“La mia ragione vacillò quando vidi le ponderosa mura crollare; ci fu un enorme fragore, un tumulto come di mille cateratte e il profondo e sinistro stagno ai miei piedi si chiuse lugubre e silenzioso sulle macerie della Casa Usher“.
Dopo essersi confrontato con Shirley Jackson (The Haunting of Hill House) e Henry James (The Haunting of Bly Manor), dopo averci dimostrato di saper comprendere ed interpretare Stephen King meglio ancora di King stesso, regalandoci uno dei migliori “adattamenti non ufficiali” di Salem’s Lot (Midnight Mass), Mike Flanagan torna dietro la macchina da presa (e scrittura) di una serie TV non solo perfetta per la spooky season ma che, per noi almeno, è già cult. Quale autore migliore per il periodo più terrificante dell’anno se non Edgar Allan Poe? Una sfida interessante, tenebrosa ma per nulla semplice.
Oggi, finalmente, con questa recensione di La Caduta della Casa degli Usher, dal 12 Ottobre disponibile con tutti i suoi otto episodi su Netflix, possiamo confermarvi di come Flanagan esca vittorioso dal confronto con lo scrittore statunitense. Ma, soprattutto, possiamo parlarvi di questa sua nuova fatica che immortala ancora di più lo spirito di Poe sul piccolo schermo, conferendo, però, un tocco contemporaneo alla sua opera, senza mai risultare dissacrante, superficiale o banale. Ed in questo lo showrunner e regista ha davvero un dono: prendere grandi monumenti della letteratura ed adattarli con una lucidità, precisione e brillantezza che ben pochi hanno.
Mike Flanagan riesce a penetrare all’interno dei racconti di Poe, a sviscerarli, mostrandoci l’altra faccia della medaglia e sottolineando come i temi del passato non siano mai stati così vicini a noi come adesso, proprio perché universali e sempre più specchio di un presente corrotto, perverso e malato. La casa, la famiglia, i segreti e i “fantasmi” sono ormai la sua cifra stilistica, il suo marchio di fabbrica, ma in questo caso siamo andati anche oltre. Sebbene i tanto logori quanto tossici ed esasperanti legami familiari restino il centro di tutto, Flanagan non si limita unicamente al racconto di casa Usher, ma lo usa come gancio di adattamento e approfondimento su piccolo schermo di una generosa fetta delle opere di Edgar Allan Poe, dai racconti alle poesie, passando per alcuni dei suoi personaggi più iconici.
La Caduta della Casa degli Usher
Genere: Horror
Durata: 8 episodi (60 minuti)
Uscita: 12 Ottobre 2023 (Netflix)
Cast: Carla Gugino, Bruce Greenwood, Mary McDonnell, Carl Lumbly, Samantha Sloyan, T’Nia Miller, Rahul Kohli Kate Siegel, Zach Gilford, Willa Fitzgerald, Malcolm Goodwin, Henry Thomas, Mark Hamill
Trama: chi è causa del suo mal…
Sulla falsa riga del racconto originale di Edgar Allan Poe, la trama de La Caduta della Casa degli Usher si svolge, per lo più, nell’antica casa di famiglia di Roderick (Bruce Greenwood) e Madeline Usher (Mary McDonnell), amministratori delegati di una delle più grandi – se non la più grande – e controverse case farmaceutiche statunitensi. Una serie di tragici eventi colpiscono la famiglia Usher, decimandola, e il capofamiglia, Roderick, stanco, afflitto e malato, decide di fare ammenda con il suo miglior nemico: l’ex-giornalista ed avvocato C. Auguste Dupin (Carl Lumbly), che ha cercato con tutto sé stesso di far crollare la Torre d’Avorio degli Usher, complici di essere, con i loro farmaci a base di oppioidi, una delle principali cause di decesso in America.
