A predominare in Not Okay è la politica del: “Va bene non stare bene”. Un concept già passato, seppur sempre valido, ma che nella pellicola di Quinn Shephard disponibile su Disney Plus assume contorni già sperimentati e che mettono a confronto i disturbi sociali e depressivi di una protagonista descritta in apertura come “spiacevole”, finendo per propinarci la consueta retorica sulla nostra esistenza e come poter condividerla assieme al dolore.
Non importa se stavolta c’è un hashtag messo a fianco della frase o se si vuole farlo diventare un presunto movimento – paragonato al MeToo e al Black Lives Matter – di tendenza, ciò che vediamo nella recensione di Not Okay è il porsi del film a riflessione di un uso compulsivo dei social e della popolarità che sempre più invadono il nostro quotidiano, così come la produzione audiovisiva di tutto il mondo.
Not Okay
Genere: Commedia
Durata: 100 minuti
Uscita: 29 luglio 2022 (Disney+)
Cast: Zoey Deutch, Dylan O’Brien, Mia Isaac
Una trama tra social e Francia
È per fare colpo su un ragazzo che Danni Sanders (Zoey Deutch) finge di aver trascorso del tempo a Parigi ad un ritiro per scrittori. Un’occasione che non sembra mai presentarsi all’aspirante giornalista impegnata nella rivista per cui lavora, dal nome Depravity, nel modificare ed editare immagini. Ma che arriverà quando la ragazza capirà che potrà far credere a tutti di essere nella capitale francese senza spostarsi mai dal suo appartamento di Bushwick, postando fotoritocchi e cambiando lo sfondo del suo quartiere con lo scorcio della Torre Eiffel.
Non è però solamente con un paio di foto che Danni diventerà virale, sarà bensì fingendosi una delle vittime di un attentato all’Arco di Trionfo in cui la giovane dice di essere rimasta coinvolta, diventandone una dei sopravvissuti.
Il manifesto iniziale di Not Okay si apre proprio con le dichiarazioni di una ragazza della Generazione Z che pur di essere notata sarebbe disposta ad ogni cosa. La smania di comparire, di apparire, di esistere nelle coscienze e nella percezione degli altri diventa un obiettivo di per sé vuoto eppure costante nella vita della protagonista, che pur riservandosi un minimo di umanità nel caos che le sue menzogne hanno attivato, sceglie comunque di abbandonarcisi preferendo la finestra dei social media alla purezza dell’onestà.
Notorietà sui social: il canto delle sirene del Duemila
In fondo è Danni stessa a domandare alla sua editrice “Essere offensivi non potrebbe essere un brand?” e se nella contemporaneità sappiamo che moltissimi individui hanno intrapreso proprio la strada della cattiveria o dell’impertinenza ad ogni costo, con Not Okay se ne indagano le conseguenze di quell’allarmante richiamo.
Quel canto delle sirene che ci invita a diventare popolari, a farci riconoscere, a diventare punti di riferimento in una modernità in cui basta una telecamera ben definitiva e una ring light portatile per metterci in mostra, sia per esprimere i nostri ideali o semplicemente vendendo il nostro outfit. Ma Not Okay, il cui grido di battaglia è comunque chiaro ed evidente, annichilisce gradualmente la propria storia e così anche la sua critica, allentando la morsa con cui l’opera dava il via alla sua riflessione.
Una narrazione imperfetta
Il tentativo di unire alle azioni di Danni un racconto che fosse sia di supporto alla sua evoluzione e che al contempo ne sottolineasse le svolte e problematicità, va sbrindellandosi con una narrazione che mescola troppi punti di interesse, non mantenendo salda una presa che scivola di mano tanto alla giovane, quanto al film che la vede protagonista.
Dall’attivismo all’amicizia, dai gruppi di supporto alla questione delle armi, Not Okay cerca di essere intrattenitivo e provocatorio, ma finisce per non soddisfare completamente nessuna delle due anime della pellicola costringendola a rimanere in superficie su temi e visioni giovanili che sono stati altrettanto e meglio riportati in oramai svariati prodotti tra tv e cinema.
Americane, lasciate stare Parigi
Anche lo spirito della protagonista di Zoey Deutch sembra muoversi in maniera non conforme secondo una delineazione del suo carattere a cui appartengono varie sfumature, ma di cui assai poco si riesce a cogliere se non i suggerimenti sul suo stato depressivo e una ricerca della fama che non ne snatura però una base gentile e empatica.
Il personaggio è confuso dalle sue stesse gesta, ne è compiaciuta eppure a tratti è sul punto di confessare, finché la valanga della verità non la costringerà ad affrontare la “shitstorm” come altro processo di notorietà contemporanea, quello senz’altro non richiesto seppur inevitabile visto l’oltraggio delle sue dichiarazioni.
Nel cercare di ragionare su tanti aspetti, Not Okay finisce per non soffermarsi su niente andando anzi a indebolire la sua stessa narrativa. Proprio come una nuova tendenza su Twitter o il meme del giorno su internet. Dopo la scintilla iniziale di un film che avrebbe potuto scavare nel torbido della comunità social, la pellicola di Disney+ spegne troppo presto i riflettori diventando subito una notizia passata. Solo una cosa c’è a rimanere certa: tra Not Okay e Emily in Paris, le americane dovrebbero lasciare per un po’ in pace la Francia.
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La recensione in breve
Not Okay cerca di analizzare la società contemporanea e come si rapporta ai social, non riuscendo però a portare alcuna visione originale né nella descrizione della sua protagonista, né negli avvenimenti della pellicola.
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Voto ScreenWorld