Una porta socchiusa ai confini del sole
che può aprirsi soltanto con un soffio d’amore
amore profondo che ci viene dal cuore,
sì dal nostro cuore.

Chi si lascia guidare sai la può spalancare e guardare al futuro.
Per tagliare il traguardo devi alzare lo sguardo e sentirti sicuro.

Se qualcuno dovesse chiedermi quale anime abbia segnato davvero la mia infanzia, non saprei rispondere subito. Potrei citare i classici amati da tutti, dall’intrepida Pollon alla dolce Candy Candy, dall’immortale Dragon Ball alla celebre Sailor Moon. Eppure, tra i tanti titoli visti in tv negli anni ’90, ce n’è uno impresso nel mio cuore in maniera indelebile: Una porta socchiusa ai confini del sole. Un titolo lungo, non il massimo per bimbi e bimbe, ma accompagnato da una sigla che mi commuove ogni volta, reduce da quei pomeriggi trascorsi dinanzi alla televisione a tubo catodico.

Un anime di pregio e rara qualità, ma anche uno dei pilastri di Italia 1 e Man-ga che narrava la storia di tre ragazze comuni, tre paladine pronte ad affrontare nemici e incantesimi in un mondo sospeso tra sogno e realtà. E ben presto, come tanti, mi tramutai in una di loro, il quarto “Cavaliere Magico”. Inevitabilmente, quelle giovani eroine avrebbero cambiato la mia concezione di “cartone animato” e il modo di fruire dell’animazione, esortandomi a ravvedermi sui titoli con protagonisti mecha e robottoni, ormai non più prerogativa maschile.

Poiché se molti ritengono Una porta socchiusa ai confini del sole, o Magic Knight Rayearth, una banale storia di “magia e amicizia”, il mio giudizio è sempre stato diverso. L’ho sempre ritenuto un’opera ibrida, un racconto che comincia come una favola e si trasforma in qualcosa di più profondo, un viaggio di formazione che accompagna lo spettatore – e soprattutto il lettore – a scoprire la fragilità delle proprie illusioni, la complessità dei sentimenti, la necessità di scegliere e la crudeltà del destino.

Dunque, mescolando generi, giocando con le convenzioni, creando mondi raffinati e crudeli al tempo stesso, l’opera divenne presto un tassello fondamentale della storia del fumetto giapponese. Una vera e propria eredità culturale.

C’era una volta Hideki Yamanouchi…

Magic Knight Rayearth, © amazon.it
Magic Knight Rayearth, © amazon.it

Il Mito della creazione di Magic Knight Rayearth è tra i più celebri. Hideki Yamanouchi, editor di riviste di manga femminili, scoprì per caso RG Veda e ne rimase folgorato: lo stile innovativo, le illustrazioni barocche, la meraviglia nelle tavole lo convinsero a seguire con passione tutte le opere delle CLAMP. Dopo il licenziamento, approdò a un editore di libri che pubblicava Soryuden illustrato proprio dal collettivo, ma non riuscì a occuparsene direttamente.

Qualche anno più tardi tornò nel mondo dei manga come editor della rivista Nakayoshi, proprio durante l’epoca d’oro di Sailor Moon. Il direttore voleva sperimentare con nuovi autori e spuntò il nome delle CLAMP. Venuto a sapere di una cena con le autrici, Hideki vi si intrufolò a mo’ di ladro-gentiluomo, pur di incontrarle. Al momento decisivo, emozionato e deciso a collaborare con le sue beniamine, si sedette accanto a Mokona che, per rompere il ghiaccio, gli chiese della conclusione di RG Veda. E fu lì che Hideki fece loro la proposta, tant’è che Magic Knight Rayearth è riconosciuto quale primo manga delle CLAMP ad essere pubblicato dalla Kōdansha.

E se portassimo i robot giganti in una rivista per ragazze?

