In origine fu una premessa nata quasi per scherzo, con un misterioso e letale alieno che si imbucava nel classico action testosteronico dominato da Arnold Schwarzenegger e gliele dava di santa ragione. Poi ci fu la giungla urbana, poi un paio di crossover con Alien (ma i due film in questione sono considerati una continuity a parte), poi gli umani su un pianeta controllato dagli alieni, e infine la lotta intestina tra due fazioni per dominare la Terra. Questo è il franchise di Predator, fenomeno di culto che però col passare del tempo ha perso un po’ il suo spirito originale, percezione che forse è arrivata anche al pubblico a giudicare dagli incassi dei due lungometraggi più recenti.
È per questo che la nostra recensione di Prey, quinto capitolo della saga ideata da John e Jim Thomas, è legata non all’uscita in sala, bensì al debutto su Hulu negli Stati Uniti e Disney+ nel resto del mondo. Un destino un po’ ingrato per il film di Dan Trachtenberg, che paga il prezzo degli incassi modesti o addirittura deludenti degli ultimi capitoli da un lato e la nuova politica di distribuzione della Disney dall’altro. Un film che torna alle origini del franchise, in tutti i sensi: anche se non è esplicitato sullo schermo, quello che vediamo in questa sede è infatti il primo contatto fra il Predator e gli esseri umani.
Prey
Genere: Horror, fantascienza, avventura
Durata: 99 minuti
Uscita: 5 agosto 2022 (Disney+)
Cast: Amber Midthunder, Dakota Beavers e Dane DiLiegro
La trama: caccia su due fronti
Siamo nel 1717, in territorio Comanche (e per chi volesse, in streaming sarà possibile vedere il film con la traccia audio interamente nella lingua autoctona, doppiata dal cast originale), e la giovane Naru (Amber Midthunder) cerca di farsi valere come cacciatrice, attività solitamente riservata ai membri maschili della tribù, e di conseguenza è oggetto di scherno da parte del fratello e dei suoi amici.
Un giorno, braccando una preda particolarmente interessante, in grado di sventrare a mani nude un serpente, si rende conto che il suo popolo ha a che fare con un visitatore venuto dal cielo: il Predator (Dane DiLiegro, ex-giocatore di basket che si presta a ruoli da mostro per il cinema e la televisione). L’alieno si interessa soprattutto agli animali più pericolosi, trascurando gli umani. Ma quando emerge che questi possono opporre resistenza, e che Naru è tutt’altro che sprovveduta come cacciatrice, un quesito si fa inevitabile: chi è la vera preda in questo contesto?
Dan Trachtenberg alla regia
Dopo John McTiernan, Stephen Hopkins, Nimrod Antal e Shane Black, al quinto giro la regia è stata affidata a Dan Trachtenberg, noto soprattutto per 10 Cloverfield Lane. Un film, quest’ultimo, che era talmente autoconclusivo rispetto al franchise di riferimento che gli stessi attori non ne sapevano niente fino all’uscita del trailer (dato che il titolo di lavorazione era un altro). Anche qui, ma con modalità leggermente diverse, il cineasta aveva previsto di alimentare l’attesa del pubblico senza evocare esplicitamente la saga di appartenenza, vendendo Prey come semplice survival movie ambientato in terra Comanche durante il marketing (strategia andata a monte quando 20th Century Studios ha confermato in anticipo il legame con il Predator primigenio).
Ritorno alle origini
Ma al netto delle considerazioni pubblicitarie, l’intuizione di Trachtenberg è stata giusta, perché è la prima volta dal 1990 che si ritorna alla formula che aveva portato al successo dell’originale: l’inserimento della creatura del titolo in un film di genere completamente sconnesso dalla fantascienza, elemento scartato sia in Predators (dove però era carina l’idea del capovolgimento della premessa con vari archetipi action che finivano a “casa” dell’alieno) che in The Predator (che cercava di aggiungere una mitologia a tratti un po’ faticosa). Come nel capostipite, la presenza dell’extraterrestre è chiara dall’inizio ma sufficientemente sottile, complice il suo sistema di invisibilità, da consentire al film di maturare per conto proprio come racconto di formazione in territorio indigeno prima che inizi lo spargimento di sangue.
Lo scontro tra umano e Predator
Rispetto alle recenti evoluzioni del franchise c’è anche un gradevole ritorno agli elementi basilari, a cominciare dal Predator stesso che non è più prevalentemente digitale ma interpretato da un uomo in costume o gestito da un apposito team di marionettisti. Riemerge la qualità tattile, un po’ sporca, dello scontro primigenio fra umano e alieno (con alcuni deliziosi rimandi visivi), e proprio per questo dispiace che, salvo rarissime eccezioni (la prima mondiale si è tenuta al San Diego Comic-Con), il pubblico non se lo potrà godere in sala, dove avrebbe sottolineato il rinvigorimento di una saga che ha ritrovato l’energia di un tempo: bastava tornare sulla Terra in un contesto più semplice, puro, a stretto contatto con la natura e assistendo allo scontro tra l’alieno e una delle più interessanti scoperte recitative degli ultimi anni, Amber Midthunder. Questa volta, quando si sente il classico ringhio del Predator, è una promessa e una minaccia. Entrambe appaganti.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
La saga di Predator torna alle origini con Prey, un prequel sporco e spietato, che ritrova lo spirito del primo film con abbondanti dosi di suspense, sangue e commistione di generi. Menzione d'onore alla protagonista, Amber Midthunder.
-
Voto ScreenWorld