Difficile parlare di Servant, la serie di Apple Tv+ nata sotto l’egida produttiva di M. Night Shyamalan (che ne ha anche diretto alcuni episodi), ideata da Tony Basgallop e arrivata alla terza stagione, appena conclusa. È complicato per varie ragioni: in primo luogo perché è necessario evitare di raccontare alcuni snodi importanti della trama che, come in ogni opera in cui c’è lo zampino del regista de Il sesto senso, si rivelano essere dei veri e propri twist narrativi che ribaltano la prospettiva su personaggi ed eventi, e Servant non è certamente da meno in questo. L’altra difficoltà consiste nel fatto che la serie è difficilmente incasellabile in un unico genere, e questo va tutto a suo merito, perché gli showrunner hanno saputo dosare perfettamente i toni del racconto, variando sapientemente tra l’horror psicologico, il thriller claustrofobico, la farsa grottesca, la feroce critica sociale, solo per dirne alcuni, con una densa stratificazione di sensi e temi davvero complessa da dipanare.
Di cosa parla
Sean (Toby Kebbel) e Dorothy Turner (Lauren Ambrose), agiata coppia della moderna Philadelphia, assumono una tata, Leanne (l’inquietante, seducente e al tempo stesso naif Nell Tiger Free), per il loro neonato. Non si tratta però di un bimbo vero bensì di un bambolotto reborn, ovvero uno di quei simulacri artificiali, inquietantemente simili a un bambino vero, che possono fornire l’illusione di accudire un bimbo vero. La coppia ha infatti perso il figlioletto in circostanze che verranno chiarite in seguito e, poiché Dorothy non si è più ripresa dal trauma, rimuovendolo totalmente, Sean, dietro suggerimento di un’amica counselor, le fornisce un feticcio che possa accompagnarla gradualmente verso l’accettazione della verità. Con l’arrivo di Leanne, membro di una setta religiosa cristiana, cominceranno però a verificarsi strani eventi e la vita della coppia, nonché del fratello di lei Julian (interpretato da un irresistibile Rupert Grint) verrà sconvolta definitivamente.
Il Weird
Se proprio vogliamo inserire Servant all’interno di un filone, il weird ci viene sicuramente in aiuto, essendo non proprio solamente un genere, ma una vera e propria modalità narrativa nella quale la nostra realtà, con i suoi assiomi, viene riconfigurata e rimodellata, da un elemento perturbante, facendoci letteralmente mancare la terra sotto i piedi. È proprio quella infatti la sensazione che in genere provoca un buon racconto weird, ovvero un misto di orrore e meraviglia per il modo in cui i paradigmi, filosofici, scientifici, religiosi, su cui si basa la nostra realtà vengono fatti saltare in maniera sottile ma costante e ineluttabile.
In questo caso l’elemento sopraggiunto a perturbare la casa, e la realtà, dei Turner è certamente Leanne. Col suo arrivo cominceranno ad accadere strani eventi nella casa, che diventerà specchio delle personalità sempre più disturbate che la abitano.
La casa come rifugio e prigione mentale
Sul rapporto tra l’interno, ovvero la lussuosa casa dei Tuner in cui si volge la maggior parte della serie, e l’esterno, che verrà esplorato maggiormente nella terza stagione, si basa Servant. La casa diventa rifugio e focolare domestico in cui rinchiudersi per impedire l’ingresso di elementi esterni, ma anche della verità. Tale rifugio diviene però una prigione in cui rinfocolare le proprie paranoie, nonché una metafora delle psicosi in cui sono calati i personaggi. Il progressivo marcire delle fondamenta è il simbolo di una vita costruita su menzogne, anzi sulla menzogna. I vermi, le termiti, le farfalle e gli altri insetti che man mano ne infestano le mura e le intercapedini, sono l’esteriorizzazione di rapporti umani sempre più labili e tossici.
Anche gli insistiti e disturbanti dettagli sulla preparazione degli elaborati piatti di Sean (che fa lo chef gourmet), soprattutto dissezioni e sventramenti di selvaggina, pesci e altri animali, amplificano la sensazione di un male incombente sull’abitazione e sui Turner.
Illusione e menzogna
Va detto che la situazione in cui sopraggiunge la nuova tata non è certamente normale: un bambolotto reborn da accudire come fosse un bambino costituisce già di per sé un compromesso con la realtà. Sean (il marito) e Julian (il fratello) costruiscono attorno a Dorothy un’illusione che verrà perpetrata in tutte le stagioni e che costituisce in effetti il geniale presupposto narrativo di tutta la serie. Arrivati alla terza stagione ci chiediamo infatti per quanto tempo ancora sarà possibile mantenere tale illusione attorno a Dorothy. L’abilità di Basgallop e Shyamalan consiste proprio nel saper tenere questo filo teso per tutto l’arco narrativo della serie, senza lasciare che diventi una debolezza di sceneggiatura ma anzi, tramutandolo nella sottile chiave di lettura di tutta lo show. L’occultamento della terribile verità sulla morte del piccolo Jericho agli occhi di Dorothy, non solo innesca una serie di eventi e conseguenze assolutamente incontrollabili, ma si fa metafora di un mondo, il nostro, che rimuove la morte e che comunque non fornisce mai strumenti adeguati per una sana elaborazione del lutto. La verità del decesso deve essere nascosta, soprattutto nell’ambito di una classe sociale, la upper class statunitense, in cui l’apparenza è tutto. Tutta la vita dei Turner e tutta la serie si basano dunque su tale occultamento.