Le CLAMP accettarono la sfida, forse con leggerezza, forse con quel desiderio di sperimentare che le ha sempre contraddistinte. Un’ibridazione ardita, pensata per rompere gli schemi e per dimostrare che le ragazze potevano essere protagoniste di battaglie epiche senza rinunciare alla propria sensibilità.

Ed è così che nasce il più shonen degli shoujo.

Rompere gli schemi: questo era stato chiesto alle CLAMP dall’editore

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Lo Sapevi?

Il titolo Rayearth fu scelto da Takeshi Okazaki, collaboratore abituale delle CLAMP, mentre la seconda parte del nome è opera delle autrici.

Paragone azzardato, ma volutamente provocatorio definirlo “il più shonen degli shojo”. Ebbene, il nuovo manga doveva essere «un lavoro divertente da realizzare», come avrebbe ricordato anni dopo Nanase Ohkawa, leader e sceneggiatrice del collettivo. E in effetti il primo arco narrativo segue una struttura chiara e lineare, con tre protagoniste in un mondo fantastico da salvare e una missione da portare a termine. Oltretutto, sapevate che i nomi dei personaggi e dei luoghi – esclusi Hikaru, Umi, Fū, Mokona – derivano da marchi automobilistici? Come per Ferio: il suo nome, il colore verde dei capelli e la cicatrice sul volto si ispirano a una vera automobile Ferio verde, posseduta dalle CLAMP, che aveva un graffio sul frontale.

Questo dettaglio curioso, tuttavia, viene ben celato dalla commistione con elementi provenienti dal folclore ellenico, grazie a personaggi che per nome e ruolo ricordano gli dei dell’Olimpo. Dunque, l’armaiola Presea richiama sia alla Nissan Presea del 90, ma anche al dio fabbro Efesto o a “Perseo”, figlio di Zeus e Danae. Tuttavia, col procedere della storia, la semplicità iniziale si trasforma in un labirinto di dilemmi morali, sacrifici e scelte impossibili. Più simile a una Tragedia greca che a una Commedia.

Dopotutto, una delle chiavi per comprendere Magic Knight Rayearth è l’intento esplicito di mescolare elementi apparentemente contrastanti: la sensibilità shoujo – forte di un’attenzione ai rapporti emotivi, all’estetica dei personaggi femminili e alla trasformazione – con linguaggi tipici del mecha e dell’RPG, il tutto accompagnato da paladine molto simili alle celebri Sailor. Questa commistione non fu casuale, poiché il collettivo voleva sì attrarre lettrici giovani, ma al contempo introdurre elementi che li avvicinassero anche a fandom più “maschili” dell’epoca (shonen), sfruttando il successo del periodo per i generi fantasy e robotici.

Il viaggio a Cefiro

Magic Knight Rayearth, © Prime Video
Magic Knight Rayearth, © Prime Video

In questo mondo la volontà supera ogni altro potere.

Tokyo Tower. Qui, tre studentesse quattordicenni – Hikaru Shidō, Umi Ryūzaki e Fū Hōōji (Luce, Marina e Anemone) – si incontrano per caso durante una gita scolastica. Non si conoscono, appartengono a scuole diverse, eppure il destino le ha scelte. Una luce improvvisa, una voce che implora aiuto, e all’improvviso le ragazze si ritrovano catapultate a Cefiro, un mondo sospeso tra montagne fluttuanti e cascate, popolato da creature fantastiche e dominato da una legge bizzarre.

Tuttavia, a Cefiro è l’anima di chi sa credere a generare la vera forza. Ogni cosa dipende dalla preghiera della principessa Emeraude, il “Pilastro” che con il suo sacrificio mantiene l’equilibrio. Ma la principessa è stata imprigionata dal sacerdote Zagato, e l’intero regno è sprofondato nel caos.

Il compito delle tre ragazze è chiaro: diventare i Magic Knights (Cavalieri Magici), risvegliare i tre spiriti mana-guerrieri Mashin (Rayearth, Ceres e Windam), e salvare la principessa. Inizia così un viaggio nella meraviglia che, tuttavia, nasconde un colpo di scena capace di cambiare per sempre le regole del target.

