Il mio nome è vendetta, il film di Cosimo Gomez con Alessandro Gassman in streaming su Netflix dal 30 novembre, è un film a suo modo sorprendente. È un revenge movie scritto e girato in Italia, un tipo di film che da noi di solito non si fa. O, se si fa, è spesso contaminato con altri generi. Stavolta è davvero un revenge movie puro che non ha niente da invidiare ai film francesi e americani, a cui dichiara di ispirarsi. Il segreto sta nella regia e nell’essersi affidati a un grosso lavoro di stunt e coreografie. Ma anche nell’interpretazione di Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi. Gassmann è Santo, un uomo che vive in Trentino-Alto Adige insieme alla moglie e a sua figlia Sofia (Ginevra Francesconi). Quando due criminali entrano in casa loro e uccidono la madre e lo zio di Sofia, la ragazza scopre che il padre nasconde un passato di affiliato alla ‘ndrangheta. E che il passato sta per tornare allo scoperto.
Alessandro Gassmann: “Sono un papà/macchina per uccidere”
La cosa interessante di Io mi chiamo vendetta è proprio la prova attoriale di Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi. La trama del film fa sì che i due attori – un veterano del nostro cinema che però non si era mai cimentato in un ruolo così fisico e una giovane attrice in un ruolo inedito – possano dare ampio sfoggio della loro versatilità. Nel corso del film, infatti, riescono ad essere due o perfino tre personaggi in uno. “Tutto era storyboardato” ci ha spiegato Alessandro Gassmann, “per cui sapevamo che fine avremmo fatto. La cosa interessante de Il mio nome è vendetta è che è un film di puro intrattenimento, un revenge, un action movie. Con un cuore pulsante al centro, che è il rapporto delicato di incomprensione, poi di comprensione e di profondo amore tra un padre e una figlia, in una situazione di estremo pericolo. L’idea era quella di presentare un uomo, che ha risolto una vita, che vive in un posto molto bello, con un passato che ritorna e rientra ad essere quello che è sempre stato. Tosare la testa, levare la barba, e anche mostrare un po’ di fisico, che è quello che ho cercato di rimettere in piedi con tre mesi di allenamento, è stato importante. È una cosa rarissima per il cinema italiano, film d’azione puri non ne facciamo. Tutto questo aveva a che fare con la drammaturgia: il mio personaggio diventava un papà/macchina per uccidere”. “È un film che è ambientato in dei tempi ben precisi, anche lavorare sui vari cambiamenti dei personaggi è avvenuto in maniera molto naturale” risponde Ginevra Francesconi. “Quello che unisce tutti questi cambiamenti è questo rapporto tra padre e figlia, che è il cuore pulsante del film: questo senso di protezione che ognuno ha nei confronti dell’altro”.
La nostra videointervista ad Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi