La programmazione sulle piattaforme streaming in vista dell’arrivo di Halloween comincia a farsi sempre più intensa. Sono moltissimi i film e le serie TV che vedremo nelle prossime settimane. E apriamo la spooky season su Netflix lato serie TV con la recensione di The Midnight Club, l’ultima fatica dello sceneggiatore e regista Mike Flanagan che torna nuovamente sul colosso dello streaming con una nuova incredibile serie TV creepy. O quasi.
Prima di tutto va considerato un aspetto molto importante. Rispetto alle opere precedenti, principalmente tratte da romanzi più maturi, come l’incubo di Hill House di Shirley Jackson o Giro di vite di uno dei più grandi esponenti del romanzo gotico ottocentesco, Henry James, oppure generate dalla stessa mente di Flanagan e sempre con un appiglio più profondo e adulto, The Midnight Club è tratta dall’omonimo romanzo per ragazzi di Christopher Pike, uno dei più prolifici autori di narrativa horror, appunto, per ragazzi.
Per quanto poi tutti possano fruire tutto a patto che ciò che stiamo vedendo sia valido o, comunque, di nostro interesse, è ovvio che a livello di linguaggio e struttura, qualcosa dovrà pur cambiare se l’opera di riferimento è un romanzo per ragazzi. Sicuramente da Piccoli Brividi non ci si aspetta di vedere Non Aprite Quella Porta, per intenderci. Allo stesso modo, per The Midnight Club non bisogna aspettarsi una tipologia di racconto simile a quella di Hill House. Indubbiamente Flanagan, che ha co-sceneggiato tutti gli episodi e diretto i primi due, mantiene le atmosfere plumbee e inquietanti così come ci si aspetterebbe da una serie TV di questo tipo, con però una narrativa più leggera, con delle dinamiche che fanno molta più leva su alcune situazioni sentimentali, avventurose e curiose tipiche del mondo adolescenziale.
I suoi protagonisti sono giovanissimi ragazzi con un infame destino, quello di non vedere la propria vita sbocciare ma salutarla prima di subito. Eppure, nonostante la sentenza di morte, tutti sembrano essere così desiderosi di afferrare la vita, divorarla fino all’ultimo respiro, anche se a volte fa male. Coerenti con i loro personaggi, si comportano come dei poco più che adolescenti in bilico tra la vita e la morte, che cercando di esplorare il “mondo” come possono, cercano di innamorarsi, fare esperienze, sognare, immaginare e aggrapparsi a un miracolo o alle storie del terrore raccontate attorno al fuoco. A volte lo fanno con fare infantile, altre volte con una profondità che potrebbe spiazzare lo spettatore più cinico.
The Midnight Club è un racconto nel racconto che si sviluppa attorno a un finale già scritto per i protagonisti, ma che porta in scena le dinamiche tipiche di quell’età e anche qualche brivido, convincendo tanto nella messa in scena quanto nella recitazione; o almeno lo fa ad un passo dalla fine quando, purtroppo, qualcosa nel racconto smette di funzionare.
The Midnight Club
Genere: Horror
Durata: 10 episodi – 60 minuti
Uscita: 07 Ottobre 2022 – Netflix
Cast: Iman Benson, Adia, Igby Rigney, Ruth Codd, Aya Furukawa, Annarah Shephard, William Chris Sumpter, Sauriyan Sapkota, Heather Langenkamp,Zach Gilford, Matt Biedel e Samantha Sloyan.
La trama: storie da incubo della buona notte
Era una notte buia e tempestosa. Sì, effettivamente la trama di The Midnight Club potrebbe cominciare in questo modo, ma non va esattamente così. Di notti buie e tempestose ce ne saranno sicuramente, ma l’incipit non è decisamente questo. In realtà: era una notte di gioia e baldoria prima del diploma e la prospettiva di una nuova ed eccitante vita. Almeno, questo era quello che sperava per se stessa Ilonka (Iman Benson). Il destino, purtroppo, è crudele e beffardo. E alla 17enne viene, invece, diagnosticato un cancro alla tiroide che manda in frantumi tutti i suoi sogni.
Prima è la speranza a dominare, dopo un anno di cure senza risultati è lo scetticismo e, infine, la resa nei confronti di una condanna a morte il giorno del suo diciottesimo compleanno. Forse potrà vivere ancora un anno o addirittura due, ma non molto di più. Del resto siamo a inizio degli anni ’90 e molte cure di oggi erano ancora in fase di sperimentazione. Questo mette Ilonka sulla stessa via di un particolare hospice, Brightcliffe Hospice, che accoglie esclusivamente adolescenti terminali, proprio per riservargli un ambiente sicuro e protetto dove trascorrere gli ultimi mesi di vita. Facendo alcune ricerche sulla lunga storia del luogo che nei decenni è stato riconvertito in maniera diversa e fantasiosa, luogo divenuto per un breve periodo perfino il ritrovo di una strana setta, Ilonka scopre che qualche decennio prima una ragazza come lei con una diagnosi terminale è riuscita a uscire di lì con il tumore in regressione. Forse un caso, forse un miracolo, eppure questo a Ilonka basta come una speranza a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti.