La dura realtà

Magic Knight Rayearth, © Prime Video
Magic Knight Rayearth, © Prime Video
Attenzione!

Questo paragrafo contiene spoiler sull’epilogo!

Perché, com’è presto detto, la missione delle tre eroine non consisterà nel salvare Emeraude, bensì nell’ucciderla. La principessa, infatti, si è innamorata di Zagato, ma a un Pilastro non è concesso amare, il suo cuore deve appartenere solo al regno. Divisa tra i suoi sentimenti e il dovere, Emeraude non è più in grado di reggere l’equilibrio di Cefiro. L’unica soluzione è il sacrificio. Altro che “ho un dovere verso il mio cuore”, Mulan li avrebbe rimessi in riga!

La favola si trasforma in tragedia, le paladine devono compiere un gesto atroce, e il lettore si rende conto di stare assistendo a qualcosa di nuovo, struggente, doloroso. Le CLAMP, con un colpo di genio narrativo, hanno mostrato a un pubblico giovane che crescere significa anche confrontarsi con la durezza delle scelte, con un epilogo non sempre roseo: è la perdita dell’innocenza. Non più un epopea eroica, bensì una riflessione su libertà e destino, responsabilità e ingiustizia.

La seconda parte del manga (e dell’anime) si addentra ancora di più nel dramma interiore dei protagonisti. Senza il Pilastro, Cefiro è in balia dei regni vicini, pronti a contendersi il potere. Lentamente emerge la consapevolezza dell’assurdità di un sistema che costringe un individuo a sacrificare i propri desideri per il bene collettivo. Ed eccola lì, la scintilla. Da questo momento in poi, è facile comprendere quale sia il reale nemico, poiché la vera battaglia non è contro sedicenti villain malvagi, bensì contro un mondo che chiede sacrifici disumani ai propri sudditi. Come rinunciare all’amore vero, carnale, al desiderio, per un dovere verso il proprio Regno.

CLAMP e il CLAMP Universe

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics

CLAMP nasce come circolo di dōjinshi (11 membri più Yuzuru Inōe come dodicesimo) nella metà degli anni ’80, per poi consolidarsi con una formazione definitiva intorno al 1993: Nanase Ohkawa, sceneggiatrice e mente strategica; Mokona, illustratrice principale; Tsubaki Nekoi e Satsuki Igarashi, supporto grafico e creativo. A differenza dei mangaka solisti, CLAMP è un collettivo perfettamente in grado di distribuire i ruoli e sperimentare forme narrative diverse, emblema del loro successo.

Negli anni ’90, il loro stile è diventato iconico, forte di figure slanciate, tratti eleganti, occhi grandi e luminosi, costumi sontuosi e dettagliati, un gusto ornamentale che ha elevato lo standard estetico dello shoujo. Nelle loro opere non vi è quasi mai staticità, poiché i personaggi sono in continuo movimento, anche se “fermi sul posto”: il dettaglio sui capelli mossi dal vento, il focus sulle scene d’azione, la necessità di fogli in formato A3 per poter ammirare l’arte delle CLAMP in tutta la sua magnificenza.

Tuttavia, ciò che ha reso davvero immortali le loro opere è – forse – la costruzione di un universo interconnesso, in cui personaggi e temi migrano da una serie all’altra. Una pratica simile allo “Star System” di Osamu Tezuka, in cui si prendono personaggi/design ricorrenti e si “riutilizzano” in ruoli diversi o in universi paralleli. Da Cardcaptor Sakura a Reservoir Chronicle, da X/1999 a xxxHolic, ogni opera dialoga con le altre, creando un “CLAMP Universe” che anticipa di anni la moda del multiverso, o quantomeno degli universi narrativi condivisi.

Per Mokona questo ha prodotto più livelli di lettura: nei lavori successivi delle autrici compaiono due creature “simili” chiamate モコナ=モドキ / Mokona-Modoki, la bianca (Soel) e la nera (Larg). Queste non sono lo stesso Mokona di Magic Knight Rayearth, ma versioni alternative, imitazioni (“modoki”, pseudo-mokona).

