A volte si sottovaluta l’importanza dei musei. Non solo esposizioni di antichi manufatti appartenenti alla storia dell’uomo, ma anche luogo aperto al pubblico dove vengono offerte esperienze, che siano a scopo educativo o di semplice condivisione, se non di scoperta di sé. In un museo si può semplicemente guardare ciò che espone, ma si può anche fare i conti con il proprio passato, riflettendo su ciò che si è stati, come singoli individui ma anche come insieme di persone, per uscirne – si spera – rinnovati.
È con questo augurio che vi invitiamo a entrare nel famoso e importante Museo di Boston. Certo, in questo 2023, a vederlo da fuori in maniera superficiale l’edificio non sembra un granché ma vi assicuriamo che il prezzo del biglietto d’ingresso saprà perfettamente ripagare le vostre attese. In questa nostra recensione di The Last of Us 1×02 vi daremo tutte le coordinate necessarie per affrontare una visita che vi occuperà meno di un’ora (53 minuti per la precisione), ma che nasconde parecchia bellezza e molto su cui riflettere. L’esibizione in questo museo che andrete ad assistere è intensa e siamo convinti che, come i protagonisti della serie HBO disponibile in contemporanea e in esclusiva su Sky e NOW, ne uscirete diversi.
The Last of Us 1×02
Genere: Horror/Drammatico
Durata: 53 minuti
Uscita: 23 gennaio 2023 (NOW e Sky)
Cast: Pedro Pascal, Bella Ramsey, Anna Torv
La trama: Boston città aperta
Per Joel (Pedro Pascal), Tess (Anna Torv) e la giovane Ellie (Bella Ramsey), la scelta di entrare nel Freedom Museum di Boston non è la prima delle scelte possibili. All’inizio di questo viaggio che ha il sapore di una consegna a domicilio, con i due adulti che devono portare la ragazzina nel luogo prestabilito dalle Luci, la Massachusetts State House, i tre sono costretti a camminare lungo le vie di una città distrutta. Non proprio una Boston da cartolina, a meno che non si possa ritrovare quel fascino turistico tra i grattacieli piegati su loro stessi, sulla natura rigogliosa che sporca di verde il grigio cemento, su vecchi peluche per bambini abbandonati da tempo sotto le ruote di auto dimenticate. È una città dove si percepisce il passaggio dell’apocalisse, con le strade bucate da crateri lasciati dall’esplosione delle bombe, sganciate per bruciare il prima possibile le possibilità di contagio.
Una vera e propria zona di guerra dove le vittime non rimangono immobili diventando piano piano polvere. No, nel mondo di The Last of Us le vittime di quest’infezione continuano a respirare, cieche ma con un udito sensibilissimo. Carne umana smossa da un fungo parassita, il Cordyceps, che dieci anni prima è dilagato in tutto il mondo, infettando l’umanità. Esseri pericolosi e duri a cedere, violenti e rabbiosi. E così, il trio è costretto ad attraversare Boston attraverso il vecchio museo, luogo impolverato dalle sabbie del tempo, dove i protagonisti dovranno fare i conti con il loro passato. Una volta usciti tutto sarà diverso e nulla più come prima. D’altronde è così che iniziano i cambiamenti.
Zona di scienza naturale
Oltre all’area centrale dell’episodio, dove assisteremo ai primi sviluppi sul rapporto tra i protagonisti, ancora rigidi nelle loro personalità, ma costretti ad aiutarsi davvero per la prima volta, raccontiamo anche una piacevole deviazione. Come nel precedente episodio, anche qui assisteremo a un prologo (poco meno di dieci minuti) ambientato nel passato, lontano dagli Stati Uniti d’America. Siamo a Jakarta, in Indonesia, il 24 settembre 2013, pochi giorni prima dello scoppio dell’epidemia ad Austin. L’esperta micologa Ibu Ratna viene prelevata per poter avere conferma di un misterioso fungo che sembra aver iniziato a contagiare alcune persone. I test nel laboratorio non lasciano dubbi: si tratta di Cordyceps, un parassita che solitamente non attacca gli umani.
