Tra i nuovi, grandi progetti di Netflix in Italia è da tempo che si attende l’adattamento seriale del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo, reso iconico dall’adattamento cinematografico diretto dal grande Luchino Visconti nel 1963, torna in streaming sulla piattaforma con una nuova trasposizione seriale dal 5 marzo 2025.
In occasione della sua uscita, la giovane attrice siciliana Dalila Ricotta si è raccontata ai microfoni di ScreenWorld – tra il suo ruolo nella serie Netflix e i retroscena di una carriera pronta a spiccare il volo con uno dei prodotti più attesi della piattaforma.
Come ti sei avvicinata al mondo del cinema? Hai sempre voluto fare questo mestiere?

Sono sempre stata attratta da questo mondo: sono salita per la prima volta su un palco all’età di sei anni e non ho mai smesso. Ho studiato musical alle scuole elementari, a 14 anni sono entrata nella compagnia teatrale del mio paese e abbiamo fatto tantissimi spettacoli. Non c’è un momento della mia vita in cui non abbia fatto questo. È stato tutto molto naturale, non è stato pensato. Non lo so, a volte penso che forse sono nata per fare questo mestiere.
Mi sono trasferita a Roma nel 2019 dopo averci pensato tutta l’estate – non perché avessi il dubbio su quali fossero i miei sogni, ma perché non sapevo come dirlo ai miei, consapevole che sul momento li avrei delusi. Quando vieni da un piccolo paesino della Sicilia, come il mio (Canicattì), è difficile immaginare che una ragazzina senza nessuna conoscenza possa entrare a far parte del mondo del cinema ad alti livelli (io sono ben lontana dall’esserlo, ma nel mio piccolo sto iniziando). Mia madre è stata categorica: “se vuoi stare a Roma e vuoi fare questo, trova lavoro e mantieniti da sola”. Non è cattiva, lo ha fatto per me, perché la strada che ho scelto è dura e il mondo non è un posto semplice…
“Got your wings now, you can’t stay / Take those dreams and make them all come true”
(hai le tue ali, ora non puoi più restare / prendi quei sogni e falli avverare). – Miley Cyrus
Sono arrivata a Roma e ho trovato prima lavoro e poi casa: lavoravo in centro, era pesante, ma non ho mai smesso di crederci. Lavoravo 8 ore e nella stessa giornata frequentavo un’accademia di recitazione, a volte iniziavo anche alle 5 del mattino. Se ripenso alla piccola me che sta su un bus per 13 ore per arrivare a Roma per la prima volta con uno zaino blu mi emoziono sempre. Ho scalato tante piccole montagne, ma questo è solo l’inizio: auguro a me stessa di non adagiarmi mai e aver sempre fame.
Il Gattopardo è stata la tua prima esperienza seriale. Com’è stato lavorare con una produzione grande come Netflix?
È stato bellissimo e intenso! Prima avevo girato solo un film (L’estate più calda, Prime Video ndr) e le riprese erano state piuttosto brevi, un mese circa. Il Gattopardo invece è stato lunghissimo, ci abbiamo messo mesi di preparazione in cui ho preso lezioni di valzer, di etichetta, poi naturalmente altri mesi per girare… per fortuna andavamo tutti d’accordo sul set, era un ambiente di lavoro davvero piacevole. Insomma, interpretavo il ruolo di una principessa e mi trattavano da principessa, quindi è stato bello!
Da siciliana qual era il tuo rapporto con Il Gattopardo? Conoscevi già la storia?

Sì, era inevitabile: nei libri di letteratura a scuola se ne parlava sempre. Non avevo letto il romanzo, ma avevo già visto il film di Visconti (che ho rivisto non appena mi è arrivato il primo provino) e l’ho trovato sempre bellissimo.
Parlaci un po’ di Caterina, il personaggio che interpreti.
Caterina, la figlia più grande del principe di Salina, era praticamente inesistente nel film di Visconti. Invece con Tom Shankland (che ho amato follemente) abbiamo lavorato molto sui suoi pensieri e sulle sue sofferenze. A un certo punto della serie, infatti, vedremo un cambio radicale in Caterina dopo un forte evento familiare… Il suo personaggio è stato studiato a fondo: anche se non è molto raccontato nella serie, il regista ci ha tenuto tanto a prepararlo bene ed è stato davvero stimolante.
Hai preso lezioni di valzer. In che altro modo ti sei preparata per la tua interpretazione?

