Presentata in occasione della 74ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, nella sezione Berlinale Series, Dostoevskij è la prima miniserie ideata, scritta e diretta da Fabio e Damiano D’Innocenzo. I gemelli registi romani firmano un noir cupo, crudo e nichilista, edificato intorno alla cornice codificata del classico thriller investigativo poliziesco.
Il protagonista di Dostoevskij è Enzo Vitello, un poliziotto tormentato dalla vita e da un complicato rapporto con sua figlia Ambra, con la quale non riesce da tempo ad avere rapporti. L’improvviso avvento di Dostoevskij, un efferato serial killer che lascia macabre lettere sulle sue cruente scene del delitto, si rivelerà la scintilla decisiva che donerà un nuovo senso all’oscura esistenza di Enzo.
Genere: Noir, thriller, poliziesco
Durata: 6 episodi/50 minuti ca.
Uscita: 27 novembre 2024 (Sky, NOW)
Cast: Filippo Timi, Carlotta Gamba, Gabriel Montesi
Le pene dei padri, i dolori dei figli
Enzo Vitello, interpretato da un enorme Filippo Timi, è un uomo estinto, un padre divorato dalla propria tragedia, spogliato dai demoni di un passato fatto di dolore. Il contraltare emotivo del livoroso protagonista è Ambra, la giovane figlia interpretata dall’emergente (ed eccellente) Carlotta Gamba: una ragazza smarrita in un limbo di vuoto sentimentale ed esistenziale, persa in una vita infelice che non pare essere la sua, che le sta fuggendo via. Oscilla intorno a questi due personaggi il pendolo emozionale di Dostoevskij, che sotto questo profilo si caratterizza anche come una dolorosa storia padre-figlia. Il racconto di un rapporto di assenza e mancanza, irrisolto e irrisolvibile, capace di lasciare nel cuore profonde e insanabili cicatrici.
Tuttavia, la serie ruota attorno ad un’altra relazione che per Enzo Vitello si rivelerà cardinale: quella con Dostoevskij. Un legame dalle sfumature morbose, perverse e ossessive, instaurato proprio grazie alle lettere che questo violento serial killer, un po’ filosofo e un po’ nichilista, lascia sulle sue scene del crimine dopo ogni delitto. I D’Innocenzo sfruttano un archetipo narrativo tipico del genere, creando una dicotomia in cui Enzo e Dostoevskij rappresentano due facce della stessa medaglia. Questi uomini marci sono il riflesso l’uno dell’altro, prodotti di un mondo frustrato e decadente. Per questa ragione i due personaggi, posti in teoria agli antipodi della bussola morale, trovano nel contenuto malato della loro malsana corrispondenza una forte connessione mentale.
Un mondo disegnato da bambini pigri
Esiste un fil rouge che tiene insieme, saldamente collegate, tutte le opere plasmate da Fabio e Damiano D’Innocenzo. Un filo rosso facilmente individuabile proprio in quegli scenari, così caratteristici e caratterizzanti, che i due gemelli cineasti sono capaci di tratteggiare. Per questo sembra quasi che i degradati sobborghi di Roma Est di La terra dell’abbastanza, l’immaginaria periferia di Spinaceto di Favolacce e gli squallidi dintorni laziali di America Latina possano costituire, insieme all’astratto e indefinito paesaggio di Dostoevskij, un’unica grande realtà del dolore, della sofferenza e della pena.
Esistenze arrugginite, marcite e spezzate popolano un non-mondo governato da atmosfere rarefatte, un non-luogo che potrebbe essere ovunque e contemporaneamente da nessuna parte. La scarna realtà circostante, infatti, appare come un purgatorio di decadenza e di stanchezza, di miseria e di degrado. Un limbo di meschinità e di squallore precisamente definito dalle persone che lo abitano. Come se quello stesso marciume che avvelena il loro animo e dimora nel loro cuore nero si riflettesse proprio con la realtà slavata che li avvolge.
Un orrore necessario
Case diroccate, fatiscenti, immerse in lande grigie che paiono paludi fangose infestate da rottami e carcasse; poi cave desolate che sembrano discariche, di tanto in tanto anche anonimi diner e amorfi ristorantini che somigliano a rovine nel deserto; in lontananza, invece, lucubri e macilenti centri abitati, tuguri di lerciume, macerie e disordine. La sporcizia domina e come un virus infetta tutto ciò che incontra. Un mondo emaciato, spoglio e malinconico disegnato da bambini pigri con pochi colori spenti e foschi. È questo l’affresco nichilista minuziosamente delineato da Fabio e Damiano D’Innocenzo: un ritratto atto a rappresentare lo scenario ossessivo e romantico, nostalgico e malinconico, perverso e malato di Dostoevskij.
L’architettura dello squallore, ove il paesaggio circostante diviene personaggio, forse addirittura reale protagonista del racconto, rappresenta infatti la chiave di volta per comprendere davvero la prima miniserie dei registi. Ancora una volta, Fabio e Damiano D’Innocenzo firmano un’opera complessa, intensa e stratificata capace di affondare le mani nell’oblio più torbido, oscuro e profondo di un’umanità malata e consumata, degradata e repressa. Una massa malvagia e rabbiosa, immorale e amorale, vittima dei propri istinti e delle proprie inibizioni, dei propri sensi di colpa e delle proprie inadeguatezze. Un’umanità riflesso della propria decadente realtà – e per questo tragicamente condannata a convivere con i propri demoni.
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Conclusioni
I Fratelli D'Innocenzo firmano un noir oscuro e nichilista con protagonista un eccellente Filippo Timi. La prima miniserie dei gemelli registi è un prodotto assolutamente in linea con l'interessante idea di cinema fin qui proposta. Dostoevskij è senza dubbio una delle produzioni italiane migliori del 2024.
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Voto ScreenWorld