Un re più leggero della sua corona. Un re ingobbito, rinsecchito, morente. Un re consumato dalla più grande responsabilità che il potere possa dare a un uomo: scegliere. Prendere decisioni è un fardello troppo pesante da gestire senza conseguenze. Troppi pensieri, troppi timori, troppa angoscia. E allora ecco un sovrano talmente sofferente da vivere la salita al trono come la scalata di una ripida montagna. È impossibile parlare dell’ottavo episodio di House of the Dragon senza ripensare di continuo alla figura tragica di Re Viserys.
Un personaggio esploso nella sua forza drammatica proprio all’apice della sua debolezza fisica. Un punto esclamativo che ci ha fatto riflettere sul nostro modo di guardare le serie tv e saper leggere i personaggi. Ecco perché nell’arco di otto pazienti episodi Re Viserys è diventato l’emblema di House of the Dragon e della nobile arte del saper aspettare.
La passione di Viserys
Torniamo nella sala del trono di Approdo del Re. Torniamo nella Via Crucis di Viserys, che si trascina con le ultime forze rimaste nel suo corpo che cade a pezzi come la sua famiglia. Ecco, la grandezza del personaggio interpretato in modo magistrale da Paddy Considine (qualcuno dia un Emmy a quest’uomo) è quella di essere lo specchio del suo stesso casato. Come una specie di dipinto di Dorian Gray che incarna tutti i mali di una famiglia fatta a brandelli, che cade a pezzi come il fantasma di questo re fatiscente.
Un re che sin dall’inizio ha fatto del suo corpo una cartina al tornasole del proprio regno. Un regno all’inizio solido, pacifico, lucente, rassicurato dalle imponenti ali dei draghi. Proprio come un sovrano in piena salute, in pieno possesso delle sue capacità di intendere e di volere. Infatti, quando abbiamo conosciuto Viserys nel primo episodio, lo abbiamo trovato subito davanti a un bivio tremendo: scegliere tra la vita di sua moglie e quella di suo figlio. O meglio, tra la morte di sua moglie e quella di suo figlio. Sceglierà la prima proprio per il bene del suo casato, per garantire ai Targaryen un futuro saldo come solo un figlio maschio sa fare. Così non sarà.
E infatti l’inizio della fine, per Viserys, arriva proprio con la scelta rivoluzionaria di nominare sua figlia Rhaenyra come erede al Trono di Spade. Da quel momento in poi il suo corpo inizierà a riempirsi di piaghe, a perdere dita, ad affaticarsi a ogni gesto e ogni frase. Il potere come malattia psicosomatica che affligge gli uomini. Ecco cosa ci ha insegnato questo re sempre più shakespeariano nella sua tragica decadenza. Vittima della sua stessa rivoluzione, Viserys ha tentato con tutte le sue forze di tenere unita una famiglia allo sbando.
Un covo di odio e di lotte intestine ormai impossibile da gestire. Una fatica immane rappresentata alla perfezione dall’ultimo episodio, in cui Viserys compie un ultimo, commovente, straziante gesto per dare stabilità alla sua famiglia. Che non è solo salire al trono per imporre il suo volere, ma anche guardare in faccia per l’ultima volta il suo lascito e la sua eredità. Nella splendida scena della cena di famiglia tra serpi addomesticate, in cui Viserys si toglie la maschera d’oro per farsi guardare nell’unico occhio che gli è rimasto, c’è tutta la tenera disperazione di un uomo che si illude di poter morire con il cuore in pace.
La pazienza dei giusti
Sette episodi distratti da due personaggi femminili carismatici. Sette episodi alle prese con Alicent e Rhaenyra messe in copertina per dare libero sfogo al loro duello pieno di rancore. Da una parte la regina vittima di un sistema patriarcale. Dall’altra la principessa che ha osato seguire il suo cuore contro tutto e tutti. In mezzo alle loro tempeste, però, ha sempre navigato il mite Viserys, rimasto spesso in disparte, relegato a co-protagonista silenzioso. Un personaggio poco vistoso, più attento a gestire che a comandare. Un personaggio che è stato raccontato con una pazienza certosina, in modo accurato ma riflessivo. Senza urlare mai. Proprio come si fa nei grandi romanzi di cui ci si gusta ogni singola pagina.
Il nobile esempio di Viserys porta con sé il fascino delle immagini che raccontano senza dire niente. Di un corpo sempre più logoro che rappresenta uno stato d’animo, di un uomo che parla con suo fratello attraverso una corona riposta con affetto, di sguardi criptici lanciati verso il pubblico per essere interpretati. Nell’epoca in cui tutto dev’essere spiegato e in cui pretendiamo che ogni cosa sia lampante sotto la nostra pretesa di sapere, un personaggio ostico come Viserys è oro colato sui nostri occhi. Perché un personaggio rimasto sotto traccia per mesi interi, ci ricorda quanto sia bello portare pazienza e affascinante leggere tra le righe delle intenzioni e del non detto. Allora, forse, l’eredità di Viserys non sarà solo un’illusione di pace, ma un pubblico che sa banchettare assaporando davvero le grandi storie.
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