Quanta voglia di antiche radici nelle terre del fantasy. Durante questo 2022 ormai al tramonto il desiderio costante delle serie tv fantasy è stato sempre lo stesso: esplorare il passato. È successo con House of the Dragon, ambientato 200 anni prima di Game of Thrones. È accaduto con il controverso Gli Anelli del Potere, che ha gettato luca sulla Seconda Era, millenni prima delle gesta di Frodo e della Compagnia dell’Anello. Adesso tocca a Netflix con un prequel della sua fantasy di punta, quel The Witcher ormai diventato un brand declinabile in tanti modi sulla piattaforma. Dopo il lancio della serie madre ormai tre anni fa, lo strigo nato dalla penna di Andrzej Sapkowski (e consacrato dalla trilogia videoludica targata CD Project Red) ha ispirato anche un ottimo anime introduttivo (Nightmare of the Wolf) e ora una miniserie spin-off lunga solo quattro episodi. Nella nostra recensione di The Witcher: Blood Origin vi racconteremo come mai siamo rimasti parecchio delusi da uno show che ha un solo, grande merito: il tempismo. La sua uscita natalizia, infatti, è una mossa strategica perfetta per riaccendere il fuoco dell’hype in attesa della terza stagione di The Witcher, serie-madre che tornerà nell’estate del 2023. Uno show che, messo a confronto con Blood Origin, ne esce rinvigorito come uno strigo che ha appena ingurgitato un elisir.
Genere: Fantasy
Durata: 50 minuti ca./4 episodi
Uscita: 25 dicembre 2022 (Netflix)
Cast: Laurence O’Fuarain, Michelle Yeoh, Sophia Brown
La trama: tra ambizione e vendetta
Le avventure di Geralt di Rivia e Ciri sono lontane più di un millennio. Il Continente non è ancora quel crocevia di razze e immonde creature che abbiamo imparato a conoscere. No: il Continente è dominato dagli elfi, divisi in clan e controllato da un impero centrale senza scrupoli. Qui vivono un imperatrice e un mago dalle losche intenzioni accentratrici. Potere politico e potere magico in conflitto, ma con un potenziale distruttivo per le sorti di tanti clan elfici. Clan che non posso certo stare a guardare: nasce così una compagnia formata da singoli rappresentati costretti a convivere per un unico obiettivo: spodestare la tirannia imperiale che vige a palazzo. A guidare il manipolo di elfi ed elfe ci sono la guerriera Éile e Fjall, un ex guardia di quell’impero diventato ora acerrimo nemico. Per una volta, però, non è la trama principale a ingolosire il pubblico. Perché Blood Origin ha in serbo due grandi eventi fondamentali: la creazione del primo witcher e soprattutto la mitica Congiunzione delle Sfere, il cataclisma che di fatto ha portato altre razze (umani comprese) e creature nella pancia del Continente.
Una pozione frettolosa
Quante cose bollono nel calderone di Blood Origin. Tutte da cuocere e rimestare in soli quattro episodi. Il grande problema di questo spin-off è prima di tutto narrativo. Con l’attenzione del pubblico puntata sui due macro-eventi citati, è normale che le aspettative fossero puntate tutte lì. E vi deluderà sapere che la nascita dei witcher e la Congiunzione delle Sfere sono eventi marginali, collaterali, quasi due conseguenza della trama principale che, purtroppo, non ha appigli forti per emozionare e coinvolgere. Blood Origin si conferma la tipica serie “plot driven”, dominata dal bisogno di far andare avanti la storia come dentro una fredda cronaca storica degli eventi. Peccato che questo avvenga in modo frettoloso,con una scrittura superficiale e dei dialoghi accademici nella loro banalità. A pagarne le conseguenze sono, ovviamente, i protagonisti. Caratterizzati poco e male, vengono gettati nell’avventura senza farci percepire davvero le loro motivazioni, i loro bisogni e le loro vocazioni. Tutto avviene perché deve avvenire, perché la sceneggiatura ha deciso così, castrando sfumature e sentimenti. Ci si bacia senza sentire l’amore, si combatte senza avvertire l’odio, si duella a parole senza un minimo di tensione. E così Blood Origin procede pigra verso il racconto di una storia che vuoi soltanto capire come va a finire. Il dito è puntato solo verso la destinazione, perché del viaggio c’è davvero poco da salvare.
Dona un budget al tuo Witcher
La colpa, però, non è soltanto della componente narrativa. Purtroppo The Witcher: Blood Origin zoppica tanto anche nella messa in scena. C’è tanta azione lungo l’avventura, ma il montaggio confuso e la regia per niente ispirata rendono ogni scontro poco leggibile e raffazonato. Non c’è voglia di far respirare l’immaginario fantastico dando spazio al paesaggio e alle ambientazioni, trasformando lo show in una sequela di pigri primi piani e campi stretti che inibiscono ogni forma di epica. A peggiorare la situazione ci pensano anche gli effetti speciali e visivi, totalmente fuori tempo massimo, con involontari rievocazioni kitsch dei tempi di Hercules e Xena. Insomma, questo spin-off è davvero un figlio minore di un brand su cui Netflix punta tanto, ma che dovrebbe stropicciare meno. In attesa di tornare tra le braccia di Geralt, per l’ultima volta con il volto di Henry Cavill (che verrà sostituito da Liam Hemsworth dalla quarta stagione), vi consigliamo di riaccendere il fuoco dell’hype con The Witcher 3: Wild Hunt, tornato in grande spolvero con la sua Complete Edition su PC e sulle console di nuova generazione. Perché questo Blood Origin potrebbe soltanto gettare polvere sul vostro falò.
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La recensione in breve
Il regalo natalizio di Netflix ci riporta alle origini del Continente di The Witcher, ancor prima dell'arrivo degli strighi e di altre mostruose creature. Peccato che Blood Origin si riveli una miniserie-prequel davvero confusa nella messa in scena e frettolosa nella narrazione.
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Voto ScreenWorld