Correva l’anno 2008, e il cineasta messicano Guillermo del Toro annunciava la sua intenzione di portare sullo schermo uno dei capisaldi della letteratura italiana, salvo poi andare incontro a varie difficoltà legate al budget, risoltesi poi nel 2017 quando Netflix, con cui il regista ha un rapporto privilegiato per quanto concerne l’animazione, ha accettato di finanziare il progetto. Un progetto che, prima di arrivare in streaming, ha comunque deliziato gli spettatori in sala, in particolare a eventi come il London Film Festival e il Lumière a Lione, dove Thierry Frémaux da alcuni anni porta i lungometraggi Netflix non potendoli, per regolamento, avere in programma a Cannes. E proprio grazie all’evento francese abbiamo potuto vedere sul grande schermo ciò di cui si parla in questa nostra recensione di Pinocchio di Guillermo del Toro (titolo obbligatorio per non confondere il film con la versione di Robert Zemeckis, realizzata nello stesso anno per Disney+ e di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione).
Pinocchio di Guillermo del Toro
Genere: Animazione, fantastico
Durata: 114 minuti
Uscita: 9 dicembre 2022 (Netflix)
Cast: Gregory Mann, Ewan McGregor, Christoph Waltz, David Bradley, Tilda Swinton, Ron Perlman, Cate Blanchett, Finn Wolfhard, Tim Blake Nelson, Burn Gorman, John Turturro
La trama: prima i burattini!
Siamo in Italia durante il ventennio fascista, e Geppetto crea Pinocchio come parziale sostituto del figlio biologico Carlo, morto durante il primo conflitto mondiale. Quando il burattino diventa senziente, il governo locale impone che lui vada a scuola, ma le cose non vanno esattamente come previsto. Soprattutto perché, quando viene fuori che Pinocchio è sostanzialmente immortale, si pensa di renderlo strumento di guerra ed elemento di propaganda per la gloria dell’esercito mussoliniano. Lui, in tutto questo, pensa solo a tornare a casa, ma la strada per ritrovare il padre sarà lunga e tortuosa…
Il cast: sento le grandi voci
Pinocchio ha, in originale, la voce del giovane Gregory Mann, mentre il grillo parlante, che in questa versione si chiama Sebastian, e Geppetto sono rispettivamente Ewan McGregor e David Bradley (quest’ultimo già alla corte di Guillermo del Toro in The Strain e nel franchise animato Tales of Arcadia). Christoph Waltz è il Conte Volpe, un personaggio che unisce le caratteristiche del gatto, della volpe e di Mangiafuoco, e Ron Perlman, attore-feticcio del regista, è un villain nuovo di zecca, ossia il Podestà, ufficiale fascista e padre di Lucignolo (doppiato da Finn Wolfhard). La fata, non esattamente turchina, ha il timbro vocale di Tilda Swinton, mentre Cate Blanchett è Spazzatura, l’assistente di Volpe. Completano il cast, in ruoli minori, Tim Blake Nelson, Burn Gorman e John Turturro.
L’ossessione di una vita
“I believe in cinema, and I believe in monsters”, disse Guillermo del Toro nel 2017 ritirando il Leone d’Oro a Venezia per The Shape of Water, un film che riassumeva benissimo la sua filosofia artistica. Incapace, per sua stessa ammissione, di realizzare un progetto dove non ci sia di mezzo una qualche creatura e/o presenza demoniaca o spettrale, il cineasta messicano insegue da sempre due progetti specifici, due facce della stessa medaglia in termini di racconti sul rapporto genitore-figlio e allegoria paranormale del processo creativo: adattamenti di Pinocchio e Frankenstein. Il primo è ora stato portato a compimento, e la natura fortemente personale di questo lavoro che ha richiesto anni di fatica è evidente in ogni inquadratura, e sottolineata nei titoli di coda con la dedica ai genitori del regista. Una dedica che ora ha una connotazione involontariamente malinconica: la madre dell’autore è venuta a mancare poco dopo la prima mondiale a Londra.
L’arte dell’artigiano
Per portare sullo schermo la sua versione del libro di Collodi, il regista ha deciso di avvalersi dell’animazione stop motion, processo coerente con la natura stessa di Pinocchio poiché prevede che i pupazzi si muovano senza che lo spettatore noti i fili (reali o metaforici che siano). E per ottenere tale risultato, Guillermo del Toro si è rivolto, tra i vari collaboratori produttivi di un certo peso, a uno dei massimi esperti nell’ambito della marionettistica, la Jim Henson Company (che aveva già contribuito, ma solo nel reparto tecnico realizzando il pupazzo principale, al film del 1996 dove Geppetto aveva le fattezze di Martin Landau). Un’alleanza per certi versi scolpita nel destino, dato che i Muppets sono famosi per aver reinterpretato a loro modo classici della letteratura, e c’è un che di “muppetoso” nel ruolo da narratore di Sebastian, puntualmente maltrattato da forze esterne. Ma anche in quel maltrattamento c’è tutto l’amore del regista per l’animazione, di cui sfrutta le potenzialità per applicare il suo tocco fantastico con tinte horror a materiale che già di suo non ne era del tutto privo. E in ogni singolo movimento, di macchina o di personaggio, si sente la passione che in occasione di un evento dedicato ai titoli Netflix all’edizione 2022 del Festival di Annecy – principale kermesse mondiale dedicata all’animazione – lo ha portato a urlare, con reazione entusiasta da parte del pubblico in sala, “Animation is not a fucking genre! It’s art!” (L’animazione non è un fottuto genere! È arte!).
Ennesimo ma unico
Sulla falsariga dei miti e delle fiabe che vanno incontro a rielaborazioni varie, il film raccoglie elementi sparsi di adattamenti precedenti (incluso A.I. di Steven Spielberg), ma tramutati in maniera tale da non risultare evidenti (basti pensare all’apparato musicale, con Alexandre Desplat e il regista, che ha scritto i testi delle canzoni, che si allontanano da qualunque suggestione disneyana). Ma è anche, profondamente, un tassello imprescindibile della poetica deltoriana, una sorta di terzo atto del ciclo di racconti fantastici su sfondo storico, con la Spagna della guerra civile (La spina del diavolo) e dei primi anni del franchismo (Il labirinto del fauno) sostituita dall’Italia di Mussolini, cornice ideale per mettere in scena – in tutti i sensi – la vicenda di un burattino che rifiuta di farsi comandare. È il Pinocchio più crudele, più immaginifico, più libero, più divertente, più commovente. Una riflessione sulla vita e sulla morte che, dopo il passo falso di Zemeckis per la Disney, arriva a mettere la parola “fine” sui dolori terreni della creatura collodiana. Molto probabilmente non sarà l’ultimo adattamento di questa storia. Ma avrebbe molto senso se lo fosse.
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La recensione in breve
Guillermo del Toro firma quella che forse è la sua opera più personale in assoluto, e uno degli adattamenti più riusciti, inquietanti, immaginifici, coinvolgenti e incantevoli del libro di Collodi.
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Voto ScreenWorld