Ciò che viene messo in scena è un vero e proprio viaggio nelle origini della famiglia e del loro impero, tra passato e presente, povertà e ricchezza, senso di rivalsa ed ipocrisia, rancori e rimorsi. Dupin ascolterà ogni singola parola della delirante e febbricitante confessione dell’imprenditore sulla via del tramonto, senza capire se si tratta dell’ennesima presa in giro o se la follia a causa dal lutto l’abbia completamente divorato; Roderick diventerà sempre più consapevole di essere lui la causa del suo male, di aver dato lui, molto tempo prima, il via ad un vero e proprio massacro, vendendo “l’anima” di un’intera generazione di Usher in cambio di assoluto potere. Ma adesso, come ogni patto che si rispetti, è giunto il momento di saldare il conto.
Una mitologia che prende vita
Proseguendo la recensione di La Caduta della Casa degli Usher, cominciamo a parlare di come le influenze dei molti racconti di Edgar Allan Poe, così come le sue poesie, prendano vita all’interno della miniserie. Usando il racconto degli Usher, la loro rovina e il morboso rapporto tra Roderick e Madeline, Mike Flanagan usa gli altri racconti di Poe – come Il pozzo e il pendolo, Il Gatto Nero, La Maschera della Morte Rossa, I Delitti della Rue Morgue, per dirne alcuni – per mettere in scena le sciagure che colpiranno l’estesa famiglia Usher. Ognuno, ovviamente, perfettamente adattato ed incastrato alla tipologia di personaggio. Inoltre, compariranno anche nomi incontrati in alcune poesie, come la pura Annabel Lee o il misterioso avvocato dal passato avventuroso Gordon Pym, per poi arrivare alla più celebre “Il corvo” che, assieme agli Usher, fa da filo conduttore per tutta la serie.
L’intera mitologia di Edgar Allan Poe prende vita in una serie TV che travolge e si ramifica in un immaginario che coinvolge tanto i padri quanto i figli, creando quell’atmosfera deliziosamente evocativa ma che, al tempo stesso, porta a riflettere sulla realtà, quasi come stessimo assistendo all’ennesimo scandalo capitalista. Del resto, gli Usher ci vengono presentati proprio con quel classico modello di struttura imprenditoriale dove i figli, più che essere tali, sono soldati arruolati in guerra. Pedine di un gioco ben più grande di loro. E, a differenza di quanto aveva fatto suo padre, Roderick Usher non ha mai chiuso la porta in faccia a nessuno dei suoi figli: né “i primi”, quelli avuti dall’unico grande amore del capofamiglia Usher, né tanto meno quelli nati “per caso” da avventure di una notte o poco più. Uno stuolo di “bambini adulti” esasperanti, viziati e con il bisogno costantemente di compiacere padre e zia.
Una generazione di complessati e traumatizzati, con importanti deficit affettivi spesso scaricati sui partner inermi, incapaci di prendere realmente in mano la propria vita. Consapevoli di non essere abbastanza per le aspettative della figura paterna ma, al tempo stesso, non così motivati da fare realmente qualcosa per cambiare; anzi, spugne perfette di vizi e nefandezze, messi gli uni contro gli altri, pieni di sé, schiavi dei soldi ed incapaci di guardare al di là del proprio naso. Ingranaggi più che consapevoli di una macchina velenosa e capitalista che, in fondo, a sua volta non fa altro che strizzare l’occhio agli scandali legati alla Purdue Pharma e crisi degli oppioidi.
E, proprio come loro padre, ma meno scaltri e furbi, per quanto “vittime inconsapevoli”, a loro volta sono causa del loro stesso male. Forse dalla “final destination” scelta per loro non c’è reale via di scampo, eppure Flanagan non può fare a meno di sottolineare – attraverso un personaggio chiave – come ci sia modo e modo di intraprendere il proprio percorso su questa terra prima di lasciarla andare. Come ci sia sempre una scelta e di quanto non sia importante la meta in sé per sé ma, piuttosto, come quel viaggio si è deciso di affrontarlo. Non deve per forza essere brutale ma, se lo è, in fondo è perché lo hanno scelto loro, conseguenza naturale di una serie di azioni e decisioni non di certo imposte da un diavolo, un corvo o un… padre.
