 si è messa in mostra come la stagione finalmente più adulta e matura della serie Netflix. Più orrorifica, anche, che vedeva come villain principale non un mostro di fantasia, proveniente dal Sottosopra, ma un adulto tra i venti e trent’anni “creato” da Undici stessa. Il conflitto tra la protagonista principale e l’antagonista (capace anche di riscrivere e donare una nuova luce a ciò che conoscevamo sin dalla prima stagione) è la base su cui si poggia il tema principale della stagione: la fine dell’infanzia e il doloroso passaggio all’adolescenza e l’età adulta.
Forse proprio perché si tratta della perdita dell’innocenza, un punto di non ritorno per la vita dei protagonisti (così come per tutti, soprattutto per il target di spettatori che la serie predilige), il tutto viene rappresentato come l’inizio di un’epica battaglia dai toni apocalittici. Crescere è una lotta, e significa venire a patti con il proprio passato, con i propri sensi di colpa, affrontare le proprie responsabilità, le proprie paure e desideri reconditi. I protagonisti diventano davvero adulti, tagliando il cordone ombelicale nei confronti dei propri genitori.
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Adulti e ragazzi. Figure che a volte si confondono in base al loro comportamento. Il gruppo di ragazzi capitanato da Jason Carver, lo studente modello, appartiene a una dimensione già adulta e intrisa di tutti i loro difetti: vendicativi, violenti, legati all’apparenza fisica, pronti ad aizzare i cittadini di Hawkins alla ricerca di un ragazzo metallaro, giudicato pericoloso solo per “essere strano”. I genitori dei protagonisti, invece, incapaci di riconoscere il passare del tempo, desiderosi di rimanere attaccati ai propri figli e a considerarli ancora bambini. Un esempio è proprio nel finale, nei confronti di Mike. La madre, chiusa nella propria comunità cittadina, con tono imperativo e spaventato vuole che lui rimanga lì. Hopper, invece, appartenente a quel gruppo di adulti “poco adulti” ed eterni adolescenti, che combattono a loro volta e credono agli eventi soprannaturali che li circondano, lo accoglie dicendogli che “è cresciuto”.
Si tratta di un premio di riconoscimento che conferma il percorso dei protagonisti, all’inizio di stagione ognuno con una propria identità a tratti confusa e persi in un limbo (Mike non riesce a esprimere i propri sentimenti a Undici; Lucas sembra aver dimenticato i suoi amici e le sue passioni, nonché il rapporto con Max; Undici non riesce a inserirsi nella nuova scuola ed è emarginata; Will è troppo introverso; Eddie è un metallaro che si dimostra duro, ma è un fifone; Nancy, Steve, Robin e Jonathan sono in un limbo esistenziale o sentimentale, con le due cose che si contaminano a vicenda). La battaglia con Vecna, intrisa di una dimensione tragica ed epica che può cambiare il destino del mondo, simboleggia la fine di un mondo, quello dell’infanzia e che in qualche modo appartiene alla società dei genitori e ai valori impartiti dalla tradizione, e l’inizio di un altro, quello della loro adolescenza, con valori rinnovati, in cui quella che viene considerata diversità è in realtà la nuova normalità.
Non ci sorprende che Stranger Things sia la serie di punta del catalogo Netflix, capace di catalizzare l’attenzione del mondo intero, tanto da riuscire a mandare in crash i server della piattaforma al rilascio dei nuovi episodi. Attraverso una storia fantastica, l’immaginario degli anni Ottanta, azzeccando i momenti giusti facendoli diventare subito iconici (chi mai poteva immaginare che Kate Bush e Metallica avrebbero avuto insieme il loro momento di gloria nel 2022?), Stranger Things racconta la contemporaneità, in questa quarta stagione più che mai. Come a dire che sì, gli anni Ottanta sono la base di partenza, ma il racconto si rivolge a un pubblico attuale. E chissà che questa lunga battaglia con Vecna, che più che essere un nemico intento a fare del puro e semplice male è la versione estrema dei protagonisti, non possa rappresentare metaforicamente una battaglia che molti giovani sentono personale.
L’unione fa la forza
Una delle critiche più vivaci legate al volume 1 della stagione era proprio quello di un’eccessiva divisione tra i protagonisti, con storyline frammentate ma a cui la durata degli episodi tentava di dare lo stesso peso. Arrivati al finale di stagione possiamo tirare un sospiro di sollievo: questa divisione era tematicamente importante e trova la sua giusta risoluzione nell’ultimo lunghissimo finale. I tre gruppi di protagonisti, poi a loro volta divisi in coppia o trio, in diverse parti del mondo, ognuno col proprio obiettivo contribuiscono alla sconfitta di Vecna.
Siamo tutti uniti e connessi. È un messaggio che mai come in questi anni sembra degno di essere ripetuto. Anche se apparentemente separati, ognuno di noi è attore di una stessa storia e le azioni di uno influenzano quelle dell’altro. Quest’unione è sintomatica della consapevolezza delle nuove generazioni, che hanno una maggiore sensibilità legata alla “fine del mondo” (cambiamenti climatici in primis, ben rappresentati dall’immagine finale), ma anche a una voglia di ricucire gli strappi tra mondi diversi, tra il loro e quello che gli adulti, poco in linea con il loro punto di vista sulla realtà, hanno creato (metafora rappresentata dalle porte da chiudere che collega la realtà al Sottosopra).
Fiducia nei miracoli
Forse il maggior significato del finale di Stranger Things 4 sta in una ritrovata fiducia nei miracoli. Lungo il corso dei due episodi del volume 2, in molte occasioni i protagonisti vengono salvati all’ultimo momento, da una fortuita coincidenza, spesso dovuta proprio alla conseguenze delle azioni e del sacrificio di uno dei protagonisti. Un esempio su tutti: Steve, Nancy e Robin rischiano la vita venendo soffocati dai tentacoli di Vecna. Altrove, Undici riesce a sconfiggere Vecna, indebolendolo. I tentacoli che mettevano in pericolo la vita dei tre adolescenti mollano la presa e Robin commenta l’accaduto descrivendolo come un miracolo (non sarà né la prima né l’ultima volta che si sentirà pronunciare questa parola da parte dei protagonisti). Quello che sembra tale, in realtà, è solo conseguenza di quell’unione di cui si parlava prima.
Nella sua stagione più oscura, Stranger Things 4 non smette di invogliare alla fiducia e alla luce, tanto da non avere il coraggio di far uscire di scena definitivamente uno dei personaggi più amati del cast. Proprio questa morte mancata descrive perfettamente il senso di positività che la serie vuole trasmettere, forse per posticipare il tutto per la quinta e ultima stagione, o forse per non rendere ancora più cupo un racconto che al momento si vuole concentrare su altri temi. Sarà l’ultima tornata di episodi, forse, a gettare qualche tragico evento in più. Per ora ci accontentiamo di una stagione che ha deciso di raccontare la paura dell’ignoto dovuto alla crescita, al peso delle lancette dell’orologio che proseguono instancabili nella loro corsa. Portando nuove consapevolezze, identità rinnovate e la sensazione che, per quanto non fisicamente, qualcosa sia morto, andando perduto per sempre. Eppure è proprio nel consiglio di Eddie a Dustin, che è il personaggio simbolo di Stranger Things, di non cambiare mai, che si svela il messaggio della serie. Cos’è, quindi, la fine del mondo? Forse è proprio non riuscire a credere nel miracolo di rimanere quello che si è, nonostante tutto. Nemmeno di fronte all’apocalisse.