Arrivati a questo punto c’era solo bisogno di conferme, anche se avevamo pochi dubbi ancora, a dire il vero, e infatti il senso di meraviglia e sorpresa colpisce forte appena inizia il sesto episodio di Ahsoka. Basta la prima inquadratura per abbassare le nostre difese e ritrovarci incapaci di resistere.
Impossibile non sorridere. Impossibile non aprire di più gli occhi, come a volerli riempire di più di quello che vediamo sullo schermo. Impossibile non ripensare, dopo tanto tempo dall’ultima volta, a quanto sia bello Star Wars.
Già, perché negli ultimi tempi il brand si era fatto molto altalenante, alternando prodotti e storie riuscite a forti delusioni. Così cocenti da smorzare quell’amore che, fino a qualche anno fa, sembrava immortale ed eterno.
Arrivata al sesto episodio (con solo due settimane a separarci dal finale), la serie tv Ahsoka è un ritorno di fiamma inaspettato, per quanto sperato. Che arriva forse con un tempismo sbagliato, quando molti fan disillusi si sono allontanati dal brand, ma che rappresenta tutto quello che dovrebbe essere Star Wars.
L’erede dell’impero
Ci sono tre modi per raccontare una storia nell’universo di Star Wars. Il primo è quello nostalgico: la riproposizione dell’usato garantito, la capacità – anche delicata e tutt’altro che banale – di offrire al pubblico tutto quello che si aspetta dalla saga, reiterando alcune macrostrutture e alcuni topoi senza stravolgere quasi nulla. È il modello “alla J.J. Abrams”, quello che, se le cose vanno bene, dà vita a Il Risveglio della Forza e che, quando va male, partorisce opere superficiali e non del tutto riuscite come L’ascesa di Skywalker. Senza uno sguardo forte dietro la macchina da presa, però, questo modello crea stagnazione. Affossa il brand in una palude melmosa, restringe sempre più le possibilità narrative, schiaccia lo spettatore in una morsa sempre più soffocante. Perché Star Wars funziona quando va avanti, non quando rimane fermo.
Allora ecco il secondo modo di approcciarsi a Star Wars: rompere gli schemi e destrutturarlo, pur rispettandone l’anima. È quello che ha fatto Rian Johnson con il tanto criticato (ma secondo noi bellissimo, proprio per questo motivo) Gli ultimi Jedi, un film che prendeva la lezione di George Lucas più pura e rischiosa: non sedersi su quanto già esiste, ma espandere la visione, osare. Sì, la nostalgia è un raggio traente, ma la novità è un salto nell’iperspazio. Tuttavia, saltare nell’ignoto può spaventare e così questo modo, per quanto possa essere il più interessante e stimolante, è anche il più complicato da attuare.
Infine, terzo e ultimo modo: cambiare la prospettiva del racconto. È l’approccio avvenuto con Rogue One e Andor, che hanno messo in scena storia dall’anima fortemente starwarsiana, ma cambiandone il punto di vista. Se siamo sempre stati abituati a vedere la saga con un occhio “dall’alto”, nello spazio, ad altezza astronavi, qui ci ancoriamo al terreno rimanendo incollati alle persone comuni. In questo caso Star Wars si fa più umano, più fragile, anche più spaventoso (ricordate tutti quanto fa paura la comparsa della Morte Nera vista dal basso?), cambia pelle e offre nuove possibilità.
Dave Filoni ha capito che l’unica maniera per proseguire il racconto di Star Wars è quello di creare una sintesi tra questi tre approcci. La serie Ahsoka sta tutta qui, nell’unione tra la familiarità e la novità, tra il rispetto e il rischio, e il risultato è unico. Perché, complici i legami con la saga degli Skywalker e la presenza di personaggi che si sono fatti strada, grazie alle serie animate, nel cuore degli appassionati, Ahsoka rassicura e stravolge. Fa quello che più di quarant’anni fa ha fatto George Lucas per la prima volta.
Un suono tra le onde
Quando si parla di Star Wars spesso si fa un errore di superficialità, credendo che ci siano determinati elementi, intramontabili, impossibili da mancare, che servono assolutamente affinché la storia raccontata sia considerata degna del brand. Ahsoka, quell’errore, ce lo sta facendo capire. Perché non sono le spade laser a dare vita a Star Wars, ma il loro suono. Non è l’evento epico in sé, ma come questo influenza i personaggi e le loro scelte. Lo spettacolo e l’epica fine a sé stessa non bastano per costruire quel legame necessario a portare avanti una saga. Guardando Ahsoka si percepisce l’amore di Filoni per la narrazione: sa come creare il mistero, sa come caratterizzare al meglio i personaggi (compresi i villain: da quanto non vedevamo un personaggio carismatico come Baylan Skoll, nemico dei nostri eroi, ma pieno di tonalità grigie?), sa far percepire una visione d’insieme (elemento, questo, che è mancato parecchio nelle ultime produzioni Lucasfilm).
Ma, soprattutto, Ahsoka funziona perché dentro sentiamo il suono di Star Wars. Quello originale. Quel rumore di fondo che ci crea familiarità, quell’aria di avventura classica che non necessita di destrutturare nulla e che fa parte dello spirito della saga. Nonostante i forti legami con The Clone Wars, Rebels e l’esalogia originale, Ahsoka ha uno spirito puro tutto suo. Più innovativo della nostalgia, ma meno di rottura, la serie accoglie la semplicità narrativa dell’originale Star Wars, caricandola di emozioni nei riguardi dei personaggi.
Nel quinto episodio, un personaggio riesce a percepire il rumore di un combattimento di spade laser confuso tra le onde del mare. Dave Filoni ci ha regalato un paio di cuffie ad alto volume, in modo da poterlo sentire anche noi, ben chiaro.
Salto nell’iperspazio
Però, parliamoci chiaro: Star Wars ha bisogno anche di cambiare. Bisogna prendere coraggio, arrivati a questo punto, e fare quel famoso salto nell’ignoto, perché di pianeti di sabbia, di scontri tra ribelli e stormtrooper, di Jedi e Sith che si alternano dietro ai soliti quattro nomi di famiglia ne abbiamo avuto abbastanza. È stata la sfida più grande per George Lucas nel realizzare la trilogia prequel e anche la più rischiosa. Perché un universo sulla carta così esteso deve prima di tutto esserlo davvero. Possiamo essere catapultati improvvisamente nell’iperspazio, con una violenza improvvisa tale da stordirci e avere nostalgia di casa nostra. Oppure possiamo essere accompagnati per mano e piano piano assistere a un cambiamento epocale nella lore di Star Wars: più galassie visitabili, più pianeti, più Storia, più creatività. Ahsoka apre a un universo di possibilità narrative, più di qualsiasi Multiverso, vendendocelo subito come qualcosa di terribilmente affascinante.
Ora, una volta conclusa la visione del sesto episodio, possiamo proprio dirlo: che bello! Che soddisfazione vedere un vecchio amore come Star Wars riaccendersi in questo modo, nonostante le crisi e gli allontanamenti. Che piacere viscerale sapere che evolvere un brand e il proprio universo narrativo non solo è necessario, ma anche appagante. Quasi fosse un riscatto per i passi falsi. Quasi fosse un regalo per ringraziarci della pazienza. Quasi fosse una dichiarazione d’amore, che ascoltiamo a sorpresa, ma che dentro di noi conoscevamo già. Ci meritiamo serie come Ahsoka, noi che non abbiamo mai smesso di guardare in alto, verso la galassia. Che sta sempre lì, nel posto più bello, lontano lontano.
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