La candidatura ai Golden Globe e l’arrivo su Disney+ giunge quasi in contemporanea per The Patient. Pur non essendo rientrata nella categoria principale delle miglior miniserie drammatica, a venir elogiata è stata la performance del migliore attore non protagonista Domhnall Gleeson, che nel ruolo dell’assassino Sam Fortner ha convinto i membri Hollywood Foreign Press Association tanto da aggiudicarsi una nomination.
È comprensibile come questo attore, figlio del più corpulento Brendan Gleeson, anche lui candidato nello stesso anno sempre come migliore attore non protagonista, ma per il film Gli spiriti dell’isola, sia stato in grado di conquistare il gruppo di votanti. Emaciato, rinsecchito, dinoccolato, Domhnall Gleeson è un omicida che vuole smetterla di uccidere, ma non sa bene come fare. Cercherà di capirlo in un percorso di terapia lungo dieci puntate assieme al collega Steve Carell, che alla mente di quell’uomo disturbato si avvicinerà più di chiunque altro, come vedremo in questa recensione di The Patient.
The Patient
Genere: Thriller
Durata: 20 minuti a puntata
Uscita: 14 dicembre 2022 (Disney+)
Cast: Steve Carell, Domhnall Gleeson
La trama di The Patient
Rapito e fatto prigioniero, Alan (Steve Carell) è obbligato ad ascoltare i problemi del suo paziente Sam (Domhnall Gleeson) in un ambiente per nulla confortevole o sicuro. Lo psicologo è incatenato a un piede, non ha l’opportunità di liberarsi e dovrà tenere in quello scantinato ordinato e ben pulito le sue sedute di terapia con un assassino che ha bisogno di aiuto, ma non sa come trovarlo.
Sam vuole davvero guarire, sempre che questo risulti effettivamente possibile. Vuole mettere fine a quell’impulso che lo fa sentire diverso dagli altri e lo spinge a compiere atti disdicevoli, che lo tormentano, lo ossessionano, e che soltanto portando a compimento il delitto prefigurato riesce ad allontanare. Pensieri che si fermano un attimo, ma soltanto per ricominciare. Tanto da portarlo poi ad uccidere ancora una volta, cercando di fermare quel battere del martello sul chiodo fisso che ha nella sua testa.
Serialità e terapia
Solo due personaggi, un unico luogo in cui confrontarsi. Una situazione di dislivello tra chi comanda e chi subisce, dove colui che detiene le redini del comando è anche colui che ha bisogno di essere aiutato.
Se la serialità ci ha abituato al ribaltamento dei caratteri duri e intransigenti, che proprio agli inizi del Duemila ci hanno mostrato come anche un boss quale Tony Soprano aveva bisogno di confrontarsi con un terapeuta per mettere fine ai suoi scatti d’ansia, con The Patient gli ideatori Joel Fields e Joe Weisberg fanno un passo successivo e ci portano letteralmente nei ragionamenti di un assassino.
The Patient: nella mente dell’assassino
Non come aveva già fatto Mindhunter di David Fincher. Non quando ormai i delitti sono stati compiuti e si vuole studiare retroattivamente la personalità di un serial killer. Stavolta è il mostro a porsi in prima persona come, per l’appunto, paziente e accetta di buon grado di ricoprire quella posizione. Va addirittura ricercandola, dimostrando di volersi porre in ascolto dell’altro per trovare rimedio alla sua condizione.
Una sequela di rivelazioni sconvolgenti si susseguono durante gli episodi di The Patient, in cui le sedute entreranno sempre più nel torbido di azioni e gesta a cui Sam stesso vuole dire fine. Ma è la calma del suo interprete e della serie in sé a sconvolgere, ponendo in una dimensione di attenzione il pubblico, quella a cui dovrà prestarsi per forza anche il comprimario Alan.
Perché facciamo del male?
Non è solo ricerca di umanità, non è nemmeno mettere il personaggio di Domhnall Gleeson sul medesimo piano di qualsiasi altro individuo. È semplicemente l’impressione di trovarsi di fronte a una persona ferma e calcolatrice, che arriva a voler comprendere il male che lo smuove e la cui coscienza, forse, sta iniziando a ingranare.
È la resa fredda e analitica di un assassino che non vuole esserlo, ma sente di dovere. È una dualità che combatte all’interno del personaggio e che l’interprete restituisce mettendo a disagio lo spettatore, che ne è insieme incuriosito e spaventato. Il voler seguire le sedute di terapia di quel duo, ma essere anche all’esterno di quel circolo. Sbirciare attraverso la porta a vetri da cui Alan riesce a cogliere l’unico spauracchio di libertà che gli rimane, ma non azzardandosi mai a mettere un piede dentro quella casa.
Domhnall Gleeson e Steve Carell: gli ottimi interpreti di The Patient
Sorprendendo già per la scelta di Fields e Weisberg di creare una serie drammatica da soli venti minuti a episodio, procedimento oramai inusuale nel panorama contemporaneo, soprattutto per quei prodotti che vedono nella serietà un sinonimo di lunghezza degli episodi, The Patient è un lavoro circoscritto e compiuto che va dritto al proprio punto. Che cerca di rovesciare alcuni canoni nei personaggi e nella propria scrittura, sapendo perciò dimostrarsi qualcosa di inedito, ma in grado di essere fruibile.
Una miniserie tra il crime e l’introspettivo che non può che sostenersi grazie ai suoi interpreti, per l’ennesima prova drammatica di un Steve Carell che continua a dare esempio di saper muoversi ovunque, e un Domhnall Gleeson che meriterebbe una notorietà in più.
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La recensione in breve
Steve Carell e Domhnall Gleeson si confrontano in una miniserie a due soli personaggi e ambientata in un solo luogo, in cui un assassino cerca un aiuto in un terapeuta per smettere di uccidere. Un confronto diretto dall'atmosfera insieme calma eppure tesa, per una miniserie che non può che incuriosire lo spettatore.
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Voto Screenworld