Nessun autore contemporaneo può vantare lo stesso gusto per il macabro, lo stesso tocco funereo di Tim Burton. L’ultimo progetto che ha coinvolto il regista di Burbank è stato Mercoledì, serie nata in collaborazione fra Netflix e lo studio MGM, che ha raggiunto risultati stratosferici battendo ogni record nell’ambito delle produzioni in lingua inglese.
Nei primi dodici giorni Mercoledì è stata vista da 115 milioni di spettatori per un totale di 752 milioni di ore di visualizzazione, superando già a partire dalla prima settimana le visualizzazioni registrate dalla quarta stagione di Stranger Things. In Italia occupa il primo posto nella top 10 delle serie più viste dopo aver prepotentemente spodestato i due giganti di Ryan Murphy, The Watcher e Dahmer.
Ma il successo di Mercoledì potrebbe anche essere misurato in base a come e a quanto sia riuscita a varcare i confini della sua piattaforma d’origine. E, anche qui, pochi sono i dubbi: sono settimane che ormai il volto della protagonista Jenna Ortega impazza sulle principali piattaforme di social media, prima sotto forma di meme – Mercoledì rimane, anche per le nuove generazioni, il personaggio cool che è sempre stato – e poi di video virali in cui i giovani spettatori giocano a imitare le mosse di ballo del quarto episodio.
Chi è la Famiglia Addams
Un po’ per un passaparola continuamente attizzato dalla diffusione inarrestabile di clip e immagini, un po’ grazie a un’astuta e aggressiva campagna di marketing, ma soprattutto grazie alla potenza persuasiva che icone come quelle della Famiglia Addams si portano dietro, Mercoledì ha monopolizzato le attenzioni e le discussioni del pubblico. Aver pubblicizzato questo prodotto come “la serie di Tim Burton” ha sicuramente aiutato: dopo le digressioni fantastico-avventurose disneyane e dopo quella drammatico-biografica di Big Eyes pensavamo tutti che la materia messa a disposizione dall’universo grottesco e mortifero degli Addams avrebbe potuto dare a Burton ciò che film incerti come Miss Peregrine e Dark Shadows, ombre (appunto) di ciò che il regista fu, non sono riusciti a dare. Si tratta di un universo caleidoscopico che nasce da vignette di Charles Addams del ‘38 e che negli anni Sessanta, con la proliferazione del fantastico e dell’alieno in ogni sua forma, hanno trasversalmente invaso ogni media, dalle serie televisive ai film, dai cartoon ai videogiochi. Ma è l’immaginario del ’91, quello del film diretto da Barry Sonnenfeld e prodotto da Scott Rudin, che troneggia incontrastato nei nostri ricordi, con la Morticia di Anjelica Huston a plasmare perfettamente una tombale femme fatale mai vista prima.
Mercoledì è davvero una serie “di Tim Burton”?
Eppure il ruolo artistico rivestito da Burton nella realizzazione di Mercoledì è appena più che marginale: la serie conta sull’apporto dell’amato autore di Beetlejuice per la regia dei primi quattro episodi (oltre che per la produzione esecutiva) mentre la scrittura è affidata a quei Miles Millar e Alfred Gough a cui si deve Smallville. Voler incorporare lo stile del re del macabro-gotico dovrebbe dunque essere funzionale a ciò che si racconta, a una visione ben chiara, ma in Mercoledì non accade questo. È proprio da un punto di vista prettamente registico, infatti, che i primi quattro episodi si accordano in modo complementare ai seguenti nonostante Burton lasci il timone.
Più che suggerire una strategia di coerenza stilistica, che è pure necessaria, fra una prima e una seconda parte della stagione, questo ci spinge a riflettere su chi sia oggi Tim Burton e su quello che intendiamo quando parliamo di autorialità. Analizzare la regia non significa trovare un filo conduttore fra il centro tematico di un’opera e l’altro nel percorso ultimato di un regista; significa, ancor prima, rilevare quella firma artistica che porta il regista a compiere una scelta, piuttosto che un’altra, nel processo di messa in scena di una sceneggiatura.