Come già detto, nel film di Visconti le figlie del Gattopardo hanno poca importanza, quindi è stato necessario un importante lavoro di costruzione del personaggio. Lì si vedono queste figlie amate dal padre, sempre presenti e che spesso suonano il pianoforte, ma niente di più. Quando ho rivisto il film per il provino ho notato che queste ragazze suonavano il piano, mentre io non lo sapevo suonare: al casting ho detto lo stesso che sapevo suonarlo, ma al secondo provino mi è stato chiesto di suonare qualcosa ed è stata una tragedia!
Io ero negata, non andavo a tempo e in tre giorni tra le lacrime ho imparato una canzone. Ogni volta che riguardo quel video del self tape mi viene da ridere perché si vede proprio che sono impacciata… poi è andata bene lo stesso perché il regista ha pensato molto presto che fossi l’attrice giusta per Caterina – ma anche nella serie si vede che sono l’unica delle sorelle che non sa suonarlo!
Qual è stato il tuo rapporto con le altre attrici che le interpretano?
Ho legato tantissimo con Greta (Greta Domenica Esposito, ndr) e tuttora siamo amiche, ci sentiamo sempre. Per quanto riguarda Benny (Benedetta Porcaroli, ndr) era bello vederla lavorare, cambiava da un momento all’altro: partiva l’azione e lei si trasformava. La stimavo già come attrice e vederla lavorare è stato molto costruttivo per me.
In cosa ti è stata più utile la tua esperienza teatrale per il lavoro davanti la macchina da presa?
Forse il fatto più importante è che in teatro non hai una seconda possibilità, quindi sfrutti già al meglio la prima, dai il massimo. Io non aspetto di riscaldarmi per un secondo o terzo ciak, mi do subito. Certo, possono esserci comunque degli errori, però almeno sei più tranquilla avendo un’altra possibilità. Il teatro è una bella palestra per gli attori perché hai il pubblico lì davanti e vedi sul momento la reazione che ha, forse al cinema questo rapporto è un po’ più freddo e distaccato. Io comunque l’intensità non l’ho persa né al cinema né al teatro, sento sempre quel pubblico lì e l’ansia addosso di dover dimostrare qualcosa senza filtri né montaggi.
Secondo te che apporto ha dato la regia di Tom Shankland a una storia così legata all’Italia?

Tom preparava Il Gattopardo da anni, lo conosceva benissimo perché il padre glielo leggeva sempre da piccolo e ne era innamorato. Ogni giorno, anche quando eravamo tutti stanchi, arrivava sul set, sorrideva a tutti e abbracciava sempre tutti. Il suo stretto rapporto con l’opera non faceva trasparire assolutamente il distacco di un londinese che si trova a dover affrontare un romanzo italiano. La cosa più bella di Tom però è che non ha mai avuto un rapporto gerarchico regista/attore: ti spiegava come vedeva la scena, ma allo stesso tempo ti ascoltava. Camminavamo insieme e questa era la cosa più bella. Spero di poter lavorare così con altri registi che incontrerò sul mio cammino.
Girare era divertente perché dopo aver fatto i ciak urlava “Questa per me è buona!”, ma poi capitava anche che urlasse “One for fun!”, girando scene dove noi potevamo fare tutto quello che volevamo e lì ci divertivamo tantissimo. Da regista, naturalmente, Tom aveva una sua visione… ma non si fermava a quello: voleva vedere anche come la vedevamo noi e so che spesso queste scene “for fun” sono state montate nella serie. Questo è un grande atto di fiducia.
Con Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti invece come hai lavorato?
Purtroppo non ho avuto la fortuna di lavorare al quinto episodio con Laura, perché come vedrete è un episodio politico e la famiglia non è molto presente. Nel quarto episodio però ho lavorato con Capotondi che ha un approccio completamente diverso da Tom, ma mi sono trovata comunque benissimo. Il quarto è un episodio molto complesso che penso farà emozionare tutti.
Secondo te una storia come quella di Tomasi di Lampedusa può essere ancora attuale oggi?

Nella serie abbiamo reso la vicenda più attuale del romanzo classico: secondo me colpirà molto i giovani (e non in maniera commerciale). Nelle nostre generazioni quasi nessuno, se non chi studia cinema, entra in contatto con questa storia. Purtroppo è stato molto criticato il fatto che si rifacesse Il Gattopardo e credo che le critiche arrivino per lo più dalle generazioni passate. Vorrei che si capisse la bellezza di questa opportunità, cioè che un romanzo così importante possa finalmente entrare anche nei cuori dei giovani d’oggi che non lo conoscono.
Torneresti a lavorare a teatro?
Sì, volentieri! Da quando sono a Roma non sono più riuscita a fare teatro. Anche quello è un mondo difficile, ma lo farei con piacere. Una volta ho recitato in Romeo e Giulietta con La compagnia del tempo relativo nel mio paese ed è stata una delle cose più belle che abbia mai fatto.
C’è qualche regista con il quale ameresti collaborare?
Sì, ce ne sono molti, ma Alice Rohrwacher è in cima alla lista. Mi piace tantissimo il suo cinema e lo trovo molto vicino a me.
Quale tipo di film ti piacerebbe girare in futuro?
Amo tantissimo i thriller e i gialli, anche se vanno un po’ meno in Italia. Mi piacerebbe fare uno di quei thriller super dark.
Quindi lavoreresti all’estero?
Sì, volentieri. Vorrei imparare il francese e lavorare anche in Francia.
Dopo Il Gattopardo hai altri progetti all’attivo?
Al momento ancora niente (in partenza). È stato un anno duro e il cinema è un po’ in uno stato di fermo: mi dispiace, perché l’Italia si stava facendo spazio in mezzo al cinema dei grandi autori – finalmente anche agli Oscar.
Magari Il Gattopardo può dare una spinta all’industria e portare tanto lavoro anche in Italia…
Sì, speriamo! Penso che Il Gattopardo funzionerà più fuori che in Italia, sarà amato qui ma fuori sarà apprezzato tantissimo.