Forse non ve ne siete accorti, ma la seconda stagione di Invincible è iniziata venerdì 3 novembre, sempre su Prime Video. Quando la serie animata tratta dal fumetto di Robert Kirkman si presentò al pubblico con i suoi primi 8 episodi nel 2021, al netto di qualche critica legata alla qualità dell’animazione, fu salutata come un ottimo prodotto. Come una bella e rinfrescante variazione sul tema supereroistico che all’epoca sembrava non conoscere stanchezza. Capace di equilibrare i topos del genere con un’inaspettata storia ricca di colpi di scena e variazioni sui supereroi, Invincible giocava con lo spettatore e le sue aspettative, non tirandosi indietro nemmeno con una – seppur animata – violenza sconvolgente. Specialmente dopo un finale di stagione che scombinava le carte e lasciava il pubblico a bocca aperta.
Questo accadeva nel 2021 e, si sa, due anni di attesa in campo seriale, e soprattutto coi ritmi della contemporaneità, sono davvero tanti. Ed è così che, fatto salvo un episodio speciale su Atom Eve uscito quest’estate e passato un po’ in sordina, questa seconda stagione di Invincible è iniziata, almeno in Italia e almeno per quello che abbiamo potuto notare sul web, sotto i peggiori auspici. E la qualità non c’entra nulla. No, il problema sembra essere un altro.
Un primo episodio troppo introduttivo?
Tagliamo però la testa al toro. Il primo episodio di Invincible 2 è un inizio che da un lato conferma la qualità della serie e dall’altro risulta un lungo paragrafo introduttivo alle nuove vicende. Nel giro di poco meno di 50 minuti (ci eravamo dimenticati di quanto fossero densi gli episodi di questa serie animata, lo ammettiamo) vengono riprese le fila del discorso con cui si era conclusa la prima stagione. Si mostrano le conseguenze dell’evento più importante per la vita di Mark: la scoperta che suo padre Nolan, Omni-Man, il più potente supereroe esistente, non sta proteggendo la Terra, ma è un infiltrato dell’impero viltrumita che, il pianeta, lo vuole conquistare.
È un episodio interlocutorio, che preferisce prendersi il tempo di ridefinire lo status quo narrativo che evolvere la trama, sacrificando molto dello spettacolo. Certo, la sequenza iniziale, ambientata in una Terra alternativa (o in un futuro imprecisato?) getta parecchie ombre e molta tensione su quelli che potrebbero essere gli sviluppi della storia. E se anche le animazioni sembrano essere migliorate e più curate rispetto alla stagione precedente, permangono tutte quelle qualità che rendono Invincible qualcosa di superiore alla media. I dialoghi raffinati nei momenti più intimi, un senso del divertimento raro durante le sequenze action e quello shock visivo dovuto alla violenza sanguinaria che arriva improvvisa, una creatività che riguarda ambientazioni, personaggi, miscugli di generi e sviluppi narrativi che non possono fare a meno di esaltare. Allora cosa si sta perdendo? Perché manca del vero entusiasmo?
Quando essere super non basta più
La seconda stagione di Invincible arriva, forse, con un tempismo non proprio ottimale. Il desiderio di tornare a seguire prodotti seriali a tema supereroistico è già stato soddisfatto in tempi recenti con l’uscita della seconda stagione di Loki, in casa Disney+, e, rimanendo sulla piattaforma Prime Video, con Gen V, spin-off di The Boys, che con Invincible condivide parecchi elementi: un tono più maturo, l’ultraviolenza esplicita, il capovolgimento (o comunque la freschezza) nei confronti del genere. Troppe serie concentrate sullo stesso tema. Troppe, per poter creare attesa e aspettativa verso un altro titolo.
Non è più un segreto che stiamo vivendo un periodo di superhero fatigue, dopo anni in cui i cosiddetti cinecomics sembravano essere diventati un calderone di generi diversi, incapaci di stancare il pubblico. Parliamoci chiaro: se persino gli ultimi film targati Marvel Studios sembrano non interessare più come una volta come potrebbe una serie parecchio di nicchia risvegliare la passione di spettatori ormai alla ricerca di qualcosa di diverso? In quest’aspetto, la serie animata non ha troppe colpe (vedere per credere), ma paga un dazio pesante. E purtroppo non è l’unico.
Una maledizione chiamata Stagione 2
Perché bisogna ammettere una cruda verità. Bombardati da tantissimi nuovi film e prodotti seriali, mese dopo mese, è normale perdere interesse, anche verso quelle storie che ci sembravano essenziali, bellissime, originali. E così, due anni di attesa tra una stagione e l’altra diventano un abisso nero e profondo nella nostra memoria, riempita da altri titoli essenziali, bellissimi e originali che ne prendono il posto.
Invincible non è stata la prima serie colpita da questa maledizione. Sweet Tooth, deliziosa e originale serie Netflix, è una di queste, così come alcune delle serie Marvel come Luke Cage e Jessica Jones, le cui seconde stagioni si sono scontrate con un disinteresse generale. È accaduto anche alla serie tv Perry Mason, recente remake in casa HBO, cancellata dopo la seconda stagione uscita tre anni dopo la prima, o la recente Invasion di casa Apple Tv+, proseguita dopo due anni nel silenzio generale. Tutte serie che non sono diventati dei veri e propri fenomeni come Mercoledì o Stranger Things, ma che avevano dalla loro parte un discreto seguito e un’ottima qualità generale, coinvolgendo spettatori, creando hype e appassionando, settimana dopo settimana.
Fare attenzione
Si tratta di un cambio di paradigma che lascia sbigottiti e fa tremare le fondamenta del concetto stesso di narrazione seriale. Perché se è vero che spesso e volentieri molte serie perdevano spettatori col procedere delle stagioni (mentre altre ne guadagnavano), mai si aveva la sensazione di avere tra le mani un successo improvvisamente non sgonfiato, ma dimenticato. Creare fedeltà, in un panorama così vasto e sempre crescente di titoli, è diventato un problema, specie se unito a un concetto di premium television che necessita di mezzi e qualità sempre maggiori e, quindi, più tempo di realizzazione. Inseguendo la qualità del cinema, il piccolo schermo sembra essere giunto alle stesse conclusioni: pochi titoli di successo e tanti prodotti usa-e-getta.
L’attenzione e l’amore verso un prodotto stanno durando sempre meno e, di conseguenza, l’approccio verso l’audiovisivo seriale sta diventando simile alle dinamiche frenetiche dei social. Da una parte poche serie che siamo incapaci di abbandonare e che diventano così grosse da diventare parte dell’immaginario collettivo (come gli influencer maggiori), dall’altra un bisogno bulimico di nuovi inizi e nuove partenze che siamo pronti ad abbandonare appena il ritmo si interrompe. Come se fossero meme o post che ci divertono nell’immediato ma siamo pronti a scrollare per dimenticarcene in fretta.
Ironico pensare che nel momento di massima espansione delle piattaforme streaming con la loro immane offerta di serialità, intendiamo dedicare a storie che richiamano le costruzioni dei lunghi romanzi solo un momento estemporaneo. Il tempo di uno scroll col dito. O di scrollarcelo di dosso dalla testa.
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