“Isekai, mecha e magical-girl”

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics

Per questo e per molti altri motivi, l’impatto della CLAMP nel mondo fumettistico nipponico è stato enorme, sia commercialmente che culturalmente. Oltre cento milioni di copie vendute, un pubblico internazionale, e un’influenza che va ben oltre il Giappone. Ma più di tutto, le CLAMP dimostrarono al mondo che anche i manga per ragazze erano in grado di affrontare temi complessi, parlare di sacrificio, identità fluide (e solo leggendole scoprirete perché), destino avverso, dolore. E Magic Knight Rayearth è un esempio perfetto di questa filosofia: un’opera capace di tenere insieme leggerezza e dolore, estetica e tragedia.

Dopotutto, chi avrebbe mai pensato di vedere mecha giganteschi su una rivista shoujo?

Persino per i loro robot le CLAMP non seguirono gli stilemi dell’epoca, decidendo arbitrariamente di non mostrare il cockpit (la cabina di pilotaggio). Il motivo? Probabilmente perché sarebbe risultato impossibile realizzare cabine così dettagliate in ogni scena, ma anche per non intaccare l’eleganza dei Mashin: una scelta stilistica che influenzò il design dei mecha anche in seguito.

Pertanto, possiamo asserire con certezza che l’opera abbia lasciato un segno per molteplici motivi, dal design di macchine e personaggi, a quella fusione tra generi che gli è valsa una popolarità tale da giustificare decine di ristampe e un nuovo progetto anime in occasione dell’anniversario. Dopotutto, da molti critici, Magic Knight Rayearth è spesso citato come un mix tra isekai, magical-girl e mecha.

Tra critica e accademia

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics

Non stupisce, dunque, che le CLAMP siano diventate oggetto di studi accademici. Testi come CLAMP in Context di Dani Cavallaro hanno analizzato la loro poetica, che sembra poggiare su tre assi fondamentali: l’universo condiviso, la centralità dei personaggi femminili e l’uso di simboli ricorrenti (porte, specchi, viaggi tra mondi) per riflettere sull’identità del singolo.

Cavallaro stesso definisce opere come Magic Knight Rayearth delle “reinvenzioni epiche”: racconti che riprendono la struttura del mito (regni in pericolo, missioni salvifiche) filtrandoli attraverso una sensibilità tutta nipponica, tipica shoujo. Questo fattore consente alla protagonista di svestire i panni dell’eroina per mostrare il suo vero volto: quello di una ragazza comune.

L’analisi di Cavallaro, oltretutto, sottolinea la frequente ambiguità morale all’interno della narrazione: il binomio magia\tecnologia non è indice indiscusso di bene o male, ma denota la responsabilità del singolo individuo. Questo punto è cruciale per comprendere, ad esempio, le scelte tragiche dei personaggi, dove l’atto eroico è spesso anche un atto di perdita e sacrificio.

A questo va unita la già citata transworld migrations, pratica delle CLAMP di far viaggiare i propri personaggi (e non solo) da una serie all’altra. Una strategia atta non solo a creare una rete emotiva tra i fan, ma in grado anche di affermare con forza che l’identità non è mai fissa: è un continuo gioco di versioni alternative, possibilità, scelte.

L’anime e l’Italia: un impatto indelebile nonostante la censura

Magic Knight Rayearth, © Prime Video
Magic Knight Rayearth, © Prime Video

Prodotto tra il 1994 e il 1995 da TMS Entertainment e diretto da Toshihiro Hirano, l’anime di Magic Knight Rayearth fu un successo immediato. Il character design raffinato di Atsuko Ishida, le musiche di Hayato Matsuo, i mecha design di Masahiro Yamane (Beyblade, Code Geass, Full Metal Panic!), ogni elemento contribuiva a creare un’opera di altissima qualità.

