Nelle ultime settimane stiamo assistendo allo scontro del secolo. Una lotta silenziosa, ma violenta, che prende lo schermo cinematografico e lo ruota, trasformandolo in un ring di boxe. L’entusiasmo è alle stelle, i social non parlano d’altro, e non potrebbe essere altrimenti visti i due rivali pronti a sfidarsi.
All’angolo rosso, il nuovo che avanza. È il grande fenomeno seriale degli ultimi anni, uno dei titoli che non solo fa parte, ma è simbolo della piattaforma streaming a cui appartiene. Una grande epopea contemporanea, nonostante sia ambientato negli anni Ottanta. Il pubblico è letteralmente in delirio per Stranger Things 4, e come potremmo dargli torto?
All’angolo blu, invece, il ritorno di un’icona che di quegli anni Ottanta si è fatta portavoce e ora è tornata a far sentire la propria voce. Si è presentata quasi cavalcando una modaiola onda nostalgica e ha dimostrato di essere più che meritevole del grande schermo. Uno straordinario passaparola e un clamoroso successo al botteghino per l’unico e inimitabile pilota capace di toglierci il fiato di dosso. Stiamo parlando di Top Gun: Maverick.
Due opere che hanno più di qualche punto in comune, che rappresentano due modi diversi di intendere la nostalgia e la visione del mondo e che nascondono uno scontro generazionale tra genitori e figli, tra vecchio e nuovo. Chi sarà il vincitore?
Ottanta voglia di…
Negli ultimi anni, soprattutto a Hollywood, si è riscoperto un sentimento nostalgico legato agli anni Ottanta, una retromania che, benché ormai sembra aver raggiunto un punto di saturazione non indifferente, ricopre di nostalgia “per i bei tempi andati” gran parte delle saghe cinematografiche e delle serie televisive destinate al grande pubblico. Da un lato il motivo è ben chiaro: l’industria, facendo leva su marchi già conosciuti – e quindi dall’incasso sicuro, almeno in linea teorica – cerca di stimolare l’interesse di un pubblico sempre più vasto, che possa raccogliere sia i cinquantenni che quel periodo l’hanno davvero vissuto, sia le nuove generazioni, invitate a (ri)scoprire le icone del mondo dell’intrattenimento.
Gli anni Ottanta sono, al momento, il decennio perfetto su cui far leva per raggiungere questo risultato e Stranger Things è stato, all’epoca della prima stagione, forse l’esempio meglio riuscito: otto episodi che replicavano, in maniera moderna, gli stilemi di quel cinema americano per ragazzi con cui ci si è scontrati almeno una volta nella vita. Le citazioni presenti al suo interno, gli omaggi a un certo tipo di immaginario narrativo, la musica, i vestiti, le acconciature: la serie Netflix aveva raggiunto il suo scopo, velando di nostalgia quel tempo in cui non solo tutto appariva più affascinante, ma era anche possibile dare vita a storie del genere. Semplici, immediate, efficaci, empatiche.
L’opera audiovisiva giusta al momento giusto cambia il pubblico. Lo forgia, lo stimola, sottolinea la propria eccezionalità inserendosi nella memoria e nel cuore per l’eternità, segna un punto di non ritorno nella memoria collettiva. Stranger Things nel 2016 ha fatto quello che, trent’anni prima, aveva compiuto Top Gun. Il film di Tony Scott che lanciò definitivamente la carriera di Tom Cruise è un cult perché riuscì a catalizzare l’attenzione degli spettatori mettendo in scena tutti gli elementi al posto giusto: l’estetica da videoclip, una storia semplice che arrivava a tutti, una colonna sonora indimenticabile (bastano le prime note per riconoscere Take My Breath Away) e quel senso di spettacolo genuino. Si potrebbe dire che gli anni Ottanta sono Top Gun, anche se – va detto – il film del 1986 non riesce a reggere, almeno in tutti i suoi aspetti, la prova del tempo.
Crescita e ribellione
Highway to the Danger Zone
Ride into the Danger Zone
Sembra che gli anni Ottanta abbiano una magia tutta loro, capace di ammaliare diverse generazioni allo stesso modo. Resta da capire dove s’inceppa l’incantesimo. L’idilliaco momento di unione in cui condividere una bella storia si è trasformato in un ring tra millennial e boomer. Il cinema e la televisione, che in qualche modo rappresentano sempre, anche inconsapevolmente, il momento storico a cui appartengono, sembrano mettere in scena questo conflitto generazionale sempre più profondo. Stranger Things e Top Gun: Maverick stanno avendo entrambi un successo clamoroso, eppure sono specchio di due visioni del mondo opposte, più che diversi approcci sulla nostalgia degli anni Ottanta sugli schermi. Che il tutto avvenga tra una serie streaming e un film in sala riapre anche una vecchia ferita nel conflitto, ormai stanco e quasi del tutto superato, tra cinema e televisione.
