C’era una volta Bridget Jones in costume. Non fosse per gli abiti lunghi, l’ambientazione in stile Regency e un romantico accompagnamento di archi lussureggianti, penseremmo che Renée Zellweger sia pronta a sciorinarci ogni sua sfortuna amorosa. Anne Elliot, l’eroina di Persuasione, è ugualmente goffa e imbranata e non esita a bere vino rosso direttamente dalla bottiglia per affogare la sua disperazione sull’amore. Questo venerdì, Netflix ci propone l’adattamento del romanzo omonimo di Jane Austen, firmato dall’acclamata regista teatrale britannica Carrie Cracknell e con Dakota Johnson, Cosmo Jarvis e Henry Golding protagonisti.
Nella nostra recensione di Persuasione vedremo come non ci sia una direzione precisa e organica a guidare questo progetto, su cui la regista ha lavorato al fianco degli sceneggiatori Ronald Bass e Alice Victoria Winslow, al di là dell’intenzione di capitalizzare le tendenze attuali: esattamente ciò che accade quando l’arte diventa un esercizio di branding. Nel film, la regista continua a trattare il design tipico delle ambientazioni “aristocratiche” come pura estetica, piuttosto che come un sincero – e riuscito – tentativo di essere accurati. Rispetto a Bridgerton, lo show cardine di Netflix sull’era Regency, i cui anacronismi sono scelti con cura per dare allo show un’irriverenza pop, il film di Cracknell è puro caos.
Persuasione
Genere: Drammatico, sentimentale
Durata: 107 minuti
Uscita: 15 luglio 2022 (Netflix)
Cast: Dakota Johnson, Cosmo Jarvis, Henry Golding
La trama: Le (s)fortune amorose di Bridget/Anne
Come ogni buona storia d’amore di Jane Austen, Persuasione parla di un dilemma romantico. La prima opzione per la “rinascita” di Anne è quella di cercare di riaccendere la fiamma del suo primissimo grande amore, il capitano Frederick Wentworth (Cosmo Jarvis), che lei rifiutò all’età di 19 anni dopo essere stata convinta dalla sua madrina che fosse un partner inadatto per lei, a causa del suo basso status sociale. Quando Frederick torna dalle guerre napoleoniche come eroe militare (e, soprattutto, con una grande fortuna), i due devono superare il risentimento e riconciliarsi. Tuttavia, l’idillio della loro storia d’amore viene messo in discussione dall’arrivo di William Elliot (Henry Golding), un lontano parente di Anne il cui facile fascino potrebbe nascondere secondi fini più nefasti, essendo un erede diretto della fortuna di famiglia e con una posizione dinastica che potrebbe essere a rischio.
Un po’ Fleabag, poco Emma
Il ricordo dell’adattamento di Emma (2020), messo a punto dalla regista Autumn de Wilde, sembra una delizia così lontana: è impossibile dimenticarsi l’arguzia con cui de Wilde ha incontrato l’eroina più arguta e pungente di Jane Austen e si è affidata ai suoi stessi dettami e condizioni narrative, sfidandone l’egoismo caratteriale e rendendola al contempo affettuosa. Una confezione di fiori, colori pastello e cornici dorate, che ha trovato il modo di soddisfare i gusti moderni senza tradire l’autenticità dell’epoca Regency e che rimane uno dei migliori adattamenti moderni dell’opera di Austen. A differenza della trasposizione di de Wilde, immediata e figlia di un progetto audiovisivo che non ha bisogno di moine per interessare lo spettatore, il film di Cracknell cerca costantemente di persuaderci.