Come già accennato, l’anime giunse qui da noi con il titolo Una porta socchiusa ai confini del sole, una versione – ovviamente – schiava della censura, con dialoghi edulcorati e nomi modificati. Eppure, anche così, tagliuzzata e rattoppata, la serie conquistò il cuore di migliaia di bambini. Ma se la prima parte di Magic Knight Rayearth alterna momenti comici e spensierati a battaglie spettacolari, la seconda si sposta su un terreno molto più cupo e interiore.

A Cefiro non c’è posto per il fallimento

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics

Gli scagnozzi di Zagato non vengono mai risparmiati. C’è sangue e sofferenza sia tra i villain, sia tra le protagoniste. Quello stesso sangue in grado di metterci dinanzi ad un’opera che nulla aveva in comune con gli anime tratti da shojo cui eravamo abituati prima. Permettetemi, dunque, di spogliare un attimo i panni della redattrice, indossando la t-shirt della me bambina. Rileggendo oggi il manga, ciò che colpisce è la capacità dell’opera di parlare non solo ai più piccoli, ma anche – e soprattutto – a noi adulti.

Mentre da giovanissima mi sentivo parte del trio, affascinata da quei mecha eleganti e così lontani dai classici Gundam, ad oggi ciò che davvero mi impressiona è l’intreccio narrativo in grado di evolversi assieme al pubblico. Una duplice lettura, un Harry Potter nipponico – oserei dire – in quanto solo uno sguardo adulto e maturo è in grado di comprendere a pieno il sacrificio di Emeraude, il peso delle azioni dei personaggi, la crudeltà di un Fato che non si cura della giovane età delle protagoniste. Semi piantati nelle nostre coscienze anni fa, ma che solo un’intelligenza emotiva ben sviluppata ha consentito loro di sbocciare. E così, questi stessi elementi spogliano Cefiro di quell’alone “di meravilla” alla latina.

In tal senso, sembra che Magic Knight Rayearth ci prenda per mano, passeggiando accanto al noi di un tempo. Una voce confortante in grado di rendere meno angosciante il momento in cui siamo “diventati grandi”, in cui abbiamo scoperto con orrore che le favole non esistono. Che la realtà è fatta di contraddizioni e compromessi, e crescere significa anche accettare i dispiaceri e il dolore.

Dopotutto, come diceva Silente, la felicità può essere trovata anche nei momenti più bui. Se solo ci si ricorda di accendere la luce. E Hikari (luce, in giapponese) lo sa bene.

Per i pigri (ma credetemi, ne vale la pena)

Magic Knight Rayearth, © Star Comics
Magic Knight Rayearth, © Star Comics

Come ci ripete continuamente Guru Clef, Cefiro è un mondo che poggia sulla volontà. Dunque ogni scelta porta con sé la consapevolezza che il sacrificio è il prezzo inevitabile della crescita, del potere, della magia. Nato dalla penna e dal talento delle CLAMP, il collettivo femminile che negli anni ’80 ha rivoluzionato il manga con opere raffinate e indimenticabili, Magic Knight Rayearth è un perfetto esempio della loro narrativa: elegante e spietato, leggero e drammatico, ricco di dettagli estetici ma anche di spessore.

Dopotutto, il titolo è profondamente legato alla nozione di sacrificio e Fato, poiché a Cephiro le azioni individuali dei personaggi si intrecciano al bene del regno. Lontano dall’essere una semplice storia di magia e battaglie (e comunque non ci sarebbe nulla di male), Magic Knight Rayearth è un racconto di eroi e incantesimi per i bambini, ma anche un primo contatto con l’ambiguità morale per gli adolescenti.

Per noi adulti, invece, una metafora della vita stessa, con le sue ombre e i suoi spiragli di luce, la consapevolezza non c’è sempre un lieto fine. Tuttavia, possiamo comunque trovare un senso a tutto quel dolore.

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Napoletana, classe 92, nerd before it was cool: da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su CPOP.IT e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.