Riportare in alto i fasti di Game of Thrones sembrava un’impresa impossibile fino a poco tempo fa, eppure House of the Dragon è riuscito a superare ogni più rosea aspettativa. La prima stagione dello show in esclusiva su Sky e NOW ha riportato le luci della ribalta su Westeros, ma l’ha fatto con una storia lunga decenni: un dedalo di intrighi, tradimenti e guerre che hanno segnato il destino della casata Targaryen tra fuoco e sangue. Forte della presenza di George R.R. Martin come produttore esecutivo, House of the Dragon ha potuto cogliere un’opportunità più unica che rara: romanzare liberamente un “semplice” resoconto di eventi, redatto da prospettive differenti e per questo non del tutto affidabile.
Lo showrunner Ryan Condal è riuscito a riunire una produzione e una writing room impressionante per HBO, rendendo le prime fasi della famigerata Danza dei Draghi un dramma epico in piena regola. Il successo della serie ha portato all’immediato rinnovo per diverse stagioni, ma non tutto sembra essersi mosso nella giusta direzione. La seconda stagione dello show si è appena conclusa lasciando dietro di sé più attese che conferme: quella che doveva essere la stagione del caos e del conflitto sul campo di battaglia si è invece rivelata una stagione di dubbi e conflitti interiori, con pochi picchi e fin troppe incertezze. Uno spettacolo per gli occhi e per gli addetti ai lavori, colpevolmente ridimensionato da una scrittura altalenante.
Genere: Fantasy, Drama
Durata: 8 episodi da 60 minuti c/a
Uscita: 17 giugno 2024 (Sky, NOW)
Cast: Emma D’Arcy, Matt Smith, Oliva Cooke
Quando danzano i Draghi
L’inizio della seconda stagione lasciava presagire un intento corale, spostandosi fra le varie terre del continente per mostrare le ultime fasi cruciali prima della guerra totale: dopo lo scioccante finale della prima stagione, l’erede al trono Rhaenyra Targaryen (Emma D’Arcy) è avvolta dal dolore, ma brama vendetta contro gli Hightower e i fratellastri Aegon (Tom Glynn-Carney) ed Aemond (Ewan Mitchell). Ogni evento si concentra quindi sulle mosse decisive per potersi assicurare una posizione di vantaggio nel conflitto che verrà: l’esito della Danza dipende quasi esclusivamente dai Draghi, ma le mosse degli uomini si riveleranno decisive. Chi si assicura il Trono si assicura il potere, ma soprattutto la speranza di una pace duratura.
I personaggi che sono cresciuti nella prima stagione assaggiano per la prima volta l’orrore della guerra: mentre il popolo soffre, vita e morte cominciano a scambiarsi sguardi fugaci che tentano gli stolti e terrorizzano i più attenti. La guerra spaventa tutti, specie quando sono i Draghi a combatterla, e l’intera stagione esplora tutte le opzioni possibili prima di accettare che il conflitto sia l’unica soluzione possibile. Un aspetto che si era già paventato, con ben più pathos, nella scorsa stagione, che qui rivive in una forma più personale nel percorso di ciascun personaggio. Una scelta creativa che si rivela intelligente da una parte, ma discutibile dall’altra: la Danza dei Draghi comprende una sequela di eventi talmente intensa da poter risolversi nel corso di poche stagioni, ma le scelte di HBO hanno portato a dover colmare diversi tempi altrimenti morti con approfondimenti e riflessioni non sempre azzeccate.
Una guerra più intima
I colpi di scena non mancano, e anzi quando si presentano riescono anche a essere memorabili, ma prendono forma come i picchi di un’altra stagione transitoria. Se i primi episodi della serie passavano rapidamente da un anno all’altro per raccontare le origini degli schieramenti nella maniera più completa possibile, i nuovi episodi di House of the Dragon vivono all’estremo opposto, con pochi eventi cruciali diluiti in una lunga sequela di intrecci. Approcciare diversi punti di vista tenta sicuramente chi osserva e permette a quasi tutti i personaggi di emergere, ma molte storyline crollano sotto il peso di lungaggini e incomprensioni.
Tralasciando anche solo per un istante la logica di certi sviluppi narrativi, ciò che più sorprende è come la caratterizzazione di alcuni personaggi sia sempre più cangiante: molti autori della serie hanno approfittato del proprio spazio per offrire la propria visione, portando soprattutto i personaggi dei Neri a incespicare sulle incongruenze di penne diverse. Rhaenyra e Daemon, in particolare, passano dalla fierezza al tormento senza mantenere i tratti fondanti del proprio carattere, di cui si vedono alcuni cenni soltanto nei momenti più vicini alla narrazione di Martin.