Tra terrore e raziocinio
Alla base della narrazione di Edgar Allan Poe troviamo sempre due temi fondamentali: il raziocinio ed il terrore. Due opposti, senza ombra di dubbio. Da una parte c’è una spiegazione logica ad una sedia che si sposta, una porta che si apre da sola o una serie di morti non collegate tra di loro, in questo caso rappresentate dal personaggio di Dupin; dall’altra parte c’è l’azione di forze superiori a noi, di una realtà che non sempre è come appare ma molto più stratificata, simbolica, un po’ come ci rappresenta il misterioso personaggio di Carla Gugino.
Edgar Allan Poe ci dimostra come questi due aspetti così diversi tra di loro possano andare a braccetto, facce opposte della stessa medaglia, portando il reale su un piano ancora più complesso e sfaccettato. Mike Flanagan questo lo mette in scena con un racconto episodico da divorare quasi d’un fiato, magnetico e coinvolgente. Del resto, lo stesso Poe diceva che i racconti andrebbero letti senza interruzioni, di fila, immersi in un’atmosfera inquietante, sospesa nel tempo, magica e che per nessuna ragione al mondo andrebbe interrotta. E sicuramente se questo vale tanto per i suoi racconti, può valere anche per la serie TV di Mike Flanagan che, ancora una volta, si dimostra essere un abile prestigiatore della suspence.
Non parliamo di spavento o jumpscare – sebbene ogni tanto, disseminato qui e lì, qualcosa ci sia – bensì di terrori ben più profondi e radicati. Paure ataviche, angosce che scavano tunnel all’interno della mente. Abbracciano con la loro stretta mortale, serrano la gola, lasciano scorrere il sudore freddo lungo la schiena. Il piano del perturbante è quello che viene messo in scena, con tutte le sue affilate regole da tenere in considerazione. Un’inquietudine che accompagna, quasi come se fosse un virus, pronta a crescere di episodio in episodio e ad infettare, sempre di più.
La chiusura di ogni puntata, efferata e d’effetto, porta con sé, ironia della sorte, una specie di dipendenza. La necessità di dover passare immediatamente all’episodio successivo; al tempo stesso c’è quell’istinto di conservazione che esce fuori, che avverte di non addentrarsi troppo nell’ignoto o si potrebbe non uscirne più. Un gioco masochistico in cui si sa a cosa si potrebbe andare incontro, se ne ha paura ma, contemporaneamente, non si può fare a meno di cedere a quel richiamo. Un po’ come se fosse il canto di una sirena o lo charme ferino di un vampiro.
Tutto questo è possibile solo grazie ad una grande sceneggiatura. Ben strutturata, precisa e bilanciata. L’uso dei racconti di Poe non è un semplice escamotage per dare dei titoli suggestivi agli episodi. Flanagan prende i temi fondamentali di quei racconti, la loro storia, e li adatta in base alle necessità della sua narrazione più contemporanea. Questo gli dà modo di esplorare i diversi temi che ritroviamo nelle opere di Poe, come la malvagità incarnata nella perversione, la fusione tra bellezza e morte, il senso di colpa che sfocia in follia e negazione della realtà, la dualità, dove un personaggio secondario si riflette specularmente nel protagonista, proprio come avviene nel racconto originale.
Flanagan riprende anche la verbosità dello stile di Poe, dove la prima persona viene usata come flusso di coscienza, una sorta di confessione dell’inconscio, fondamentali anche per esprimere lo stato d’animo dei personaggi. Ma tanto i monologhi quanto i dialoghi non sono mai fini a sé stessi: c’è sempre qualcosa da raccontare, da esplorare. Ed i dettagli, le chiavi per poter interpretare e decifrare la realtà, spesso sono nascosti proprio in quelle parole, da quelle più pragmatiche a quelle più allegoriche.
