Destino peculiare, quello di Boba Fett: concepito inizialmente, almeno in parte, come scusa per ricavare ulteriori action figures dall’universo di Star Wars, è diventato un personaggio di culto nonostante la sua scarsa presenza nei film, essendo passato a miglior vita – o così sembrava – nella sua seconda apparizione. Lo abbiamo poi ritrovato bambino nei prequel e nella serie animata The Clone Wars, e lo scorso anno, nella seconda stagione di The Mandalorian, è stato confermato che era vivo e vegeto, con il volto di Temuera Morrison, l’attore neozelandese che vent’anni or sono indossò i panni del “padre” Jango Fett al cinema.
E nel post-credits del finale di stagione, un’intrigante sorpresa: Din Djarin si prende una pausa, e per ingannare l’attesa ecco che il più noto cacciatore di taglie del franchise lucasiano si ritrova con una serie tutta sua, di cui parliamo in questa recensione del primo episodio di The Book of Boba Fett. Un progetto che arriva a rimpolpare l’offerta festiva di Disney+, che proprio con la serie madre ha dato inizio al suo percorso nel mondo competitivo delle piattaforme streaming, il 12 novembre 2019.
The Book of Boba Fett (2021)
Genere: Fantasy/Azione
Durata: 40 minuti ca. a episodio
Uscita: 29 dicembre 2021 (Disney+)
Cast: Temuera Morrison, Ming-Na Wen, Jennifer Beals
What About Boba?
Il primo capitolo di The Book of Boba Fett, intitolato Stranger in a Strange Land, ha il doppio compito di reintrodurre il nuovo status quo, con il mercenario divenuto nuovo signore del crimine di Tatooine, e approfondire i cinque anni passati dalla sua apparente morte. La seconda parte avviene sotto forma di ricordo/sogno, mentre Boba si trova in una vasca che gli consente di guarire dalle ferite.
Un flashback esteso, quasi del tutto privo di dialoghi (o meglio, di dialoghi comprensibili, dato che Fett interagisce soprattutto con individui che parlano lingue aliene non sottotitolate), che si alterna al presente dove il nuovo boss e il suo braccio destro, la cacciatrice di taglie Fennec Shand (Ming Na-Wen, anche lei già apparsa in The Mandalorian), devono fare i conti con un mondo non interamente disposto ad accettare il successore di Bib Fortuna. E la filosofia di Fett, che preferisce regnare con il rispetto e non la paura come facevano Bib e il suo defunto capo Jabba the Hutt, potrebbe rivelarsi deleteria…
Squadra che vince non si cambia?
Dietro la macchina da presa ci sono sempre Jon Favreau come creatore e principale sceneggiatore e Dave Filoni, enciclopedia vivente del franchise e responsabile della Lucasfilm Animation, come produttore esecutivo. Al loro fianco, come regista del capitolo inaugurale e di altri due episodi su sette, c’è Robert Rodriguez, che un anno fa ebbe l’onore/onere di firmare l’episodio di The Mandalorian dove Boba tornava sul serio dopo una breve apparizione al termine della premiere della seconda stagione. L’influenza del regista è evidente soprattutto nell’atmosfera ancora più marcatamente western e nella sequenza della Cantina, dove la consueta band si cimenta con composizioni musicali dal sapore messicano.
Rimane anche la tradizione della durata piuttosto breve: credits esclusi, questo capitolo dura poco più di mezz’ora, ed è la pecca principale di un’introduzione che, temendo forse di alienare i fan con un racconto troppo radicale ambientato interamente in un passato prossimo senza dialoghi, aggiunge la parte nel presente che, nel contesto di un capitolo che deve funzionare come entità drammatica a sé, non aggiunge nulla di particolarmente significativo.
Viene anche da chiedersi se il budget sia stato ridotto rispetto alla serie madre, o se la pandemia ha in qualche modo influito sulla post-produzione, perché a seconda delle scene gli ambienti virtuali creati con la tecnologia Stagecraft hanno un’aura abbastanza finta e cheap, senza la cura visiva che caratterizzava il resto dell’operato di Favreau e soci. Certo, gli appassionati saranno contenti di ritrovare luoghi e personaggi che sono parte integrante dell’iconografia del franchise, ma questi non bastano per compensare una scrittura e una regia che sanno tanto di minimo sforzo, ma senza ottenere il massimo risultato.
Rimane soprattutto il carisma granitico di Morrison, che ha finalmente un ruolo importante nella galassia lontana lontana, e promettono bene anche alcuni dei comprimari, in particolare il droide 8D8, doppiato in originale dall’attore inglese Matt Berry (Laszlo in What We Do in the Shadows) e fissato con la tortura. Le carte in regola ci sono, ora non resta che vedere se le prossime pagine del libro saranno più nutrite.
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Conclusioni
Il primo capitolo dello spin-off di The Mandalorian introduce degli elementi interessanti, ma non riesce a unirli in modo coerente. Un parziale passo falso iniziale.
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Voto ScreenWorld