Le aggiunte stilistiche più spinte non trovano reale utilità ai fini della narrazione: tra intimità rubate e baci fugaci, ma anche tra piccole citazioni e un eccessivo uso del foreshadowing per stuzzicare l’attenzione di fan e curiosi, la sensazione generale è che si sarebbe potuto comprimere molto più facilmente – specialmente considerando le sole otto puntate a disposizione.
Tra luci e ombre
Considerando l’imponente produzione messa in moto per la serie, il rammarico si fa ancor più grande pensando a quei momenti in cui tutti gli elementi sono al posto giusto. Gli aspetti più interessanti della stagione si concentrano nel brivido delle prime volte, dalle ombre di Harrenhal all’arrivo di nuovi Draghi, e occasionalmente anche negli sviluppi di alcuni comprimari. I figli di Alicent e Rhaenyra diventano per larghi tratti i veri protagonisti di questi episodi, e l’Aegon di Tom Glynn-Carney, in particolare, riesce a rubare la scena con uno sviluppo simile a quello di Viserys nella prima stagione. Una cosa è certa: le interpretazioni del cast tengono a galla House of the Dragon anche nei suoi momenti più bui.
Se non altro, lo show sa ancora sorprendere quando c’è qualcosa di valore da raccontare: quando gli eventi della Danza sono cruciali, gli autori stuzzicano alla grande lo spettatore con episodi carichi di significato. Basta un cenno di affetto o una scena più sentita per credere che ci sia ancora spazio per il valore dei legami in questo mondo dannato, ma ogni speranza rimane soffocata in un mare di ambiguità in cui l’opportunismo offre più stimoli della logica. Per quanto possa sembrare il contrario a volte, Neri e Verdi non sono Bianco e Nero: l’aspetto più interessante della serie è sempre legato alla grigia fallibilità degli uomini, e i Targaryen non fanno eccezione. Con i loro Draghi potranno anche sembrare Dei in terra, ma la loro umanità li porterà comunque alla rovina.
Il dilemma dell’autorialità
Il problema “autoriale” di questa stagione, ma anche di molte altre serie recenti, è soprattutto economico: il mondo dell’intrattenimento moderno, specie quello americano, è soggiogato da una tendenza capitalistica da cui raramente si può sperare di sfuggire. Se un’operazione funziona, va sfruttata finché possibile, anche a costo di diluire la narrazione e comprometterne il risultato finale. Forse parlare di morte della creatività è ancora prematuro, ma in un mondo in cui anche le migliori storie devono adattarsi a decisioni esterne i rischi sono sempre più grandi. Il successo non è statico, come spesso si convincono ai piani alti, ma dinamico, e le recenti scelte di Ryan Condal (con lo stesso Martin che non prenderà parte alle prossime stesure) rischiano seriamente di compromettere la direzione creativa della serie.
Di certo, dopo questa stagione, non ci saranno più attenuanti: starà alla writers room il compito di trovare l’equilibrio tra produzione e qualità e raggiungere una sintesi definitivamente concreta. Anche di fronte a simili difficoltà, se House of the Dragon continua a funzionare è perché nonostante tutto ricorda ancora cosa significhi guardare con occhi attenti ai concetti di vendetta e potere. In questo senso, l’aspetto più affascinante della gestione di Condal resta il tentativo di portare avanti quell’interesse tutto martiniano di guardare alle donne in un mondo dominato dagli uomini: il cuore della Danza, almeno nella serie, resta il dualismo tra Rhaenyra e Alicent, la Principessa e la Regina.
Una scelta coraggiosa, sentita, che speriamo realizzi le sue ambizioni di concretezza senza compromessi. La Danza dei Draghi ha ancora un fascino irresistibile, e quelle due donne destinate a danzare in eterno in un abisso di legami spezzati e sentimenti soffocati dal dovere meritano un adattamento all’altezza della loro storia.
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La recensione in breve
House of the Dragon poteva lasciare definitivamente il segno, ma le scelte produttive di HBO hanno portato a un'ulteriore stagione preparatoria con pochi picchi e molti dubbi. Per quanto gli autori abbiano provato a evitare problemi troppo grandi, i nuovi episodi dello show sono tanto belli da vedere quanto incerti nell'intreccio. Il risultato è un prodotto spettacolare nella resa scenica, ma vivo soltanto a tratti. Non ci sono più attenuanti: la prossima deve essere la stagione intensa che tutti desiderano.
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Voto Screenworld