La versione cinematografica di Anne Elliot ha infatti l’abitudine compulsiva di stabilire un contatto visivo con la telecamera. Ci guarda quando la viziata sorella Mary (Mia McKenna-Bruce) dice qualcosa di sgarbato o quando ammette che il suo continuo dichiarare di essere “single e fiorente” sia in realtà una totale costruzione. È una “donna incasinata” che non conosce altra bevanda oltre al vino rosso e piange nella vasca da bagno. Una “Fleabag”, in tutto e per tutto. Il lavoro incisivo e auto-ironico della fantastica Phoebe Waller-Bridge, creatrice e protagonista dell’amatissima serie televisiva, viene trasformato in una tipizzazione caratteriale volta a consegnarci un senso dell’umorismo scoppiettante, proprio dei personaggi della Austen ma non dell’iterazione di Dakota Johnson. I monologhi altezzosi e ironici, gli sketch in cui Anne prova ad addomesticare un coniglio domestico irascibile e l’incomprensibile voglia di farci continuamente l’occhiolino non sono abbastanza per suggellare un consenso spettatoriale affettuosamente complice.
Soprattutto, in nessun momento del debutto alla regia di Carrie Cracknell si ha la sensazione che qualcuno stia davvero leggendo dentro al testo di Persuasione. Nel libro della Austen, Anne è descritta come “una nave triste perseguitata dai fantasmi dell’amore perduto”, è un’estensione del dolore acuto dello scrittrice, che scrisse il libro a 40 anni, a pochi centimetri dal letto di morte. Anne teme di essere arrivata a un punto della vita in cui sta superando ogni ultima opportunità, soprattutto per quanto riguarda l’amore. La Anne di Dakota Johnson è invece una performer, spogliata della sua poesia e ridotta a una didascalia di Instagram sulle insidie degli appuntamenti dei millennial. Più che aggiungere una buona dose di umorismo contemporaneo al viaggio interiore di un’eroina ottocentesca, cercando di rendere le motivazioni di Anne ancora più valide contro l’abbottonato sistema sociale della Reggenza, Persuasione ci suggerisce quanto sia ancora tristemente difficile drammatizzare il desiderio femminile, soprattutto tramite un approccio iconoclasta. La rottura della quarta parete cerca di coinvolgere il pubblico ma senza successo, riducendosi ad essere un escamotage narrativo ormai obsoleto e sin troppo utilizzato (anche in altri adattamenti della Austen, come Mansfield Park del ’99).
L’estraneità perpetua di questo adattamento
Il revisionismo in sé non è mai sgradito al cinema, ma il suo impatto crolla clamorosamente se non è supportato da un progetto. In che modo la frase “Dicono che se sei un cinque a Londra, sei un dieci a Bath” migliora l’opera della Austen o la rende più appetibile per il pubblico moderno? Quando Anne si riconcilia con Wentworth (Cosmo Jarvis), l’uomo che un tempo aveva rifiutato, la Austen scrive: “Ora erano come estranei; no, peggio che estranei, poiché non avrebbero mai potuto diventare amici. La loro era un’estraneità perpetua“. Cosa riceviamo invece nel film? “Siamo estranei. Peggio degli estranei. Siamo ex“. L’illusione che l’appeal da ragazza californiana di Dakota Johnson avrebbe conferito al personaggio un rinfrescante senso di appartenenza lascia presto spazio al disincanto e a un blando accento inglese. La sensazione è particolarmente ingiusta quando il resto del cast, tra cui Jarvis e Henry Golding, offrono esattamente il tipo di interpretazioni misurate ed eleganti che ci si aspetterebbe dall’idealizzazione di due gentlemen in un dramma storico romantico.
Il risultato? Un ibrido tra remake e omaggio che non rende giustizia all’ottima performance che Dakota Johnson ci ha regalato in un’altra produzione recente, Cha Cha Real Smooth di Cooper Raif, in cui interpreta Domino, una giovane madre tanto ironica quanto costretta dalle difficoltà di una quotidianità ingestibile. Domino non è poi così diversa da Anne: con la differenze che Anne può tenervi compagnia solo se siete in astinenza da Bridget Jones.
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La recensione in breve
Persuasione, l'adattamento del celebre romanzo di Jane Austen firmato da Carrie Cracknell, fatica a trovare un'identità precisa nascondendosi dietro i meccanismi persuasivi di un'operazione di maketing. Un'opera che forse avrebbe funzionato meglio a teatro, in cui l'unica estraneità perpetua è quella tra la sua protagonista e gli spettatori.
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Voto ScreenWorld