Ad accoglierla al Brightcliffe c’è un colorito gruppo di ragazzi, ognuno con una manciata di mesi di vita davanti o poco più. Ognuno con una malattia differente: cancro alle ossa, linfoma uterino, leucemia, aids. Ognuno con la propria speranza. Eppure tutti uniti da un piccolo e intrigante segreto: un club di mezzanotte che si riunisce ogni notte, di nascosto da direttrice e infermieri, nel salone dell’hospice, accanto al fuoco, per potersi raccontare storie da brivido. Lo scopo delle storie non è solo quello di sfidare la fantasia, ma anche di elaborare il proprio lutto, il dolore e la disperazione, attraverso racconti creepy e inventati che, in fondo, parlano proprio degli stessi narratori della storia e dei presenti al tavolo. Ma c’è anche qualcosa di più esistenziale e profondo che lega i ragazzi del club, ovvero una promessa. Il primo di loro a morire ritornerà, squarciando il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, svelando uno dei misteri che più si attorcigliano attorno alla mente dell’uomo: cosa c’è dopo la morte?
Tra la vita e la morte: il gotico ponte di mondi
Se c’è un filo conduttore che possiamo trovare nelle opere seriali di Flanagan arrivate su Netflix è sicuramente l’uso del gotico come metafora tra la vita e la morte. Nelle trasposizioni e rappresentazioni di Flanagan, il velo è sempre sottilissimo tra il mondo dei vivi e quello di morti, come vediamo anche in questa recensione di The Midnight Club.
Sebbene attraverso le storie di qualcun’altro, Mike Flanagan trova sempre un modo per far riflettere su questi due concetti. Del resto, la paura della morte è un concetto universale. Un sentimento condiviso. Eppure, che senso ha temere a tal punto la morte da non riuscire a vivere l’esistenza? Un po’ se lo chiedono i nostri protagonisti lungo questo percorso durato per noi dieci episodi. Sicuramente un po’ troppi, considerando che la narrazione ha una notevole battuta d’arresto nel terzultimo episodio, l’ottavo. La storia si fa dilatata, gli stessi racconti dei ragazzi perdono di consistenza, la carne sul fuoco raddoppia, chiudendo il tutto con un finale annacquato che non possiamo neanche definire tale. Mike Flanagan si apre alla possibilità di una seconda stagione o vuole solo lasciaci arrovellare il cervello con una chiusura enigmatica?
Qualunque sia la risposta, è da considerarsi comunque uno sbaglio. Fino all’ottavo episodio (per certi versi compreso), The Midnight Club è una storia di resistenza, di dolore, di vita. È una storia di ingiustizia perché sì, tutti dobbiamo morire, ma quando si è destinati a morire così giovani, quando si ha ancora tutta la vita davanti, il tutto diventa più amaro, più feroce. E, come dicevamo all’inizio, ognuno di questi fiori recisi si aggrappa a una speranza, si aggrappa a quelle storie raccontate nel cuore della notte, regalando qualche brivido ma anche raccontando qualcosa in più di sé.
La difficoltà delle narrazioni corali è che si rischia di lasciare qualcuno indietro, qualche personaggio sullo sfondo. Per fortuna questo non accade in The Midnight Club. Per quanto il centro di tutto possa sembrare Ilonka, che sicuramente veste un ruolo centrale soprattutto per i misteri legati all’Hospice, va detto che ognuno dei presenti viene degnamente rappresentato. E perfino quelli che sembrano essere un enigma, hanno modo di farsi scoprire, raccontandosi attraverso le storie. Storie che raccontano di killer, streghe, fantasmi, vendetta, miracoli. Storie che vengono messe in scena con gli stessi volti dei partecipanti del midnight club, quello dei genitori conosciuti o sconosciuti, quelli del personale dell’hospice. Tutto assume una sua dimensione, portando avanti una narrazione che sa ramificarsi in più direzioni, esplorando l’interiorità di chi detiene il comando. Ma alla fine di tutto, ciò che davvero conta, è l’immensa empatia, sensibilità e rispetto che Flanagan mette ancora una volta nel raccontare un tema così complesso e oscuro come la morte.
Il Midnight Club
Sebbene affiancato da un cast di più veterani, alcuni dei quali già presenti nelle precedenti opere di Flanagan come Zach Gilford, Rahul Kohli, Samantha Sloyan (sempre inquietante), senza scordare Heather Langenkamp, iconica scream queen di Nightmare on Elm Street, a reggere tutto quanto è sicuramente il cast di giovanissimi attori.
Tutti estremamente preparati, in parte, ma soprattutto uniti. In una storia così corale dove la forza del gruppo diventa anche il combustibile del racconto, l’armonia è fondamentale e se quella viene mancare, tutto crolla come un castello di carte. Ma per fortuna qui non è così.
Per quanto ognuno abbia il suo spazio e venga messo alla prova in molteplici ruoli (vedrete) alcuni neanche troppo semplici, dove non mancherà l’uso di violenza, brutalità e terrore, a spiccare per doti interpretative sono in modo particolare Iman Benson la cui Ilonka testarda, sognatrice e coraggiosa è un po’ la traghettatrice del racconto e Ruth Codd con la sua Ania.