È qui che le cose si fanno interessanti. Arrivato alla sua quarta stagione Stranger Things ha dovuto rinnovarsi su più livelli. Non solo nella forma, aumentando esponenzialmente la durata degli episodi, dando vita a veri e propri lungometraggi ricchi di effetti digitali, ma anche nel contenuto, ampliando (e, se vogliamo essere un po’ cinici, retconnando) parte della trama per poter dare vita a nuovi sviluppi. Il risultato, al di là del metro di giudizio di ognuno di noi, è una serie che sta crescendo, al pari dei suoi protagonisti. La nostalgia è ancora presente, ma sempre più spogliata dell’omaggio ossequioso nei confronti dell’originale (basti pensare all’utilizzo di Kate Bush o a una corsa in bicicletta che, al contrario della prima stagione, viene spogliata di ogni epicità). Stranger Things mette in scena un coming of age legato all’identità – sia della serie stessa che dei suoi protagonisti – ed è questo che la rende una serie horror. Perché oggi non c’è nulla di più orrorifico di non avere una propria identità. E, allo stesso tempo, non c’è nulla di più contemporaneo e legato alla crisi identitaria dell’intera generazione Z.
Stranger Things ha studiato dai padri, ma ora sta tagliando il cordone ombelicale, ribellandosi all’etichetta.
Che è un po’ quello che nel 1986 caratterizzava Pete “Maverick” Mitchell, il tenente che non vedeva l’ora di fare di testa sua e andare contro alla rigide regole dell’esercito e dei suoi superiori. Trent’anni dopo, quando il personaggio di Tom Cruise è pronto a tornare in scena, scopriamo che non è cambiato per niente. Nessuna evoluzione, nessuna crescita, solo qualche ruga in più sul volto. Top Gun: Maverick (titolo che non lascia spazio all’immaginazione su chi possa essere l’unico vero Top Gun della storia) non ha intenzione di cedere il passo alle nuove generazioni. Fiero dei suoi stunt realmente compiuti, della sua durata canonica di poco più di due ore, della sua dimensione cinematografica e delle canzoni che l’hanno reso riconoscibile (anche qui, l’utilizzo di Danger Zone è indicativo), l’ottimo film di Joseph Kosinski è la rivincita dei padri che intendono conservare il loro immaginario, il loro essere migliori, la loro unicità.
Chi sarà il vincitore?
La fotografia che ne viene fuori si ripercuote anche sulla situazione generale dell’audiovisivo di quest’ultimo periodo che, con tutti gli effetti della pandemia, ha sparigliato le carte in tavola. Il cinema è destinato sempre più a pochi film-evento, quasi fosse il nonno a cui vogliamo bene e che spesso (ma non troppo) andiamo a trovare. Lo streaming è l’opposto: è la compagnia di amici con cui uscire ogni sera, talmente ricca di offerte da ubriacare. Ammettiamolo, sembra una lotta impari. Soprattutto se, a livello ideologico, i revival cinematografici sembrano non avere un occhio di riguardo per le nuove generazioni. O almeno, non sempre.
Perché mentre i Marvel Studios stanno guidando per mano gli spettatori, presentando a poco a poco nuovi supereroi, invitando il pubblico a un ricambio generazionale dopo più di un decennio di storie, la sensazione generale è una stanca riproposizione di dinamiche e storie già ascoltate sin troppe volte dove il nuovo viene messo a tacere dal vecchio. È il caso, per esempio, di Ghostbusters: Legacy, che dimentica i giovani protagonisti per erigere un monumento al vecchio trio di acchiappafantasmi pronti a risolvere la situazione; è il caso di Star Wars che non è riuscito del tutto a svincolarsi da un immaginario di quasi cinquant’anni fa; ancora, i supereroi di casa DC, costretti a richiamare un redivivo Michael Keaton nei panni di Batman e utilizzare, nella versione considerata ufficiale di Justice League, vecchi temi musicali al posto delle versioni nuove. Il caso più emblematico è stato quello del Wizarding World, incapace di creare una nuova saga senza puntare tutto sulle vecchie glorie dell’universo di Harry Potter.
Stranger Things e Top Gun: Maverick a livello tematico sono i due poli opposti dell’intrattenimento. La diversità, il rinnovamento e l’interesse per i giovani contro la tradizione e il conservatorismo dei vecchi sani valori. Diamo il colpo più forte: da un lato troviamo il rispetto e la normalità della transizione, dall’altro la fredda accettazione della staticità.
E se da una parte non possiamo che empatizzare per dei giovani che crescono e diventano adulti, dall’altra si fa fatica a non notare quanto sia incredibilmente commovente e nostalgico il desiderio di un adulto di tornare giovane. Che sia questa, tra le righe, la dimostrazione di una generazione sconfitta?
Forse è a questo punto che lo scontro ideologico deve lasciare spazio a quella condivisione che sembrava perduta e che appare necessaria, perché tra i protagonisti a cavallo tra l’età adulta e la giovinezza ci sono gli spettatori bambini, che non possono rimanere in silenzio.
Ecco la magia: un successo dovuto al passaparola (e quindi alla voce, al dialogo, alla comunicazione) che premia sia l’opera millennial che l’opera boomer. Dovrebbero esserci più spesso questi scontri, dove l’unico vincitore è il pubblico.
And if I only could
I’d make a deal with God
And I’d get him to swap our places
Be running up that road
Be running up that hill
Be running up that building
Say, if I only could, oh
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