Una regia anonima
Cos’è che la firma di Burton apporta ai primi quattro episodi? In che modo il suo contributo si differenzia da quello altrui, e in quale misura diviene imprescindibile nella messa in scena di Mercoledì? Sfortunatamente è facile sottolineare dei veri e propri pattern nelle scelte di regia che si ripetono in egual modo dalla prima sezione “burtoniana” alla seconda: dalla semplice costruzione di un primo piano – rigidamente al centro dell’inquadratura – ai movimenti di macchina, che durante un dialogo “trascinano” verso lo spettatore due personaggi finché uno dei due non si ferma per continuare lo scambio con uno stacco di montaggio sul volto. E tutta la stagione è punteggiata da queste reiterazioni, echi di soluzioni sterili che potrebbero essere state adottate da qualsiasi autore di serie televisive in base ai suggerimenti o agli imperativi delle piattaforme e del loro linguaggio standard.
Colpa dell’algoritmo?
La schiacciante maggioranza dei contenuti visualizzati dagli utenti sulla piattaforma streaming della grande N si basa sul meccanismo di funzionamento dell’algoritmo. Vale a dire che la scelta di un utente, orientata su un contenuto piuttosto che sull’altro, è in realtà quasi sempre orientata e guidata da un algoritmo di raccomandazione che agisce su ogni profilo, evidenziando un film o una serie tv. Netflix investe ingenti somme nel perfezionamento di questo strumento, e non solo per questo motivo: la seconda (ma non meno importante) ragione per cui i big data raccolti a seguito di queste ricerche sono di gran conto è che la produzione di futuri contenuti ne dipenderà totalmente. In parole semplici, i contenuti originali sono il frutto di una perpetua indagine sui gusti degli utenti della piattaforma.
A guardare Mercoledì, in effetti, si potrebbe avanzare quest’ipotesi anche senza averne la certezza assoluta: la serie è uno zibaldone di opere seriali e non, di epoche cinematografiche e generi diversi, che hanno in comune un ottimo riscontro di pubblico e poco altro. Nel primo episodio la protagonista viene presentata come un pesce fuor d’acqua in una scuola di normali, in cui resisterà ben poco, solo per poi essere espulsa e iscritta a Nevermore, un college di reietti e “strani” che priva Mercoledì del suo stesso senso d’esistere. Un Le terrificanti avventure di Sabrina in reverse, in pratica, in cui il cuore della protagonista si rivela meno (e non più) cupo degli altri, e il più equo e giusto. E la formula viene condita da echi sparsi, ma robusti, alle atmosfere di Harry Potter, alle dinamiche interpersonali di Sex Education (il poco convincente triangolo adolescenziale) e alla detective story che richiama True Detective e in contemporanea qualsiasi prodotto true crime sulla piattaforma, da cui hanno avuto origine le due serie di Ryan Murphy.
Il posto di Tim Burton
Non v’è dubbio che Mercoledì sia frutto di uno studio accurato sulle preferenze degli utenti; questo spiegherebbe perché la serie abbia tuttora un numero spropositato di utenti e continuerà a raccogliere record finché non arriverà un altro prodotto analogo a spazzarla via dalla top ten delle serie preferite. Mercoledì viene dunque generata da uno spirito commerciale, con la sua astuta speculazione sulle classiche icone del gotico grottesco e su due marchi, quello Addams e quello Burton, per accaparrarsi l’attenzione di un pubblico eterogeneo che non vi troverà altro che serie preesistenti raccolte in un’unica soluzione priva di una vera raffinatezza. Il dilemma risiede nel comprendere se quest’economia artistica, se non elementarità, sia da ascrivere alla mancata ispirazione di Tim Burton o a una bidimensionalità sempre più sovrana nei prodotti seriali mainstream.
Burton, dal suo canto, ha dovuto (o voluto?) spesso piegarsi ai diktat delle grandi majors barattando la sua unicità con un potere e una fama sempre più grandi, tracciando un percorso autoriale quasi tragico che ha trovato il suo triste epilogo con Walt Disney e Dumbo. Il posto di Burton, nome ideale per vendere un prodotto senza dover scendere a compromessi con l’autore, ha una precisa funzione che si canalizza con coerenza nelle strategie di marketing: è la “Wednesday di Tim Burton”, e poco conta che Burton non sia nemmeno fra gli sceneggiatori. D’altronde in questa Mercoledì ben integrata nel suo ambiente scolastico poco resta di quella reietta davvero perversa, davvero fuori dal mondo e dai cardini. E davvero, solo in potenza, burtoniana.
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