Sebbene alcuni personaggi ci possano apparire più freddi, meno approfonditi degli altri, l’effetto è piuttosto voluto. Flanagan non vuole creare un legame empatico con gli Usher, non con tutti almeno. Piuttosto punta ad instillare semi di dubbio, spunti di riflessione sul nostro mondo, utilizzando le metafore dei racconti di Poe proprio come chiave di volta per interpretare problemi a noi più vicini e a riflettere su di essi, cominciando proprio sul ruolo dell’industria farmaceutica o delle grandi aziende capitaliste il cui scopo è unicamente il fatturato a discapito della vita dei “comuni mortali”.
Il cast delle meraviglie
Arrivati alla conclusione di questa recensione di La Caduta della Casa degli Usher, l’ultimo aspetto su cui non ci si può soffermare è il cast. Ad eguagliare la bellezza, bravura ed armonia dei cast scelti da Mike Flanagan probabilmente, nel panorama seriale, troviamo solo quelli di Ryan Murphy.
Inutile dire che la serie è popolata dagli attori feticcio del regista e sceneggiatore, come Carla Gugino, Bruce Greenwood, Kate Siegel, Henry Thomas, Samantha Sloyan, T’Nia Miller, Rahul Kohli e Zach Gilford, ma ritroviamo anche alcuni dei giovanissimi talenti conosciuti di Midnight Club, come Ruth Codd, Aya Furukawa, Sauriyan Sapkota e Igby Rigney.
Senza nulla togliere alle precedenti serie TV, in primis Hill House e Midnight Mass, dove abbiamo visto perfomance che avrebbero meritato molto più riconoscimento nella stagione dei premi, il lavoro fatto su questa serie TV è senza ombra di dubbio superlativo. Gli attori, in modo particolare Carla Gugino e Bruce Greenwood, sono letteralmente in stato di grazia. Interpretazioni intime, viscerali, per nulla semplici. Bastano anche dei piccoli sguardi per comprendere la ferocia dei sentimenti del personaggio in questione. Se ne riesce a capire i proprio tormenti, come nel caso di Greenwood, la disperazione come per T’Nia Miller, l’esasperazione e follia come per Rahul Kholi o la frustrazione e stanchezza, come invece capita per Samantha Sloyan. Tutti perfettamente in sintonia. Un set che esprime complicità, esperienza, talento ed anche divertimento.
Ciliegina sulla torta il Pym di Mark Hamill, un apparente malvagio neutrale dal cinismo tagliente che cattura, terrorizza e affascina. Un feroce avvocato senza scrupoli, motivato da un fuoco oscuro interiore ma che, paradossalmente, conserva una propria etica, molto più di qualsiasi altro Usher. Forse di lui avremmo voluto perfino qualcosa in più.
Dopo il non troppo convincente The Midnight Club, che vi abbiamo recensito qui, è davvero una gioia rivedere Mike Flanagan all’apice del suo talento, regalarci per la spooky season uno di quei rari prodotti per cui vale davvero la pena rinnovare l’abbonamento Netflix. La Caduta della Casa degli Usher è senza ombra di dubbio uno dei migliori prodotti della stagione (e forse anche dell’anno). Da vedere, possibilmente, in una notte buia e tempestosa a lume di candela. E attenzione a cosa, o chi, potrebbe apparire fuori dalla vostra finestra. Ma non preoccupatevi troppo, a meno di sentire un sinistro stridio che, più o meno, sembra dire:
Nervermore!
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Mike Flanagan si conferma essere il "re del terrore" nelle serie TV. La Caduta della Casa degli Usher è una delle sue opere più complesse, interessanti e terrificanti. Un terrore non esplicito ma che riprende la lezione del gotico, striscia nell'orecchio dello spettatore e germoglia in un valzer di inquietudine ed angoscia. Le tematiche cardine dell'autore e regista ritornano, usando gli Usher come spunto per approfondire più opere di Edgar Allan Poe, utilizzando i simboli e le metafore per rappresentare i veri demoni, i veri mali del nostro mondo, tra capitalismo ed egoismo. Una serie TV magnetica e scorrevole, da guardare durante le notti buie e tempestose.
-
Voto Screenworld