Ania è uno di quei classici personaggi che si amano e si odiano. Quei falsi cuori di pietra che nascondono molte più fragilità di quanto vogliano dare a vedere. Ania è uno di quei personaggi che mette di fronte ai propri limiti ma che al tempo stesso tira fuori il meglio da chi la circonda, anche se può non sembrare. Davvero meravigliosa, e Ruth Codd è capace di scendere nelle viscere di questo personaggio, mettendola a nudo in ogni sua sfumatura. Inoltre, va sottolineata anche la sensibilità nel rappresentare un personaggio disabile attraverso un’attrice disabile senza mai cadere nell’abilismo, moralismo, retorica o stereotipo.
In ogni personaggio c’è una grande cura legata a se stesso, al proprio orientamento, cultura e religione. C’è un lavoro di rappresentazione autentico ma che non passa per la classica check-list, ma che anzi usando proprio la cornice degli anni ’90 normalizza ogni sfumatura dell’essere umano, facendo di ogni differenza il punto di forza di ogni personaggio.
Troppe storie per “una” sola storia
The Midnight Club è, in fondo, un racconto complesso. Forse anche troppo. Una storia nelle storie che a loro volta raccontano altre storie ancora. Un gioco di parole un po’ articolato ma che racchiude bene il senso di questa serie TV interessante, emozionante, a tratti perfino spaventosa ma non totalmente riuscita.
Non ci azzardiamo in paragoni con il testo originale anche perché, nonostante la sua grande fama, Christopher Pike in Italia è distribuito malissimo. Non sappiamo se la scelta di complicare le cose sia davvero sua oppure no, fatto sta che la serie si muove su troppe linee, andandole a infittire di episodio in episodio.
Da una parte ci sono le storie raccontate dai ragazzi, gli immaginari creepy e angoscianti che sanno essere suggestivi tanto nella scrittura quanto nella regia, dando sicuramente qualcosa in più dei classici spooky tales alla Piccoli Brividi di R.L. Stine; dall’altra parte ci sono le storie dei ragazzi, in modo particolare quella di Ilonka, la loro battaglia tra la vita e la morte, o meglio il loro cercare di rendere più “piacevole” il passaggio tra uno stato e l’altro, ben consapevoli di avere un destino irreversibile; e dall’altra parte ancora ci sono i mille misteri di Brightcliffe Hospice. Fantasmi che si aggirano tra le stanze, scantinati nascosti usati come altare di rituali pagani, vecchi diari che sembrano nascondere il segreto per l’eterna vita, simboli arcaici, sette. Cosa c’è di vero? Cosa c’è di falso?
A un certo punto, sembra quasi che una risposta a tutto questo venga data. Ed è una risposta anche molto interessante, che riflette proprio sul tema base della serie: a cosa siamo disposti a credere, ad aggrapparci, pur di non cedere alla paura della morte? Pur di credere a un’altra possibilità? Fede. Superstizione. Tisane. Non c’è una risposta giusta, va bene qualsiasi cosa, purché si facciano dopo i conti con la realtà dei fatti. Il resto può renderlo solo meno… spiacevole.
Poi però tutto viene rimesso in discussione, in maniera anche piuttosto caotica. La storia perde di mordente, gli episodi di ritmo, la regia si fa piatta, non più suggestiva come prima dimenticando anche quei brividi trasmessi precedentemente. Il finale è completamente anticlimatico e perfino il tema principale sembra più incoerente.
Per quanto tutto ciò non tolga la dimensione godibile e genuinamente spooky alla serie, riuscendo comunque a emozionare e coinvolgere empaticamente, ciò non toglie che si fa non poca fatica ad arrivare al finale. La serie prende un po’ per sfinimento lo spettatore, annunciando falsi finali e tardando ad arrivare a quello vero che, come detto precedentemente, neanche c’è. Manca il senso di soddisfazione della chiusura del racconto, di risposta nei confronti delle domande che vagano, vagano senza mai trovare una dimensione.
Più che un vero e proprio finale, The Midnight Club si chiude con una bozza che a stento riesce ad essere una suggestione. Non convince, non arriva e la sorpresa non è neanche delle più piacevoli, ma lascia quel senso di frustrazione che fa perdere di intensità all’intero racconto. Davvero un gran peccato, ma siamo sicuri che comunque il buon Flanagan qualche brivido e una lacrimuccia sarà capace di regalarvela anche questa volta.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
The Midnight Club usa gli elementi della narrazione spooky per ragazzi, realizzando una storia corale che riflette sulla vita e sulla morte, sull'ingiustizia e l'accettazione di cose che sono più grandi di noi. Lo fa con tenerezza, dolcezza e spensieratezza, ma anche l'amarezza di ricevere un verdetto così funesto quando si è troppo giovani. Al tempo stesso usa le atmosfere spooky per rendere il tutto più suggestivo. Peccato che, sugli episodi finali, la serie si sfilaccia, perde di coesione e anche i nostri personaggi restano fin troppo appiattiti sullo sfondo.
-
Voto Screenworld