Si tratta di un prologo che, come quello ambientato nel 1968, si occupa di contestualizzare ancora di più il mondo rappresentato della serie, anche se il risultato potrebbe, dal punto di vista narrativo, apparire un po’ pleonastico. Si tratta, però, di una deviazione che regala una nota tesa all’episodio, preparando il terreno soprattutto emotivo per quello che verrà e – complice una buona regia di Druckmann – alcuni momenti di grande impatto. In questo senso, si nota la scrittura di Craig Mazin che sembra recuperare certe atmosfere di Chernobyl, la sua acclamata miniserie precedente a questo progetto. Sarà curioso sapere se questi flashback che formano delle micro-storie, abbozzando frammenti di cronaca, proseguiranno nel resto della stagione.
Dove c’è storia: la stanza del cast
Curioso il fatto che proprio in un museo, luogo dove c’è la Storia, si compia il primo grande passo di The Last of Us in termini narrativi, unendo brillantemente le due caratteristiche che lo animano. Da un lato la particolarità dell’episodio è una bellissima sequenza ricca di tensione e orrore, dove finalmente faremo la conoscenza ravvicinata degli infetti che popolano i luoghi della serie. La regia di Druckmann non trova sbavature, sposandosi perfettamente con la scrittura di Mazin che pensa a costruire la suspense passo per passo, per poi farla esplodere improvvisamente. Se però queste sequenze più movimentate e tese funzionano è grazie a un bilanciamento preciso nella scrittura dei personaggi.
Perché sono loro, sorretti da un cast in stato di grazia, a catturare l’attenzione dello spettatore. Con i primi dialoghi, i primi minuti trascorsi al loro fianco, finalmente abbiamo modo di comprendere di più la loro personalità, ne accettiamo le sfumature (che talento Bella Ramsey, che passa dall’essere una ragazza matura e adulta a un’inesperta bambina), posiamo il nostro sguardo sulla loro profonda personalità. Più dell’orrore e della tensione, The Last of Us mette subito in chiaro la propria dimensione intima e sentimentale; ci spinge a osservare attentamente le reazioni e le espressioni dei personaggi, in tutta la loro imperfetta naturalezza, dando vita al cuore pulsante di una sorprendente storia.
Trasmettere infezioni
Il museo è il luogo della cultura, un luogo dove il passato si mostra in teche impolverate per spingerci a riflettere sul nostro presente. L’uscita dal museo da parte dei nostri protagonisti è sinonimo di un cambiamento pronto a spezzare le consuetudini. Se nel primo episodio ci soffermavamo sull’orologio rotto di Joel, uno strumento che corrisponde a un tempo sospeso, bloccato, come gli oggetti contenuti in un museo, qui percepiamo l’evoluzione di uno sforzo vitale. Come un fungo parassita, l’umanità rimette in moto quelle lancette, catapultando Joel ed Ellie fuori dalle teche che si erano costruiti.
Alla fine di questo secondo episodio di The Last of Us si esce dal museo rinnovati davvero. Forse a causa di particolari spore, che abbiamo respirato senza rendercene conto. Alla fine di questi 53 minuti ci ritroviamo come degli infetti, vittime di un’empatia contagiosa che ci lega ai personaggi e al desiderio di volerne di più. Avevamo sottovalutato l’importanza del museo: pensavamo di poter osservare cimeli del passato in maniera passiva, ma ci ritroviamo ora con un calore inaspettato. Un colpo di fulmine forse? D’altronde a volte non serve per forza un morso violento per contagiarci. Basta un bacio.
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La recensione in breve
Il secondo episodio di The Last of Us (1x02) è un efficace equilibrio tra lo sguardo intimo e personale della storia e i suoi momenti più orrorifici. Lo spettatore si ritroverà legato ai personaggi, grazie a un trio d'attori semplicemente perfetto, e costretto a vivere momenti di alta tensione, ottimamente diretti da Druckmann. Impossibile non appassionarsi.
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Voto ScreenWorld