A lungo attesa, la seconda stagione di un vero e proprio inaspettato fenomeno è finalmente arrivata. Da mercoledì 24 febbraio sono, infatti, disponibili le prime quattro puntate di LOL 2 – Chi ride è fuori, format di Amazon Prime Video di indubbio successo. Una seconda edizione che, seppur scontata, aveva sin da subito messo in discussione la genuinità del prodotto.
La prima edizione di LOL – Chi ride è fuori è stata un’inaspettata e piacevolissima fabbrica di risate, dovuta alla sorpresa di trovarsi di fronte a uno spettacolo basato sull’improvvisazione di dieci comici ben amalgamati, costretti a rimanere per sei ore nella stessa stanza senza poter mai ridere. Una regola semplice e banale, che ha dato vita a tormentoni ormai entrati nel linguaggio popolare (come ad esempio “So’ Lillo”) e fatto ritornare quella gioia spensierata di cui, inutile negarlo, si aveva un po’ tutti bisogno.
Un anno dopo si ritorna in quella stanza-teatro, con un cast rinnovato, ma anche un po’ di timore. Il successo clamoroso della prima edizione sarebbe apparso come un obiettivo difficilmente raggiungibile? La domanda che ci vogliamo porre non è se LOL faccia ancora ridere, ma se fa ancora così tanto ridere. In questi primi quattro episodi abbiamo già trovato una risposta, quantomeno parziale, che mostra i pregi e difetti di un fenomeno che, almeno per ora, non è stato replicabile.
Un cast più consapevole e sbilanciato
La scelta del cast è l’aspetto principale di un programma come LOL – Chi ride è fuori. I dieci concorrenti devono essere in grado di portare di fronte alle telecamere dello studio il carisma necessario, una fama che possa richiamare un pubblico quanto più vasto possibile, e soprattutto le risate. L’unione e il legame tra le diverse personalità sono il primo fattore essenziale per la riuscita del programma. Quest’anno bisognava non solo tentare di raggruppare dieci comici adatti al programma, ma anche cercare di evitare pesanti paragoni con il cast precedente.
Dopo aver visto le prime quattro puntate possiamo notare due aspetti da non sottovalutare. Il primo è che i dieci concorrenti sembrano dotati di pesi diversi: a un Mago Forest sempre attivo, dimostrandosi un vero animale da palcoscenico, soprattutto dal punto di vista dell’improvvisazione, o a una Virginia Raffaele, troviamo anche personalità che resistono all’eliminazione dalla partita ma si nascondono all’ombra degli altri. È il caso di Tess Masazza, non troppo a suo agio e sin troppo sullo sfondo, o di Gianmarco Pozzoli che, al netto di un attacco vincente nella prima puntata, poi non è riuscito a emergere.
Soprattutto, oltre a essere un po’ troppo sbilanciato, il cast è più consapevole della dimensione dello show. Gli effetti della novità dell’anno scorso sono andati ovviamente perduti. I comici dimostrano di aver studiato le sei puntate precedenti, sanno come comportarsi, riescono a trattenersi in misura maggiore, dando vita a un gioco più difensivo. Si cerca di rimanere in una comfort zone di salvezza, che non possa scontentare gli spettatori e rispettare le basi del programma. Lo si nota quando le battute migliori avvengono a gioco interrotto, rendendo più divertenti le reazioni che la partecipazione stessa. Il risultato è un’anarchia diversa da quella a cui LOL ci aveva abituato, che si propone come caos di voci e disordine anziché il desiderio di mettere a dura prova gli avversari.
Il montaggio meno efficace
Ne fa le spese anche il montaggio. Tolto il velo della novità, lo spettatore si dimostra più interessato al meccanismo del gioco stesso, con un occhio di riguardo posto alle reazioni dei comici. In questo caso il montaggio delle puntate sembra aver perso un po’ di smalto rispetto all’edizione precedente, più attenta a mascherare eventuali sorrisi non voluti, lasciando a volte una straniante sensazione di scrittura predefinita. Si è venuta a perdere (in maniera inconsapevole o meno) una certa spontaneità, dando la sensazione che più che provocare naturalmente la risata, LOL vuole fare di tutto per stimolarla. Dichiarazione di un’edizione a tratti più debole? Fatto sta che le insistite risate di Frank Matano e i commenti di Fedez hanno il sapore amaro del comico che racconta due volte il finale della barzelletta affinché tutti possano capirlo, quasi per istigare un’ilarità che l’umorismo da solo non riesce a raggiungere.
Certo è che per la natura e le regole stesse del gioco, appare difficile far finta di niente quando vediamo la risata di un concorrente prima dell’arbitro Fedez. In quel caso, nonostante venga trascorso un lungo lasso di tempo, il montaggio fa finta di niente e prosegue nella sua meccanica di tensione, ovviamente sminuita. Più costruito e scritto: lo si nota anche nei commenti di Fedez mentre percorre il corridoio, non ben amalgamati, e in qualche ammonizione un po’ troppo generosa, a scapito di alcuni sorrisi sullo sfondo che vengono ignorati. Le regole del gioco si possono plasmare in base a ciò che si sceglie di mostrare (e non dimentichiamoci che LOL é prima di tutto un show d’intrattenimento), ma il montaggio deve essere preciso e allo stato dell’arte.
La trasformazione di uno show
Forse, però, quello che abbiamo notato finora è solo una naturale conseguenza di un cambiamento che lo show stesso ha abbracciato senza remore. Dato il grande successo dell’anno precedente era naturale aspettarsi un qualche grado di trasformazione, ma il risultato non rischia di accentuare i difetti di un fragile equilibrio? LOL è prima di tutto una sfida a non ridere attraverso l’improvvisazione e una serie di prove che devono avvenire all’interno del teatro. Dalla cabina di regia, Fedez e Frank Matano possono aggiungere qualche grado di difficoltà attraverso alcuni obblighi a cui i concorrenti non possono sottrarsi.
La presenza di Lillo come guest star è un’aggiunta sicuramente appagante per lo spettatore (il ritorno di Posaman è uno dei momenti migliori), ma rischia anche di spezzare il flusso del ritmo del gioco (come ad esempio nel quarto episodio). Soprattutto le parti più coreografate e scritte, che Fedez e Matano sono costretti a recitare, appaiono poco sincere e troppo lunghe, quasi anomale nel contesto del programma. Così come appaiono note stonate l’eccessiva riverenza nei confronti dell’edizione precedente, attraverso loghi, tormentoni e memorabilia come se LOL potesse già vivere di rendita. Una pigrizia che nasconde forse un timore di non essere all’altezza per il secondo anno.
Il che è sbagliato. Perché nei momenti migliori dello show, LOL rimane una fucina di molte risate. Un programma dal fortissimo potenziale che richiede qualche aggiustamento per poter brillare ancora una volta. Così, invece, si ha l’impressione di un’edizione di passaggio, interlocutoria, quasi capace di auto-sabotarsi e rompere quella sospensione dell’incredulità che, come ogni racconto che traspare dallo schermo, è necessaria alla sua riuscita. LOL fa naturalmente ridere e non ha bisogno di trasformazioni per perdere quella qualità a briglie sciolte che ha fatto innamorare il proprio pubblico e l’ha trasformato in un fenomeno. Ma è necessario che l’artificio sia ben nascosto e non troppo esplicitato. Ne va della sua natura.