L’inquietante Leanne sembra essere l’elemento detonatore che potrebbe far saltare tale castello di menzogne, o che comunque ne evidenzia le contraddizioni, con il suo sguardo puro, o semplicemente radicale, senza compromessi, sulle persone e sulle loro azioni. Non a caso sembra che sia proprio la sua presenza a provocare quei fenomeni che minano le basi materiali della casa dei Turner. Le peculiarità di Leanne sono anche alla base di molti momenti irresistibili in cui la sua presenza così dissonante minerà e sgretolerà la vita sociale dei Turner, scatenando conseguenze parossistiche e, a volte esilaranti, di cui l’arguto Julian non manca di essere il commento sarcastico.
Maternità
La maternità costituisce l’altro macro-tema su cui Servant gioca in modo decisamente disturbante. L’incasellamento della donna nel ruolo di madre e l’eventuale insofferenza nei confronti degli obblighi sociali e morali che tale ruolo comporta, sono elementi incandescenti destinati a esplodere nel corso della serie, anche se non diremo come. Il rovescio della medaglia di tutto questo, la compensazione psicologica di tali insofferenze inconfessabili, per una madre preda di sensi di colpa, è l’esibizione narcisistica della maternità. Dorothy non perde occasione, quando può, di esibire il proprio neonato come un trofeo, simbolo di uno status sociale raggiunto nonché di solidità familiare.
Polanski dietro l’angolo
Come nel capolavoro di Roman Polanski Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1968) anche qui c’è una setta, un bambino attorno al quale ruotano i destini di tutti, e soprattutto un clima di paranoia che, nella terza stagione, esplode a livelli lancinanti. Come Rosemary nel film di Polanski anche Dorothy si ritroverà a perdere la propria credibilità e a passare per psicotica. Eppure forse lei è l’unica a capire che c’è qualcosa che non va in Leanne, sebbene la sua visione materialistica del mondo la porti ad escludere ipotesi più inquietanti riguardo la natura nefasta della tata. Ciò che importa però è il clima di paranoia che si instaura attorno a lei, generando il cosiddetto fenomeno sociale del gaslighting, ovvero la coercizione e manipolazione psicologica di un soggetto fino a farlo dubitare delle sue percezioni e della sua memoria. In questo caso Dorothy non ha dubbi riguardo ciò che ha visto e in ciò che crede, ma gli eventi vengono manipolati attorno a lei in maniera tale da perdere totalmente di credibilità di fronte alle altre persone. Proprio come succedeva a Mia Farrow in Rosemary’s baby, nel quale si ritrovava poi in balia di una setta satanica che cercava la venuta dell’Anticristo.
L’abilità degli showrunner di Servant consiste però nel tenere sempre tesissimo quel sottile filo che separa la verosimiglianza dalla fantasia, lasciando ancora, con la fine della terza stagione, il dubbio nello spettatore se gli strani eventi a cui ha assistito siano frutto di eventuali poteri soprannaturali di Leanne, oppure possano ancora essere riconducibili ad una spiegazione razionale. Come nel capolavoro di Polanski in cui il regista polacco scioglieva solo alla fine il dubbio sulla setta satanica, cioè se fosse composta solo di ciarlatani, per quanto pericolosi, o se ci fosse davvero qualcosa di luciferino sotto, così in Servant tali dubbi verranno sciolti, evidentemente, solo con la quarta e ultima stagione. Del resto siamo anche sicuri che Shyamalan abbia in serbo, fin dalla ideazione, una conclusione sconvolgente, come è nelle sue corde.
Inquietudini attuali
Ciò che possiamo invece già affermare riguardo Servant è che, così come Rosemary’s Baby si fece megafono di inquietudini che serpeggiavano nell’inconscio collettivo della generazione della contestazione, anche la serie prodotta da Shyamalan riesce a diventare la cartina al tornasole di ansie a paure attuali: dal rinserrarsi nel proprio rifugio domestico, sindrome psicologica scoppiata con i vari lockdown pandemici, alla messa in crisi del ruolo sociale di madre, passando per la fragilità psicologica di cui spesso sette e gruppi pseudo-spiritualisti si approfittano, arrivando alla paranoia, tipicamente occidentale, nei confronti di un fantomatico nemico esterno sul quale proiettiamo tutte le nostre paure nonché quegli aspetti che non ci piacciono di noi. Leanne è l’efficace elemento catalizzatore di tutto questo, il personaggio su cui si proiettano le paure di Dorothy, ma dal quale Sean e Julian rimangono soggiogati, sfuggendo a facili incasellamenti e definizioni morali e divenendo una potenziale miccia per far saltare quel castello di menzogne su cui si basa la loro apparentemente placida vita borghese.